La tragedia di Caporetto,
causata da motivazioni di carattere strategico, politico, caratteriale e
sociale, determinò un totale sbandamento e perdita di fiducia da parte della
massa dei soldati e delle popolazioni residenti lungo il confine orientale del Friuli.
La perdita dei territori, delle campagne coltivate, delle stalle con i propri
animali e l’assistere alla devastazione delle proprie case e delle chiese dei
paesi causarono grande sconforto e la perdita di ogni speranza.
Il Re d’Italia,
Vittorio Emanuele III, non abbandonò mai il fronte. Durante l’arretramento
delle popolazioni e dell’Esercito rivolse sempre parole di conforto verso gli
umili soldati e le povere colonne di profughi , ricordando le virtù e il valore
italiano. Dopo le prime ore dallo sfondamento del fronte ci si rese subito
conto della situazione. Durante la ritirata, la confusione totale dei
reggimenti che ripiegavano e i poveri carretti della popolazione civile che
scappava, ingorgavano le rotabili e i viottoli fangosi, resi tali dalla pioggia
e dal cattivo tempo della stagione. L’artiglieria austro-tedesca bombardava
l’esercito italiano in ritirata, i reparti d’assalto austroungarici, senza
pietà, aggredivano gli ultimi delle file. La cavalleria italiana cercava di
frenare la corsa nemica sulla sponda sinistra del fiume Tagliamento.
Una
compagnia di fanteria, distaccata dal suo battaglione cercava di ripiegare
velocemente fra le rovine e i detriti di un paese bombardato. Era difficile
anche riconoscere un luogo dalla mancanza di cartelli segnaletici ed
indicazioni della zona. L’ultimo gruppetto di fanti ricco solo di tascapane e
zaino intravide tra i mattoni di un campanile bombardato una piccola campana di
antica fusione. Il più piccolo di questi fanti, proveniente dalla Sardegna, pensò
che non poteva lasciare questo importante oggetto in mano al nemico e
infagottando la campana in una coperta da campo la mise all’interno del suo
zaino. Il peso rese la marcia più dura, ma l’orgoglio di aver salvato l’oggetto
lo fece sentire ancora più fiero.
Il Piave venne oltrepassato grazie a un
piccolo e stretto ponte di barche montato dai pontieri del Genio e
frettolosamente si rincorse il Reggimento verso ovest e fu raggiunto a Cornuda.
Nel piazzale della chiesa venne riordinato e contato con i ruolini di
compagnia. In assenza di cucine, soldati e ufficiali mangiarono gallette e
scatolette di carne di riserva. Gli ordini arrivarono quasi subito e il
Comandante di Reggimento chiamò a rapporto i quattro Comandanti di battaglione
per le disposizioni da ottemperare subito. Il Reggimento con tutti i suoi
uomini doveva raggiungere Crespano, per poi attraverso la strada Cadorna
prendere posizione sul massiccio del Grappa. Prima della partenza il Comandante
di Reggimento lesse a tutti i suoi uomini il bollettino di S.M. Re Vittorio
Emanuele III.
Si partì subito e con circa due ore di marcia tutto il Reggimento
arrivò alle prime case di Crespano, ai piedi del monte Grappa. Il fante con la
campana all’interno dello zaino avrebbe voluto portarla al parroco del paese,
don Giobatta Ziliotto, ma il suo Sergente non glielo permise, per evitare che
gli uomini si perdessero nella totale confusione del momento. Erano i primi
giorni di novembre 1917, il tempo era freddo, il Reggimento si accantonò vicino
a una casa con fienile, stalle e pozzo, per riposare qualche ora prima di
iniziare la salita. Il fante sardo, ostinato nel suo desiderio di consegnare la
campana si rivolse al suo Capitano per poter recapitare la campana al parroco
di Crespano, ma la risposta fu ancora di diniego.
Il Capitano lo osservò e gli
diede questo consiglio: “Domani, all’alba, Ti autorizzo a fermarti nella prima
casa che incontreremo con la luce accesa per dare in custodia la campana con la
consegna di farla recapitare al signor parroco”. Il fante rispose con un
sorriso di ringraziamento. La marcia iniziò alle 4 e dopo circa mezz’ora il
fante si avvicinò a una casa in località “Gherla” e consegnò la campana con la
preghiera che fosse portata alla canonica di Crespano, perché potesse ancora
ritornare a suonare. Il Reggimento raggiunse il monte Asolone a mezzogiorno e
cominciò subito i lavori di scavo di sistemazione dei reticolati e di difesa.
Tutti gli Italiani, civili e militari, sopportarono con valore e sacrificio le
quattro battaglie del Grappa, fondendo forza e fede per proteggere le proprie
famiglie e la propria terra. Alla fine del conflitto, del fante non si seppe
più nulla, nessuno passò più per quella casa, in località “Gherla”, ma la
vecchia campana con caratteristiche settecentesche fu consegnata al parroco. Fu
un segno di rinascita e di pace per tutte le popolazioni europee, il suo suono
marcò un richiamo di unità verso la condivisione dei valori comuni fondamentali
della vita.
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