NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 26 settembre 2018

Io difendo la Monarchia - Cap VI - 1



Il fascismo conquista tutto il potere - Raffronti con la situazione odierna - Due importanti documenti polemici - La scuola della violenza - La riforma corporativa e l'interesse degli studiosi stranieri - Come fu giudicato il fascismo tra il 1926 e il 1935 - Il patto a quattro (1933), la mobilitazione al Brennero (1934.) - Conferenza di Stresa (1933) * L'impresa di Abissinia. Essa non era inconciliabile con l'equilibrio europeo - La guerra di Spagna e il conflitto ideologico in Europa - Il vero errore di Mussolini - L'anno decisivo.


La tempesta del 1924 passò e Mussolini, dopo alcuni mesi di prudente riserbo, tornò ai suoi atteggiamenti di incontrastato dittatore. Alla notizia dell'assassinio di Giacomo Matteotti tutti avevano pensato : « Questa è la fine del fascismo ». E invece il fascismo, dopo alcuni mesi di sbandamento e di crisi, costruì su quella esperienza le basi della lunga dittatura. Ma anche qui non si deve credere che ciò avvenne solo con la violenza. Osserva il Croce nella sua Storia d'Italia dal 1870 al 1915: « L'atteggiamento morale e politico della nuova generazione rispondeva all'irrazionalismo delle teorie il quale, a sua volta, come si è notato, era stimolato dallo spirito di conquista e di avventura, violento e cinico. L'ideale socialistico... non parlava più ai giovani. L’immaginazione e la bramosia della nuova generazione e dei delusi di quella un po’ antecedente, si rivolgevano come già prima in Inghilterra, Germania e Francia all' "imperialismo’' o "nazionalismo" del quale padre spirituale fu in Italia il d’Annunzio ».
Approfittando delle leggi eccezionali seguite al 3 Gennaio 1925  la conquista del  potere da parte  del fascismo  si fece totale e la pretesa restaurazione dell’autorità dello Stato si mutò in distrurione dello Stato liberale e si tramutò in una profonda rivoluzione. Quale rivoluzione? Mussolini procedeva su due strade alternando i tempi della sua marcia: la strada delle riforme sociali e la strada delle aspirazioni nazionali. Nel 1926-1927 la rivoluzione marciò di preferenza sul terreno sociale: con l'ausilio giurìdico di Rocco, Mussolini bandì ai quattro venti la « Carta del Lavoro » e la a riforma  corporativa » dello Stato, mediante la quale doveva affossare il liberalismo. È facile dire oggi che quelle dichiarazioni o nelle leggi erano vuote o false enunciazioni di principi che sarebbero stati applicati solo in quanto potevano favorire la dittatura. La crisi della democrazia parlamentare era una realtà e le leggi escogitate, per liquidare il passato e per iniziare una nuova esperienza, interessavano logicamente gli studiosi del mondo intero. In due volumetti dedicati alla «Bibliografìa Corporativa» nelle edizioni della rivista Il diritto del Lavoro abbiamo notato per gli anni 1928 e 1929 rispettivamente 2455 e 2712 voci italiane e straniere. Non tutto era falso, non tutto era scritto in mala fede. Se il socialismo non era stato capace di andare al potere o di compiere l'insurrezione, se il sistema parlamentare aveva fatto fallimento e si era rivelato incapace di dare un governo alla nazione, era naturale che una soluzione nuova della lotta sociale e il nuovo indirizzo dello stato autoritario, della nuova democrazia accentrata, come usava dire Mussolini, interessasse assai più della perpetua crisi dei parlamenti europei. Se a ciò si aggiunge l'enorme incremento delle opere pubbliche in Italia, le innegabili provvidenze per gli operai, per la maternità e per l'infanzia, e, in campo internazionale, il rispetto dei trattati e la ortodossa collaborazione alla Società delle Nazioni, in Ginevra, si comprenderà come il fascismo abbia avuto in quegli anni dei plausi calorosi all’interno come all’esterno. Sui grandi temi internazionali della revisione dei trattati, del disarmo, delle riparazioni e dei debiti, della sicurezza collettiva, i nostri rappresentanti svolgevano un’azione moderata e rivolta a scopi di pacifico equilibrio. Avvenne in quegli anni, in Italia, tra il 1925 e il 1926, la liquidazione totale dei partiti politici e della stampa di opposizione. Fu un male e si vedono le condizioni alle quali è ridotta oggi l’Italia; si può, anzi, aggiungere che fu un delitto. Di tale delitto si vuole, in mala fede, dopo la fine del fascismo, rendere responsabile la Monarchia. Ma l’accusa è assurda e disonesta. La Monarchia, si dice, ha lasciato violare lo Statuto. Parlano così, esattamente quegli uomini e quei partiti che hanno sempre avuto il fermo proposito di bruciare lo Statuto e il suo Regno. Privata del Parlamento, la Monarchia non poteva avere altra funzione che quella di evitare il peggio e di contenere e rendere inoffensive le iniziative più pericolose del dittatore. Per rendersi conto di questa dura realtà per la Monarchia si guardi al momento attuale. Il potere trovasi nelle mani dell’esarchia e cioè dei sei partiti che in periodo clandestino raggiunsero un accordo nella lotta contro l’invasore e contro il fascismo. Non esiste un Parlamento, ma esiste, con alcune limitazioni e stranezze, la libertà di associazione e di stampa. I sei partiti non sono concordi in nessuna delle principali questioni, ma sotto la pressione di forze armate che agiscono con spaventosa violenza (lo squadrismo fascista con i suoi eccessi apparirà al paragone come l’età romantica della violenza di parte) amministrano per loro conto l'uso delle fondamentali libertà. Dopo 15 mesi dalla liberazione di Roma è entrata in funzione una Consulta nominata dal Governo; e neppure furono fatte le elezioni comunali e provinciali nel Mezzogiorno e nel Centro d’Italia; e neppure fu creato un organo tecnico, qualche cosa come un Consigli di Stato per la elaborazione delle leggi. Non vi è un accordo sul concetto di legalità e di democrazia che alcuni intendono grosso modo come la legalità e la democrazia del 1914; altri come la legalità e la democrazia da instaurare con la forza per realizzare il nuovo ordine comunista. I democristiani stanno come al solito al centro del campo, cercando di valersi delle garanzie della conservazione e usando, d’altra parte, gli allettamenti demagogici della rivoluzione. Tra tutti pensano di raggiungere un minimo comune denominatore gettando alla folla, per soddisfarne la fame e le brame, le insegne della Monarchia. Ma già la maggioranza comincia a orientarsi per suo conto al di fuori del concerto dell’esarchia. In questi giorni (fine agosto 1945) si legge sul Risorgimento liberale una vigorosa protesta perché in Consiglio dei Ministri si tendeva a far passare una legge nella stampa assai più severa di quella fascista che fu almeno ampiamente discussa e tenuta molti mesi nel cassetto del Ministero dell’Interno e, infine, approvata in Parlamento. Nello stesso giorno si può leggere nel settimanale La Nuova Europa (2 settembre 1945) un grave ammonimento del più acceso dei laburisti sig. Laski al nostro Pietro Nenni.
Dice l’articolo del Laski: «Si afferma con molta autorità, che il signor Nenni, vicepresidente del Consiglio, abbia persuasa la maggioranza del Consiglio Nazionale del Partito socialista italiano, ad aderire alla fusione con i comunisti, sperando che dopo le elezioni italiane, per consolidare tale fusione, si proceda alla fondazione di uno stato a partito unico.
Si dice che egli abbia perduto la fiducia della democrazia e che egli creda che i cambiamenti fondamentali di cui l’Italia ha bisogno non siano raggiungibili con mezzi democratici.
Io spero di vero cuore che questa informazione non sia vera. Ho una profonda considerazione per la onestà e sincerità del Nenni. Son d’accordo con lui che nell’attuale inquieta situazione, l’unità delle masse lavoratrici di ogni paese in Europa è vivamente desiderabile, non fosse altro come garanzia contro il pericolo estremamente ovvio — per esempio in Francia — di una serie di controrivoluzioni mosse da interessi privilegiati prima che la spinta verso sinistra delle forze popolari si sia troppo inoltrata per essere arrestata.
Dopo lunghi anni di esilio, dopo l’insuccesso delle democrazie nel proteggere la repubblica spagnola, dopo il triste periodo di appeasement e non ultimo dopo la stupidità con la quale fu trattata dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna l’Italia liberata, non è difficile comprendere la disillusione di Nenni. Ma rimane da vedere se i mezzi che egli è pronto ad adottare sono i più acconci per raggiungere il fine che egli si propone. Se riuscisse ad avere dalla sua la massa del partito egli creerebbe una dittatura. Egli certamente la chiamerebbe « dittatura del popolo». Questa sarebbe in realtà in un primo tempo una dittatura del suo partito e molto rapidamente diverrebbe la dittatura dell’organismo burocratico su tutto il popolo italiano.
Egli dovrebbe sopprimere la libertà di parola e la libertà di associazione, sia economica che religiosa. Vi sarebbe una resistenza da parte di alcuni potenti interessi economici, militari ed ecclesiastici che gli darebbero! particolarmente da fare. Si avrebbero arresti ed esili in massa anche fra coloro che combatterono contro l’odiosa dittatura idi Mussolini.

Che il signor Nenni sia ansioso con tutta l’anima di servirsi della dittatura nell’interesse delle masse, nessuno che lo conosce può negarlo per un solo momento; ma mi sembra che sia discutibile al massimo grado se la bontà delle sue intenzioni giustifichi la politica che egli sembra deciso a seguire. Per prima cosa veramente non si sa se egli trionferà. La nobile sollevazione dei partigiani del nord contro Mussolini ed il suo padrone tedesco è una cosa, ma è il signor Nenni così sicuro che essi si risolleveranno per appoggiare una nuova forma di dittatura?
Se si tratta di un regime che avrà la maggioranza nelle elezioni egli può stare sicuro che le Nazioni Unite appoggeranno la scelta popolare di una repubblica. Ottenuta la maggioranza per repubblica è ovvio che i partiti di sinistra predomineranno nell’assemblea costituente.
In tal caso essi non dovrebbero avere alcuna difficoltà nell’impiegare la loro maggioranza per il raggiungimento di un vasto programma di socializzazione.
Io credo che la politica che egli cerca di fare accettare al suo partito non è, come si crede, del buon marxismo, ma un cattivo esempio di come un sincero socialista può cambiare gli eroici, ma pietosi errori di Blanqui per le idee rivoluzionarie marxiste.
L’interesse dei socialisti è di non abbandonare la democrazia o la libertà fino a che gli eventi non dimostrino che queste non sono reali né sono capaci di divenirlo nella concreta situazione del momento. Il signor Nenni crede di poter fare un'altra rivoluzione di ottobre, osservatori non meno acuti di lui sono
altrettanto convinti che egli non vi riuscirà. Egli non si preoccupa degli effetti mondiali della vittoria della democrazia in questa guerra. Non fa caso alle immense ripercussioni della vittoria socialista nelle elezioni britanniche. Sarebbe una tragedia se gli amici del Signor Nenni non potessero persuaderlo
senza Indugio. di abbandonare una condotta che sarebbe fatale a lui stesso e potrebbe ritardare di anni quel procsso di ripresa costruttiva e di rigenerazione che iI popolo italiano  merita ed alla quale il mondo intero guarda ansiosamente.»
Harold Laski

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