Emilio Del Bel Belluz
Capitolo I
Una volta si diceva che i tempi duri passano e ci vogliono uomini tutti d’un pezzo perché questo avvenga. Qualcuno scrisse che più si soffre e più si diventa forti. In questi giorni di fine ottobre, in cui la natura si presenta con dei splendidi colori, si ricorda la nascita di Primo Carnera a Sequals, avvenuta il 25 di questo mese.
Il vecchio parroco del paese lo battezzò con quel nome che era caro ai genitori, Primo, perché era il loro primo figliolo. Quando nacque si disse che pesava almeno come un vitellino, grande e forte. Il padre lo alzò verso il cielo con fatica e il bambino si era messo a piangere e le sue urla erano giunte fino al centro del paese. La mamma lo allattò subito, e quella creatura non si staccava mai dalla sua fonte di vita. Se a Sequals ci fosse stato un pittore avrebbe potuto fare un quadro davvero bello.
Non so se il parroco, come accade attualmente a Rivarotta di Pasiano, avesse fatto suonare le campane a festa per annunciare la sua nascita. La comunità di Sequals dava all’Italia monarchica e al suo sovrano Vittorio Emanuele III, un suo figlio.
La vita di Primo non è mai stata facile, già nei primi mesi il latte materno non era sufficiente a nutrire un colosso che in poco tempo arrivò a dieci chili. Per sfamarlo s’era dovuto affiancare alla madre, una balia. La fame divenne la sua croce, vorrei dire perpetua.
La famiglia Carnera festeggiò il suo primo Natale con il nuovo arrivato, era il 1906. Alla messa di mezzanotte in quella chiesa fredda il pianto di Primo cessò solo nel momento in cui la madre lo portò davanti al presepe che era stato collocato in un grande angolo della chiesa. Lo scintillio delle luci delle candele attirarono la sua attenzione e come d’incanto il grande piccolo Primo si zittì.
La scena più bella fu quella in cui davanti alla statua di Gesù deposto nella mangiatoia c’era il piccolo Primo a fargli compagnia. Quando il parroco si avvicinò per benedire il Bambinello del presepe, con affetto fece una carezza a quel bambino che stava in braccio alla mamma e istintivamente il piccolo Primo sorrise.
Dopo la benedizione, rientrando verso casa, i genitori si fermarono davanti a un capitello con le statue della Madonna e del buon Gesù e pregarono. Primo Carnera divenne un bambino forte e grande, sembrava che crescesse a vista d’occhio, con la preoccupazione della madre che doveva sempre allungare i suoi vestiti; come quando nacque tutti i vestitini furono rifatti. A scuola la maestra lo aveva collocato nell’ultimo banco, dopo che un falegname era riuscito con delle assi a fargli un banco su misura. Da quella posizione dominava la stanza, e poteva sempre vedere la maestra che la considerava come una mamma.
A scuola seguiva le lezioni con poca attenzione, spesso il suo sguardo era assente, osservava dalla finestra i campi, gli uccellini che si posavano sui rami, e sognava di correre nel bosco a cacciare, come ogni tanto faceva accompagnando uno zio che amava la caccia e che volentieri si soffermava a parlare con Primo. Lo zio spesso invitava il nipote a mangiare delle sarde in una trattoria vicino al paese, e Primo, che aveva sempre un grande appetito, non disdegnava che gli fossero portati anche dei piatti di pasta e fagioli.
Questo avveniva sotto gli occhi felici dello zio che gli voleva bene. Il nipote non parlava molto della scuola, perché qualche volta non faceva i compiti con diligenza, e la maestra, quella santa donna, lo perdonava. Primo amava leggere un libro per ragazzi che narrava la storia di un boscaiolo che con una scure riusciva ad abbattere un albero in poco tempo. Da grande non gli sarebbe dispiaciuto lavorare nei boschi a contatto con la natura, il lavoro dei campi lo faceva volentieri per alleviare la fatica della mamma, che doveva accudire alla casa e ai figli. Il padre era dovuto partire per la guerra, e le sue braccia erano sostituite da quelle di Primo che lavoravano i campi e mungevano la mucca. Quante volte aveva sorseggiato avidamente dal secchio di latte fino a svuotarlo per metà, tanto da far preoccupare la mamma che pensava che la mucca fosse ammalata. Durante il tempo della guerra amava leggere alla mamma e ai fratelli le lettere che il padre scriveva a casa.
Di una era particolarmente fiero, perché raccontava che il padre, soldato del Regio Esercito, aveva visto il Re che era venuto ad onorare i soldati nel giorno di Natale e si era soffermato a parlare proprio con lui. Il Re Vittorio Emanuele III aveva chiesto a suo padre se avesse dei figli e da dove venisse. Il sovrano gli aveva stretto la mano e papà Carnera aveva provato una gioia indescrivibile. Primo aveva letto quella lettera con una grande commozione, e il giorno dopo l’aveva portata alla maestra che l’aveva letta in classe. Molti dei suoi compagni avevano il padre al fronte e anche loro vollero portare le lettere ricevute. Due suoi amici avevano perso il loro padre e non riuscirono a trattenere le lacrime per questa grande perdita.
La maestra che amava i suoi allievi uno ad uno, e non essendosi sposata voleva un gran bene ai suoi ragazzi, chiese che i due bambini che avevano perduto il loro papà, portassero una foto del genitore in divisa da soldato. La maestra volle incorniciare a sue spese le due foto e le mise vicine a quelle della Regina d’Italia, Elena del Montenegro e del sovrano Vittorio Emanuele III. Sulla mensola sottostante vi venivano posti dei fiori e delle candele. La maestra in questo modo voleva portare un po’ di conforto ai due bambini. Altre foto, purtroppo, vennero appese sulla parete, finché la guerra non ebbe termine.
Capitolo II
Il bambino Carnera e la divisa da soldato.
Primo frequentava la quinta elementare con profitto, perché si era impegnato maggiormente degli anni precedenti e quello che gli piaceva di più, era leggere il libro delle letture che l’anno dopo avrebbe dovuto dare a un cugino. Lo aveva sottolineato con la matita rossa e blu. Gli piacevano quei colori, gli stessi che la maestra utilizzava per correggere i compiti.
Dal suo banco chiedeva sempre di poter leggere, negli ultimi dieci minuti di lezione, il libro Cuore dello scrittore Edmondo De Amicis. La voce del giovane era talmente forte che si sentiva persino in corridoio. Il bidello della scuola riusciva a sentire quello che leggeva. Il libro Cuore con le sue belle immagini aveva catturato l’attenzione degli allievi. Primo Carnera, ogni volta che lo leggeva si commuoveva, perché descriveva il coraggio e il patriottismo dei protagonisti.
Quelle pagine lo facevano andare alla figura del padre che si trovava al fronte a combattere. Alla sera gli piaceva raccontare quello che aveva letto alla mamma, la donna era sempre vicino al lume che rammendava i vestiti, e allargava i pantaloni. Un giorno una sua vicina le aveva dato in dono un cappotto militare logoro, e la mamma di Primo l’aveva rivoltato e ne aveva fatto uno comodo per lui. Accadde che in quell’inverno del 1917, arrivassero gli austriaci e i tedeschi a Sequals, le strade erano ingombre di soldati. I bambini erano i primi ad essere incuriositi nel vedere tutta quella gente vestita militarmente, e pensavano ai loro padri che si erano dovuti ritirare dopo la rotta di Caporetto.
Un giorno la mamma diede a Primo il cappotto militare che aveva sistemato, dopo notti di duro lavoro. Il cappotto gli stava benissimo, aveva ricevuto i complimenti della maestra, che lo paragonò ad un Corazziere del re. A scuola, intanto, i ragazzi avevano continuato nella lettura del libro Cuore, e sarebbero stati volentieri ad ascoltare tutto il giorno, per sapere come sarebbero andati a finire i vari aneddoti. Le giornate poi, erano particolarmente fredde e a scuola il vecchio bidello accendeva sempre la stufa con della legna che si procurava nei boschi. Il bidello aveva una simpatia per Primo, qualche volta facevano la stessa strada e dopo la scuola lo attendeva il lavoro sui campi.
Un giorno Carnera fu arrestato dai tedeschi, venne preso e portato in una casa dove si erano acquartierati. Venne scambiato per un soldato e, precisamente, per un disertore del Regio Esercito Italiano. A nulla valsero le lacrime di sua madre e le sue spiegazioni sull’età del figlio. Il corpo di Primo sembrava davvero quello di un ragazzo di diciotto anni. La mamma si precipitò dal prete, e assieme al sindaco, andarono al Comando austriaco per riuscire a dimostrare che non aveva nulla a che fare con la guerra: era solo un bambino, un bambino gigante, di solo 11 anni.
La
mamma andò a trovarlo e alla sua liberazione pianse. Il comandante, un tipo
molto burbero, si scusò con la famiglia dell’equivoco e per premiare il
giovane, che aveva dimostrato coraggio, gli fece avere una grande pagnotta di
pane e questa cosa fu sufficiente per far dimenticare il brutto guaio che quel
cappotto aveva provocato. In paese qualcuno ne parlò e tanti vollero sapere
come fossero realmente andate le cose. Il parroco e il sindaco andarono nella
casa di Primo, invitati dalla madre, e quella sera si fermarono a mangiare una
fetta di polenta accompagnata a del salame: era l’unico salvato dai saccheggi
degli invasori.
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