Il fascismo conquista tutto il potere - Raffronti con la situazione odierna
- Due importanti documenti polemici - La scuola della violenza - La riforma
corporativa e l'interesse degli studiosi stranieri - Come fu giudicato il fascismo
tra il 1926 e il 1935 - Il patto a quattro (1933), la mobilitazione al Brennero
(1934.) - Conferenza di Stresa (1933) * L'impresa di Abissinia. Essa non era inconciliabile
con l'equilibrio europeo - La guerra di Spagna e il conflitto ideologico in
Europa - Il vero errore di Mussolini - L'anno decisivo.
La tempesta del 1924 passò e Mussolini,
dopo alcuni mesi di prudente riserbo, tornò ai suoi atteggiamenti di incontrastato
dittatore. Alla notizia dell'assassinio di Giacomo Matteotti tutti avevano
pensato : « Questa è la fine del fascismo ». E invece il fascismo, dopo alcuni
mesi di sbandamento e di crisi, costruì su quella esperienza le basi della
lunga dittatura. Ma anche qui non si deve credere che ciò avvenne solo con la
violenza. Osserva il Croce nella sua Storia d'Italia dal 1870 al 1915: «
L'atteggiamento morale e politico della nuova generazione rispondeva all'irrazionalismo
delle teorie il quale, a sua volta, come si è notato, era stimolato dallo spirito
di conquista e di avventura, violento e cinico. L'ideale socialistico... non
parlava più ai giovani. L’immaginazione e la bramosia della nuova generazione e
dei delusi di quella un po’ antecedente, si rivolgevano come già prima in
Inghilterra, Germania e Francia all' "imperialismo’' o
"nazionalismo" del quale padre spirituale fu in Italia il d’Annunzio
».
Approfittando delle leggi eccezionali
seguite al 3 Gennaio 1925 la conquista
del potere da parte del fascismo si fece totale e la pretesa restaurazione dell’autorità
dello Stato si mutò in distrurione dello Stato liberale e si tramutò in una
profonda rivoluzione. Quale rivoluzione? Mussolini procedeva su due strade
alternando i tempi della sua marcia: la strada delle riforme sociali e la
strada delle aspirazioni nazionali. Nel 1926-1927 la rivoluzione marciò di
preferenza sul terreno sociale: con l'ausilio giurìdico di Rocco, Mussolini
bandì ai quattro venti la « Carta del Lavoro » e la a riforma corporativa » dello Stato, mediante la quale
doveva affossare il liberalismo. È facile dire oggi che quelle dichiarazioni o nelle
leggi erano vuote o false enunciazioni di principi che sarebbero stati
applicati solo in quanto potevano favorire la dittatura. La crisi della
democrazia parlamentare era una realtà e le leggi escogitate, per liquidare il
passato e per iniziare una nuova esperienza, interessavano logicamente gli
studiosi del mondo intero. In due volumetti dedicati alla «Bibliografìa
Corporativa» nelle edizioni della rivista Il diritto del Lavoro abbiamo notato
per gli anni 1928 e 1929 rispettivamente 2455 e 2712 voci italiane e straniere.
Non tutto era falso, non tutto era scritto in mala fede. Se il socialismo non
era stato capace di andare al potere o di compiere l'insurrezione, se il
sistema parlamentare aveva fatto fallimento e si era rivelato incapace di dare
un governo alla nazione, era naturale che una soluzione nuova della lotta
sociale e il nuovo indirizzo dello stato autoritario, della nuova democrazia accentrata,
come usava dire Mussolini, interessasse assai più della perpetua crisi dei
parlamenti europei. Se a ciò si aggiunge l'enorme incremento delle opere
pubbliche in Italia, le innegabili provvidenze per gli operai, per la maternità
e per l'infanzia, e, in campo internazionale, il rispetto dei trattati e la
ortodossa collaborazione alla Società delle Nazioni, in Ginevra, si comprenderà
come il fascismo abbia avuto in quegli anni dei plausi calorosi all’interno
come all’esterno. Sui grandi temi internazionali della revisione dei trattati,
del disarmo, delle riparazioni e dei debiti, della sicurezza collettiva, i nostri
rappresentanti svolgevano un’azione moderata e rivolta a scopi di pacifico
equilibrio. Avvenne in quegli anni, in Italia, tra il 1925 e il 1926, la
liquidazione totale dei partiti politici e della stampa di opposizione. Fu un male
e si vedono le condizioni alle quali è ridotta oggi l’Italia; si può, anzi,
aggiungere che fu un delitto. Di tale delitto si vuole, in mala fede, dopo la
fine del fascismo, rendere responsabile la Monarchia. Ma l’accusa è assurda e
disonesta. La Monarchia, si dice, ha lasciato violare lo Statuto. Parlano così,
esattamente quegli uomini e quei partiti che hanno sempre avuto il fermo proposito
di bruciare lo Statuto e il suo Regno. Privata del Parlamento, la Monarchia non
poteva avere altra funzione che quella di evitare il peggio e di contenere e
rendere inoffensive le iniziative più pericolose del dittatore. Per rendersi
conto di questa dura realtà per la Monarchia si guardi al momento attuale. Il
potere trovasi nelle mani dell’esarchia e cioè dei sei partiti che in periodo
clandestino raggiunsero un accordo nella lotta contro l’invasore e contro il
fascismo. Non esiste un Parlamento, ma esiste, con alcune limitazioni e
stranezze, la libertà di associazione e di stampa. I sei partiti non sono
concordi in nessuna delle principali questioni, ma sotto la pressione di forze
armate che agiscono con spaventosa violenza (lo squadrismo fascista con i suoi
eccessi apparirà al paragone come l’età romantica della violenza di parte) amministrano
per loro conto l'uso delle fondamentali libertà. Dopo 15 mesi dalla liberazione
di Roma è entrata in funzione una Consulta nominata dal Governo; e neppure
furono fatte le elezioni comunali e provinciali nel Mezzogiorno e nel Centro
d’Italia; e neppure fu creato un organo tecnico, qualche cosa come un Consigli di
Stato per la elaborazione delle leggi. Non vi è un accordo sul concetto di
legalità e di democrazia che alcuni intendono grosso modo come la legalità e la
democrazia del 1914; altri come la legalità e la democrazia da instaurare con
la forza per realizzare il nuovo ordine comunista. I democristiani stanno come
al solito al centro del campo, cercando di valersi delle garanzie della conservazione
e usando, d’altra parte, gli allettamenti demagogici della rivoluzione. Tra
tutti pensano di raggiungere un minimo comune denominatore gettando alla folla,
per soddisfarne la fame e le brame, le insegne della Monarchia. Ma già la
maggioranza comincia a orientarsi per suo conto al di fuori del concerto
dell’esarchia. In questi giorni (fine agosto 1945) si legge sul Risorgimento
liberale una vigorosa protesta perché in Consiglio dei Ministri si tendeva a
far passare una legge nella stampa assai più severa di quella fascista che fu
almeno ampiamente discussa e tenuta molti mesi nel cassetto del Ministero dell’Interno
e, infine, approvata in Parlamento. Nello stesso giorno si può leggere nel
settimanale La Nuova Europa (2 settembre 1945) un grave ammonimento del più acceso
dei laburisti sig. Laski al nostro Pietro Nenni.
Dice l’articolo del Laski: «Si afferma con molta autorità, che il
signor Nenni, vicepresidente del Consiglio, abbia persuasa la maggioranza del
Consiglio Nazionale del Partito socialista italiano, ad aderire alla fusione
con i comunisti, sperando che dopo le elezioni italiane, per consolidare tale
fusione, si proceda alla fondazione di uno stato a partito unico.
Si dice che egli abbia perduto la fiducia della democrazia e che egli creda
che i cambiamenti fondamentali di cui l’Italia ha bisogno non siano
raggiungibili con mezzi democratici.
Io spero di vero cuore che questa informazione non sia vera. Ho una
profonda considerazione per la onestà e sincerità del Nenni. Son d’accordo con
lui che nell’attuale inquieta situazione, l’unità delle masse lavoratrici di
ogni paese in Europa è vivamente desiderabile, non fosse altro come garanzia
contro il pericolo estremamente ovvio — per esempio in Francia — di una serie
di controrivoluzioni mosse da interessi privilegiati prima che la spinta verso
sinistra delle forze popolari si sia troppo inoltrata per essere arrestata.
Dopo lunghi anni di esilio, dopo l’insuccesso delle democrazie nel
proteggere la repubblica spagnola, dopo il triste periodo di appeasement e non
ultimo dopo la stupidità con la quale fu trattata dagli Stati Uniti e dalla
Gran Bretagna l’Italia liberata, non è difficile comprendere la disillusione di
Nenni. Ma rimane da vedere se i mezzi che egli è pronto ad adottare sono i più
acconci per raggiungere il fine che egli si propone. Se riuscisse ad avere
dalla sua la massa del partito egli creerebbe una dittatura. Egli certamente la
chiamerebbe « dittatura del popolo». Questa sarebbe in realtà in un primo tempo
una dittatura del suo partito e molto rapidamente diverrebbe la dittatura
dell’organismo burocratico su tutto il popolo italiano.
Egli dovrebbe sopprimere la libertà di parola e la libertà di associazione,
sia economica che religiosa. Vi sarebbe una resistenza da parte di alcuni
potenti interessi economici, militari ed ecclesiastici che gli darebbero!
particolarmente da fare. Si avrebbero arresti ed esili in massa anche fra
coloro che combatterono contro l’odiosa dittatura idi Mussolini.
Che il signor Nenni sia ansioso con tutta l’anima di servirsi della
dittatura nell’interesse delle masse, nessuno che lo conosce può negarlo per un
solo momento; ma mi sembra che sia discutibile al massimo grado se la bontà
delle sue intenzioni giustifichi la politica che egli sembra deciso a seguire.
Per prima cosa veramente non si sa se egli trionferà. La nobile sollevazione
dei partigiani del nord contro Mussolini ed il suo padrone tedesco è una cosa,
ma è il signor Nenni così sicuro che essi si risolleveranno per appoggiare una
nuova forma di dittatura?
Se si tratta di un regime che avrà la maggioranza nelle elezioni egli può
stare sicuro che le Nazioni Unite appoggeranno la scelta popolare di una
repubblica. Ottenuta la maggioranza per repubblica è ovvio che i partiti di
sinistra predomineranno nell’assemblea costituente.
In tal caso essi non dovrebbero avere alcuna difficoltà nell’impiegare la
loro maggioranza per il raggiungimento di un vasto programma di socializzazione.
Io credo che la politica che egli cerca di fare accettare al suo partito
non è, come si crede, del buon marxismo, ma un cattivo esempio di come un
sincero socialista può cambiare gli eroici, ma pietosi errori di Blanqui per le
idee rivoluzionarie marxiste.
L’interesse dei socialisti è di non abbandonare la democrazia o la libertà
fino a che gli eventi non dimostrino che queste non sono reali né sono capaci
di divenirlo nella concreta situazione del momento. Il signor Nenni crede di
poter fare un'altra rivoluzione di ottobre, osservatori non meno acuti di lui
sono
altrettanto convinti che egli non vi riuscirà. Egli non si preoccupa degli effetti mondiali della vittoria della democrazia in questa guerra. Non fa caso alle immense ripercussioni della vittoria socialista nelle elezioni britanniche. Sarebbe una tragedia se gli amici del Signor Nenni non potessero persuaderlo
senza Indugio. di abbandonare una condotta che sarebbe fatale a lui stesso e potrebbe ritardare di anni quel procsso di ripresa costruttiva e di rigenerazione che iI popolo italiano merita ed alla quale il mondo intero guarda ansiosamente.»
altrettanto convinti che egli non vi riuscirà. Egli non si preoccupa degli effetti mondiali della vittoria della democrazia in questa guerra. Non fa caso alle immense ripercussioni della vittoria socialista nelle elezioni britanniche. Sarebbe una tragedia se gli amici del Signor Nenni non potessero persuaderlo
senza Indugio. di abbandonare una condotta che sarebbe fatale a lui stesso e potrebbe ritardare di anni quel procsso di ripresa costruttiva e di rigenerazione che iI popolo italiano merita ed alla quale il mondo intero guarda ansiosamente.»
Harold Laski
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