di Emilio Del Bel Belluz
Il 29 luglio 2020 saranno
trascorsi centovent’ anni dalla tragica morte del Re Umberto I, ucciso a Monza
dall’anarchico Gaetano Bresci. Una data importante per l’Italia, e mi auguro
che possa essere ricordata, anche se il dubbio mi assale. I mass media, eccetto
qualche rara eccezione, non hanno ricordato neppure l’anniversario dei
duecento anni dalla nascita del Padre
della Patria, Vittorio Emanuele II. Se per il padre della Patria è successo
questo, figuriamoci cosa ci si potrà attendere per il figlio. Questa nostra
Patria non ha bisogno di ricordare la storia che l’ha resa grande. Il nostro
Paese si sta avviando verso un tramonto che pare irreversibile, perché viene
dimenticato il significato di patria. Il 29 luglio del 2020 nel luogo del
delitto, mi auguro che la bandiera Sabauda possa sventolare, e raccogliere il
saluto del vento e del cielo. Per tornare indietro nel tempo, e leggere nel
cuore di quelli che scrissero su quello che accadde, mi sono affidato a dei
personaggi illustri, in modo particolare allo scrittore Giovanni Papini. Nel
suo libro Passato Remoto (1885-1914), dedica un capitolo al regicidio. Lo
scrittore allora aveva 18 anni e si trovava a Firenze, in una giornata molto
calda e afosa, Quell’anno il mese di luglio fu particolarmente caldo. Papini si
stava recando alla Biblioteca Nazionale, che verso le nove apriva i battenti.
Era il 30 luglio del 1900. “Anche la
mattina del 30 luglio 1900 ero lassù, vicino alla muscosa fontana che
accresceva la mia illusione di frescura
e avevo con me un’ edizioncina della
Divina Commedia con le note di Pietro Fraticelli : povera edizione e
poverissimo commento. Suonaron le nove ed io discesi a precipizio la scalinata,
secondo il solito, ma non appena ebbi passato il Ponte alle Grazie mi accorsi
che ci doveva essere qualche grossa novità. Capanelli fitti stavano, immoti e muti,
dinanzi ai giornalai; molti passanti avevano in mano un giornale che avidamente
leggevano; ciuffi di gente parlottavano su tutti i crocicchi e sulle porte
delle botteghe. In Via de’ Benci apparivano già, a qualche finestra di palazzo,
bandiere abbrunate a mezz’asta. Mi feci largo tra coloro che sostavano,
impalati e intontiti, dinanzi a un giornalaio e vidi che il manifesto non
conteneva che poche parole, stampate in caratteri grossi e neri, tra due liste
di lutto: il Re Umberto I era stato ucciso il giorno prima, a Monza, da un
anarchico”. Il 29 luglio del 1900 fu un giorno terribile per l’Italia. Il Re Umberto
era a Monza con la moglie Margherita, ospite di villa Reale. Quel giorno doveva
presenziare a un concorso ginnico della società Forti e Liberi. Al termine
della serata, la carrozza con i sovrani se ne stava andando, erano le 22.30,
quando passando tra la folla, un giovane mescolato tra le persone, estrasse
dalla tasca la sua pistola e sparò
quattro colpi, verso il Re Umberto I, di questi quattro proiettili tre
arrivarono a segno. Il dramma si svolse in pochi attimi, impossibile evitare la
tragedia. Quando la carrozza raggiunse la Villa Reale, il sovrano era già
morto. Il sangue del sovrano bagnò le
mani della sua amata Regina Margherita. Il Re morì subito, una di quelle
maledette pallottole gli arrivò al cuore. Il sovrano aveva solo 56 anni. L’uomo
che lo uccise era un anarchico, che era tornato dall’America, dove aveva la
compagna irlandese Sofia Neil e la figlioletta Maddalena. Aveva detto alla famiglia
che lo scopo del suo viaggio era quello di sistemare alcune questioni
ereditarie con i fratelli. La vera intenzione era, invece, quella di ammazzare
il Re. L’Italia venne toccata duramente da questa terribile notizia, il Paese
si fermò. Nel libro Gli eroi di Casa Savoia, venivano riportate le seguenti
parole che Re Vittorio Emanuele III rivolse al popolo italiano con il suo primo
proclamo, datato 2 Agosto 1900: “ Ricordatevi che Umberto I, “ il Re buono e
virtuoso, scampato, per valore di soldato, dai pericoli delle battaglie, uscito
incolume, per volere della Provvidenza, dai rischi affrontati con lo stesso
coraggio a sollievo di pubbliche sciagure, cadde vittima di un atroce misfatto
mentre nella sua tranquilla e generosa coscienza partecipava alle gioie del suo
popolo festante”. Egli pochi istanti prima di essere ucciso, aveva detto alle
persone che lo circondavano: “ Sono
felice di trovarmi fra il mio popolo, fra i giovani ginnasti!...” L’otto agosto
del 1900 la salma del Re d’Italia partì per Roma, dove giunse il 9 agosto.
Quello stesso giorno si svolsero i funerali solenni, dove vi parteciparono
grandi personaggi e tutto il popolo si strinse attorno alla famiglia Savoia. Il
quotidiano La Sera del 9 agosto 1900,
scriveva: “ Un importante corteo accompagna ora, alla gloriosa quiete del
Pantheon, la salma del Martire. L’Italia intera nei suoi confini artificiali, e
nei suoi confini naturali, si assiepa, lacrimando di commozione e sfolgorante
d’orgoglio, attorno al feretro del Re Martire. Non è un convoglio funebre
questo, è un apoteosi; non è una tomba che si dischiude, è una gloria; non è la
morte, è il trionfo; non è l’addio supremo, è l’immortalità”. Pace all’anima
del Re Generoso e Buono”. Lo storico e
Accademico D’Italia, Gioacchino Volpe, in un libro dedicato a Re Vittorio
Emanuele III scriveva : “ Vittorio Emanuele III
sale al trono nell’agosto del 1900, dopo la morte di Re Umberto, caduto
per le vie di Monza sotto i colpi di un anarchico. Per quanto dovuto a
iniziativa individuale maturata nel torbido ambiente dei grandi centri di
immigrazione del Nord America, in un’epoca in cui attentati a sovrani e a capi di governo erano
all’ordine del giorno, tuttavia è difficile disgiungere quel folle gesto da
tutta la situazione italiana del decennio precedente, col suo diffuso e
profondo malcontento fra le masse e anche fra i ceti colti e con la propaganda
sempre più attiva di sovversivismo che giungeva sino all’anarchia”. Dopo la
morte del Re, il nuovo sovrano Vittorio Emanuele III, salito al trono, non
applicò nessuna legge repressiva. L’autore del regicidio fu condannato
all’ergastolo, ma si suicidò il 22 maggio 1901. In tutta questa vicenda bisogna
dire che alla famiglia di Gaetano Bresci, che viveva in America, le venne
assegnato un sussidio. Il nuovo Re Vittorio Emanuele III e la sua amata Regina
Elena, non conoscevano il sentimento dell’odio e del rancore Sarebbe stato giusto far riposare anche questi reali, come era
stato sperato dal Re Umberto II, nel Pantheon.
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