NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 26 luglio 2020

Il Veltro dantesco



di Domenico Giglio

Alcuni amici e conoscenti mi hanno chiesto perché fossi così sicuro che la (Divina) Commedia fosse proprio il veltro indicato da Dante. Premetto che ho fatto il liceo classico, con un grande professore d’italiano, il gesuita Padre Raffaele Salimei, mi piaceva la storia e la letteratura italiana, ma poi ho scelto ingegneria affascinato a mia volta dalla architettura e dai progetti e poi dalle foto, anche in fase costruttiva, dei numerosi palazzi della Banca d’Italia, progettati e diretti da mio padre (Imperia, San Remo, Savona, La Spezia, Cremona, Viterbo, Livorno, Rieti, Civitavecchia, Ragusa, Enna e Trapani). Quindi non sono un professore di lettere, ma mi sono limitato, oltre a leggere Dante, a soffermarmi sui commenti ai versi in diverse edizioni, con diversi commentatori, a studiare alcune storie della letteratura, tra cui Francesco Flora, ma su alcuni punti controversi ho cercato semplicemente di ragionare. “Cogito ergo sum”. Allora mi sono posto il quesito di ordine generale sulla Divina Commedia : perché Dante la scrisse ? L’Alighieri era un poeta già conosciuto ed apprezzato, era un importante scrittore in prosa, latina ed italiana, poteva scrivere di tutto,anche un poemetto dedicato a Beatrice, ma perché proprio nelle difficoltà dell’esilio ha posto mano al “poema sacro “ che “ m’ha fatto per più anni macro “ (Paradiso - c. XXV- v. 1-3), rischiando anche l’accusa di eresia con tutte le eventuali gravissime conseguenze ?
Dante, a mio avviso, lo scrisse perché voleva adempiere ad una “missione”, e non certo solo a schivare le tre belve ed a rendere postumo omaggio a Beatrice, ed una missione è ben diversa da una “profezia”. La missione è “immediata”, contemporanea anche se il suo effetto può continuare nel tempo. Ancora oggi leggiamo testi di grandi predicatori, ed anche il semplice, ma stupendo “Cantico” di San Francesco o lettere di Santa Caterina da Siena, per cui la lettura della Divina Commedia è proseguita nei secoli ed il suo studio sono giustamente materia d’insegnamento scolastico, da quando l’Italia ha raggiunto la sua unità con il Regno d’Italia il 17 marzo 1861, e questa unità era effettivamente un vaticinio dantesco. Quindi una missione poteva anche essere svolta, ma il testo,ripeto, lo esclude, da un personaggio contemporaneo, ma di cui in quel secolo non vi è tracia e Dante era buon conoscitore degli uomini del suo tempo per pensare ad un Cangrande della Scala ( 1291-1329 ), o ad un imperatore. Pensare che fosse un personaggio di secoli dopo è di una tale illogicità, che meraviglia avere alcuni scrittori in epoche successive attribuito a personalità anche importanti, e sempre italiani, il ruolo del veltro, ma di cortigiani, “vil razza dannata”, è piena la storia. Pensare alla terza età dello Spirito Santo, del “calavrese abate Gioacchino, di spirito profetico dotato” (Paradiso – c. XII. v. 140), è egualmente assurdo perché il tra “feltro e feltro” indica sempre dei fogli di carta e quindi una opera scritta. E se opera scritta doveva essere è appunto la Commedia.
Ecco perché “la sua nazion “, e la “sapientia, amore e virtute”, sono i cento canti della Divina Commedia e la sua missione contro cupidigia, corruzione, avarizia, ricchezza e potere temporale della Chiesa ( questo però cessato il 20 settembre 1870 ) è sempre valida ed attuale.



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