NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 1 luglio 2020

Alfredo Panzini, scrittore della natura


di Emilio Del Bel Belluz

Un vecchio professore, che insegnava all’università di Trieste, mi diceva spesso che  l’interesse per le opere letterarie di uno scrittore, si affievoliva con la sua morte. Un innamorato della letteratura dovrebbe ogni giorno leggere una pagina di uno scrittore: sarebbe un bel contributo alla sua memoria. Sempre a Trieste dove visse uno degli scrittori più grandi del nostro Novecento, Italo Svevo, si diceva che ogni giorno sarebbe bello che nascesse un innamorato di Svevo. Gli scrittori sono i maestri  che ci hanno preceduto, e dovrebbero essere immortali grazie alle loro opere. I loro scritti, spesso, rimangono solo nelle biblioteche, e i loro libri hanno le pagine incollate, perché nessuno le consulta.  Uno degli scrittori che dovrebbe essere letto con più frequenza da parte degli studenti è Alfredo Panzini.  Il critico letterario Carlo Bo, teneva una rubrica nel settimanale Gente. In questa  pagina che aveva chiamato Vita culturale ricordava gli scrittori del nostro Novecento che aveva conosciuto. Su Panzini scrisse: “ Forse di Alfredo Panzini (1863-1939) i lettori d’oggi conosceranno appena il nome, i più informati arriveranno al massimo al dizionario moderno che è stato ristampato  recentemente ma è certo che ben pochi avranno una memoria chiara del narratore. Eppure è stato scrittore di grande fama nei primi anni del secolo e poi si è arrestato su posizioni onorevoli  fra le due guerre. Coetaneo del d’Annunzio, in qualche modo ne è l’esatto contrario: il primo era uno spirito audace e sempre all’inseguimento del nuovo, se non della moda, il  Panzini preferiva invece restare attaccato al passato, alle stagioni lontane, fra rievocazione e nostalgia”. In una foto di quelle che un tempo gli scrittori donavano a qualche ammiratore,  Panzini vi scrisse alcune parole che spiegano la sua vita letteraria: “ Dopo aver letto molti libri, sto ancora cercando il libro che mi spieghi “ perché”…  Lo scrittore   Panzini  era un uomo legato alla letteratura da un grande amore, le radici di questa passione gliele può aver trasmesse il Carducci di cui fu suo allievo all’università. Il poeta Carducci  gli era molto legato, e questo dimostra che aveva visto in lui quello scrittore brillante che sarebbe diventato. La vita di Alfredo Panzini è contraddistinta dall’insegnamento che lo tenne occupato per quaranta lunghi anni. Prima come insegnante nelle scuole medie, poi al Politecnico di Milano ed infine a Roma. Ai giovani il Panzini  aveva cercato di insegnare l’amore per la vita semplice, per le piccole cose, per la terra ed i suoi profumi, tale da essere considerato uno scrittore agreste. Lo paragonerei allo scrittore trevigiano Giovanni Comisso, proprio per l’amore che entrambi nutrivano per la terra, e i grandi benefici che essa dona a chi se ne innamora; l’amore per la natura e tutto ciò che appartiene alla vita rurale con le sue intoccabili tradizioni. Anche se l’uomo crede di bastare a sé stesso, e la tecnologia ha fatto passi da gigante, esso si deve inchinare alla natura se vuole sopravvivere. Deve amare la terra dei padri, che custodisce le sue radici. L’indiano Alce Nero diceva: “ Tutto quello che hai visto, ricordalo/perché  tutto quello che dimentichi/ritorna  a volare nel vento/. In una antologia stava scritto: “ Io credo che Panzini avrebbe accettato volentieri il titolo di scrittore agreste. Non che solo dei campi abbia scritto, ma certo egli aveva due predilezioni : il libro e la terra; e si può dire che tutta la sua vita cercasse di mettere insieme dolcemente questi due amori. Lo vedi anche qui: apre gli occhi incantati sui campi da mietere  e intanto è tentato d’aprire ancora una volta i cari poemi omerici -  e i contadini diventano gli antichi guerrieri astanti”.  Un tempo Mussolini attuò per gli italiani la campagna del grano, e questa sua iniziativa fu come una scintilla per molti scrittori che riempirono pagine che descrivevano il momento della mietitura. Famosa la foto di Mussolini che raccoglieva il grano, con entusiasmo, perché bisognava dare l’esempio. Risulta difficile pensare, oggi, a un politico che condivida, anche per breve tempo, il duro lavoro degli agricoltori.  Panzini scriveva le sue amate pagine al mattino presto. Alle cinque, scendeva nel suo studio, e dopo aver bevuto il suo caffè, fatto con la moKa napoletana, si metteva al tavolo a scrivere. La finestra aperta, faceva entrare il profumo del mare. Alle cinque si alzavano i contadini per andare a lavorare sui campi, dopo avere governato il bestiame. Partivano con i buoi, e la giornata iniziava sempre con il segno della croce. Qualcuno dirà che erano altri tempi, ma lo sfruttamento ad oltranza della terra non ci porterà lontano. Panzini uomo sempre dedito al lavoro e alla famiglia ebbe l’onore e il privilegio di essere nominato nel 1929, Accademico d’Italia, e questo conferimento lo premiava dopo tanta strada che aveva percorso con umiltà e rispetto verso il Paese. Era stato firmatario assieme ad altri letterati del Manifesto degli intellettuali fascisti. Un lavoratore instancabile che si era costruito la sua casa con sacrifici. Lo scrittore Enzo Biagi in una visita che fece alla moglie scrisse : “ Gli piaceva vivere da queste parti: c’erano i suoi pochi amici, sensali, pescatori, ortolani, andava volentieri in piazza a trattare la compera di un paio di buoi o a vendere una nidiata di maiali. Veniva a trovarlo in bicicletta Marino Moretti, il solo letterato con il quale aveva confidenza. A Milano e a Roma si sentiva in esilio, fuori dal suo mondo. Indossò, forse con un certo orgoglio, la divisa di Accademico d’Italia con le frange d’argento e la feluca, perché stava ad indicare una delle poche vittorie della sua vita: lo avevano umiliato come insegnante, bocciandolo ai concorsi, e qualche volta stroncato come scrittore. Ha detto: “ Ho mutato il dolore in quello che qualcuno, benevolo, chiama umorismo”.  Spesso sono proprio questi scrittori capaci di scrivere pagine e pagine di letteratura, che con il tempo diventano un prezioso tesoro. Non esiste nessun strumento capace di far conoscere la storia come le pagine sofferte di uno scrittore. Nel momento in cui le leggiamo, ci si cala in quel periodo storico. L’Accademico Alfredo Panzini, amato dai suoi lettori, nutriva un forte rispetto verso la patria e  quegli eroi che l’hanno costruita versando il loro sangue, rendendoli immortali. Carlo Bo scrisse: “ Panzini appartiene alla grande famiglia degli scrittori romagnoli, Alfredo Oriani, Antonio Beltramelli, Marino Moretti. Fu tra i primi a riconoscere il genio critico di Renato Serra e di Serra ci ha lasciato un altro dei suoi ritratti memorabili. In effetti era piuttosto una rievocazione del giovane Serra che era andato a trovarlo nella sua casa di Bellaria, prima di tornare al fronte e di morire”. Ripensando alla morte dell’eroe Renato Serra, cito una frase di Orazio:  “ Dulce et decorum est pro patria mori. Mors  et  fugacem persequitur virum. Nec pascit imbellis iuventae. Poplitibus  timidove tergo”. “ Come è dolce e bello morire per la patria.  Ma la morte incalza anche l’uomo che si dà a fuggire, né risparmia i garetti e il tergo pieno di paura di una gioventù imbelle. Chi muore in battaglia guardando il nemico è degno d’essere  detto un eroe. Non per nulla sentenzia Tacito: “ In fuga foeda mors est, in vittoria gloriosa” “ Vergognosa  è la morte di chi fugge, gloriosa invece di chi combatte per vincere”. Alfredo Panzini aveva nel cuore la sua patria. La servì come professore e Accademico.  L’Italia ha sempre avuto bisogno di grandi uomini, che l’hanno onorata con la letteratura. Sarebbe stato contento di vedere i suoi romanzi stampati nella Collezione Omnibus, dalla Mondadori, ma lo scrittore era già morto. Strano destino gli capitò. Quanto sarebbe bello che la sua opera potesse essere ristampata in questo tempo, che ha bisogno di vera letteratura. A frenare questo ritorno, forse la sua nomina ad Accademico. Ci sono dei suoi scritti che meriterebbero una nuova luce, penso a cosa scrisse sulla sua patria :“ La parola patria vorrebbe dire la terra dei padri, perché sotto la terra stanno i padri e le madri, e vi scenderanno alla loro volta i figli, secondo l’ordine che natura diede. I frutti della terra di cui ci nutriamo, contengono anche le ceneri dei padri. Sacra e santa è dunque la patria; così fu scritto :” E’ bello morir per la patria”. Fu scritto in poesia e fu anche una realtà”


Nessun commento:

Posta un commento