NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 27 luglio 2020

Antonio Beltramelli, Accademico d’Italia


di Emilio Del Bel Belluz 

Antonio Beltramelli  era uno scrittore romagnolo, nato a Forlì l’ 11 gennaio 1874, e morto a Roma il 15 marzo 1930. Il titolo che più gli fece onore è quello di essere stato nominato Accademico d’Italia nel 1929, un anno prima della sua morte, avvenuta a soli 50 anni. Amico di Mussolini,  alla sua morte il duce ne fu molto dispiaciuto. Lo scrittore aveva pubblicato una biografia sul Duce che aveva avuto molto successo, dal titolo L’uomo nuovo. 
Mussolini, personalmente, aveva chiesto all’ amico Giuseppe Prezzolini di scrivergli la sua biografia, ma lo scrittore toscano non lo aveva accontentato. Anche la scrittrice Margherita Sarfatti pubblicò una biografia su Mussolini. E’ difficile capire, oggi, perché le case editrici non ristampino questi preziosi documenti. Mi dispiace  che Beltramelli, a novant’ anni dalla sua scomparsa, non sia stato ricordato da nessun articolo sui giornali. Questo può anche essere considerato un grande onore, perché sta a significare che non piace all’attuale cultura di sinistra. 
Giuseppe Ravegnani, uno scrittore che lo conosceva molto bene e di cui era  amico, scrisse a ventuno anni dalla sua morte dalle colonne del giornale, credo  Il Tempo : “ Ventuno anni fa, in una stanza dell’albergo Flora di via Veneto, a Roma, moriva Antonio Beltramelli. Beltramelli da due mesi aveva compiuto i cinquantuno anni, ma era bastata per ucciderlo una settimana di sofferenze atroci, di torture, per quel cancro al cervello. Io, in quel tempo, abitavo a Roma; e quella morte, così improvvisa e crudele, mi lasciò più solo che mai e più abbandonato. Romagnoli, di Forlì tutt’e due, lui della piana e io della collina, l’amicizia tra me e Beltramelli era di un buon legno stagionato, anzi meglio dire l’affettuosa fraternità, anche se io ero di sedici anni più giovane di lui. Beltramelli, specialmente d’inverno, veniva giù dalla Romagna,  e in tutta fretta, quasi che qualcuno lo fruconasse alle spalle, scendeva all’albergo Flora in Via Veneto, con la sorella Maria; ma appena la primavera tinteggiava di tenero verde gli alberi, risaliva di gran corsa alla sua terra  e ridiventava il “ signore della Sisa”.  
La casa in campagna “Sisa” dove viveva gran parte dell’anno era il suo mondo ideale, vicino alla natura che per ogni scrittore è una musa ispiratrice e dalla terra Beltramelli attingeva la linfa per vivere in armonia con se stesso. In quella casa attorniata da grandi tigli, sentiva il canto degli uccellini, viveva con la sorella e riceveva gli amici. Era come per Gabriele d’Annunzio il suo Vittoriale, il luogo sacro dove le sue pagine prendevano anima. In quella solitudine gli era caro vivere, spesso, sentendo il rumore della penna stilografica che scorreva sulla carta, e il profumo della natura che si mescolava con il profumo dell’inchiostro. La sua casa era sempre aperta agli amici, posta vicina al fiume Ronco. Ancora Ravegnani, scrive: “Romantico, romanticissimo il nostro Tugnàss, ma di un romanticismo nella sostanza tutto romagnolo e frenetico anche se nell’apparenza un po’ Dannuziano e decadente, egli aveva fatto della Sisa la sua Capponcina: una Capponcina rustica e alla buona e in fondo borghese, senza smancerie estetizzanti e senza calchi di statue, con i polli che razzolavano per il prato attorno a casa, con il buon odore di pane casalingo per le camere, e poi epigrafi, terrecotte, foto con dediche, ricordi di mezzo mondo, trofei e giapponeserie a non finire…  ”. 
Sulla porta d’ingresso aveva fatto collocare la scritta: “Sii benvenuto  ospite nella mia casa serena”. Era alla fine un notevole scrittore con un grande animo, che si poteva paragonare a quegli alberi che danno sempre un buon frutto. L’animo generoso e romagnolo lo aveva nel sangue. Nella sua vita di scrittore aveva pubblicato numerosi libri e novelle, anche su giornali nazionali. Fu collaboratore al Corriere della Sera dal 1907 al 1910. La sua produzione letteraria divenne come un fiume in piena, e la sua fama crebbe. Beltramelli continuò la sua vita modestamente, e leale verso lo stato. Nel 1925 firmò il manifesto di Giovanni Gentile, degli intellettuali fascisti, poi divenne Accademico nel 1929. Uno scrittore che lo conosceva molto bene era Orio Vergani, pure lui Accademico d’Italia. 
Il Vergani gli dedica alcune pagine nel suo diario Misure del Tempo. In questo diario ci spiega anche il rapporto speciale che Beltramelli aveva con il fascismo e con Benito Mussolini. Quando venne nominato Accademico d’Italia non possedeva nemmeno i soldi per comprarsi la divisa, fu ,pertanto, Mussolini a provvedere a tutto. Il Duce nel 1923 diceva di Beltramelli :” Siete uno dei rari scrittori che scrivono in italiano, e siete, naturalmente, una gloria della Romagna, vecchia cara Romagna!”.

Dopo la morte di Beltramelli, uscirono in tre volumi, la sua opera letteraria, volumi corposi che raccoglievano i suoi romanzi e novelle,  editi dalla Casa Editrice Mondadori nella collana degli “Omnibus”. La sorella di Antonio Beltramelli  prega Arnaldo Mussolini di scrivere la prefazione alle novelle del fratello.

 “ Ma quale prefazione si può scrivere all’opera di uno scrittore come Antonio Beltramelli, che si è già tutto pienamente espresso nei suoi libri? L’opera sua - ardente, profonda, incisiva- la rievocazione degli uomini forti della nostra terra, si è ben disegnata e affermata mentre egli viveva; e oggi sopravvive alla sua tragica fine immatura. Non scrivo, dunque, una prefazione, ma dedico una parola di ricordo, un pensiero di rimpianto alla memoria del camerata ed amico. Povero Beltramelli! Se qualcuno apre d’improvviso la porta del mio studio, ho l’impressione che posa essere ancora Lui, a volta a volta gaio e triste, cordiale ed iracondo, pronto al giudizio severo e tagliente - sempre amico e fratello d’anima; col suo spirito vivo e giovanile, acceso dai più nobili entusiasmi, capace di impeti generosi e di bontà infinita. Romagnolo del tipo antico, tempra d’acciaio, fede che non tentenna. Egli non può presentarsi più al suo Giornale. L’ultima immagine che mi resta di Lui è quella di una povera spoglia, raccolta nella spietata fissità della morte. Ma Egli vive nella memoria che ha lasciato tra i suoi fratelli di lotta e di ideale, fra gli amici e i camerati; vive nella sua opera colorita ed ardente, che i critici malinconici non riescono a scalfire; vive in un esempio di probità laboriosa che egli ha lasciato agli scrittori dell’Italia nuova. Beltramelli ha saputo essere, come il suo grande fratello spirituale, Alfredo Oriani, artista e politico  ad un tempo. Ha dato l’esempio suggestivo di uno scrittore che considera l’arte come milizia e tiene la penna come si tiene la spada. Questo esempio rimane, per la gloria della sua terra e per la nobiltà della nostra fede fascista”. 
La vita di uno scrittore vorremmo non finisse mai, specialmente quando lo scopriamo per la prima volta. L’amico scrittore ha il compito di portarci con le sue pagine a mostrarci il suo animo e il mondo a lui caro.  Ho la consapevolezza che tutto non finisca dopo la sua morte, le pagine hanno una grande anima, un respiro. Lo scrittore cerca nel lettore il suo migliore alleato, e spera che lo porti con sé.  Beltramelli, morì novant’anni fa. La sua fine fu contraddistinta da una grave sofferenza fisica. 
Come disse un poeta, non è facile morire, lasciando quelli che abbiamo amato. Beltramelli lasciò una sorella che gli voleva bene e continuò ad abitare nella sua  casa,  sempre aperta a tutte le ore agli amici, alle persone semplici. Lo scrittore lasciò anche una moglie che mantenne sempre vivo il suo ricordo. Beltramelli lasciò un caro amico che gli  voleva bene, il critico letterario Giuseppe Ravegnani, che scrisse belle pagine su di lui, che hanno contribuito a farlo conoscere. La prematura morte di Beltramelli gli risparmiò  di vedere Benito Mussolini, appeso a Piazzale Loreto, e la fine di tutto quello in cui aveva creduto. La vita è fitta di sconfitte, ma spesso una sconfitta vale mille vittorie.

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