di Domenico Giglio
Alcuni amici e conoscenti mi hanno chiesto perché fossi così sicuro che la (Divina) Commedia fosse proprio il veltro indicato da Dante. Premetto che ho fatto il liceo classico, con un grande professore d’italiano, il gesuita Padre Raffaele Salimei, mi piaceva la storia e la letteratura italiana, ma poi ho scelto ingegneria affascinato a mia volta dalla architettura e dai progetti e poi dalle foto, anche in fase costruttiva, dei numerosi palazzi della Banca d’Italia, progettati e diretti da mio padre (Imperia, San Remo, Savona, La Spezia, Cremona, Viterbo, Livorno, Rieti, Civitavecchia, Ragusa, Enna e Trapani). Quindi non sono un professore di lettere, ma mi sono limitato, oltre a leggere Dante, a soffermarmi sui commenti ai versi in diverse edizioni, con diversi commentatori, a studiare alcune storie della letteratura, tra cui Francesco Flora, ma su alcuni punti controversi ho cercato semplicemente di ragionare. “Cogito ergo sum”. Allora mi sono posto il quesito di ordine generale sulla Divina Commedia : perché Dante la scrisse ? L’Alighieri era un poeta già conosciuto ed apprezzato, era un importante scrittore in prosa, latina ed italiana, poteva scrivere di tutto,anche un poemetto dedicato a Beatrice, ma perché proprio nelle difficoltà dell’esilio ha posto mano al “poema sacro “ che “ m’ha fatto per più anni macro “ (Paradiso - c. XXV- v. 1-3), rischiando anche l’accusa di eresia con tutte le eventuali gravissime conseguenze ?
Dante, a mio avviso, lo
scrisse perché voleva adempiere ad una “missione”, e non certo solo a schivare
le tre belve ed a rendere postumo omaggio a Beatrice, ed una missione è ben
diversa da una “profezia”. La missione è “immediata”, contemporanea anche se il
suo effetto può continuare nel tempo. Ancora oggi leggiamo testi di grandi
predicatori, ed anche il semplice, ma stupendo “Cantico” di San Francesco o
lettere di Santa Caterina da Siena, per cui la lettura della Divina Commedia è proseguita
nei secoli ed il suo studio sono giustamente materia d’insegnamento scolastico,
da quando l’Italia ha raggiunto la sua unità con il Regno d’Italia il 17 marzo
1861, e questa unità era effettivamente un vaticinio dantesco. Quindi una
missione poteva anche essere svolta, ma il testo,ripeto, lo esclude, da un
personaggio contemporaneo, ma di cui in quel secolo non vi è tracia e Dante era
buon conoscitore degli uomini del suo tempo per pensare ad un Cangrande della Scala
( 1291-1329 ), o ad un imperatore. Pensare che fosse un personaggio di secoli
dopo è di una tale illogicità, che meraviglia avere alcuni scrittori in epoche
successive attribuito a personalità anche importanti, e sempre italiani, il
ruolo del veltro, ma di cortigiani, “vil razza dannata”, è piena la storia. Pensare
alla terza età dello Spirito Santo, del “calavrese abate Gioacchino, di spirito
profetico dotato” (Paradiso – c. XII. v. 140), è egualmente assurdo perché il tra
“feltro e feltro” indica sempre dei fogli di carta e quindi una opera scritta. E
se opera scritta doveva essere è appunto la Commedia.
Ecco perché “la sua nazion “, e la “sapientia, amore e
virtute”, sono i cento canti della Divina Commedia e la sua missione contro cupidigia,
corruzione, avarizia, ricchezza e potere temporale della Chiesa ( questo però
cessato il 20 settembre 1870 ) è sempre valida ed attuale.
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