NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 16 settembre 2018

Bandiere a brandelli e irriconoscibili simbolo di un Paese che non ha identità


di Salvatore Sfrecola

I funzionari pubblici dovrebbero imparare a esporre il Tricolore che ovunque vediamo lacero e scolorito, soprattutto sulle scuole

Trentatré ore di educazione civica nei programmi della scuola dell’obbligo. Lo propongono Massimiliano Capitante e Giulio Centemero, deputati della Lega. In pratica un'ora alla settimana perché. fatta l’Italia, occorre fare finalmente gli «italiani», come suggeriva Massimo D’Azeglio, nel 1861, all’indomani della costituzione dello Stato unitario. E un premio Miur «Educazione civica» per i migliori progetti.
«Oltre all’insegnamento della Costituzione (quanto mai di attualità oggi) - scrivono i parlamentari -, nel  rispetto dell’autonomia scolastica, proponiamo che siano oggetto di educazione civica l’educazione alla legalità e il contrasto al bullismo e cyberbullismo, l’educazione ambientale, l’educazione stradale, l’educazione alimentare, l’educazione al bello, l’educazione al volontariato e il contrasto alle dipendenze (droghe, alcol, ludopatia)». Che, poi, vuol dire educare alla consapevolezza della nostra identità e della nostra storia, sempre più necessario. Il 67,8%, rivela Eurispes, è favorevole alla reintroduzione nelle scuole dell’educazione civica, a suo tempo voluta dal ministro Aldo Moro. I proponenti ne hanno parlato con Marco  Bussetti. già prima che divenisse ministro dell’Istruzione e sperano che faccia propria l’iniziativa.
Riusciranno i nostri eroi? È difficile, perché l’ambiente appare assolutamente lontano dai valori che l’educazione civica intende insegnare. Un esempio. A Roma, in via Mompiani, nel centralissimo quartiere Della Vittoria, la scuola media statale espone una bandiera italiana assolutamente irriconoscibile nei suoi colori, mentre la bandiera dell’Unione europea è ormai uno straccio appeso per un lembo. L’ho segnalato su Facebook riscuotendo molte condivisioni. E non è un caso isolato. Praticamente in tutte le scuole le bandiere, esposte ininterrottamente giorno e notte, sempre le stesse d'estate e d’inverno, sono ridotte a stracci coperti di fuliggine. Come per le bandiere che
ornano, si fa per dire, la sede della Scuola nazionale dell'amministrazione in Lungotevere Armando Diaz a Roma. assolutamente irriconoscibili. Una inammissibile incuria, tra l’altro in palese violazione delle regole che disciplinano l’esposizione della bandiera sugli edifìci pubblici, di cui abbiamo scritto su La Verità del 5 agosto 2017. Grave ovunque, gravissima considerato che quel palazzo ospita la Scuola nazionale dell’amministrazione, l’istituzione, fondata nel 1957 come parte integrante della presidenza del Consiglio dei ministri, «deputata a selezionare, reclutare e formare i funzionari e i dirigenti pubblici». Ben diverso, immacolato, il tricolore di Francia che garrisce al vento pròprio sul portone dell’École nationale d’administration (Ena), voluta dal generale Charles De Gaulle. nel 1945, all’indomani della riconquista della libertà per formare la nuova classe dirigente. Dall’Ena sono usciti dirigenti pubblici e privati, ministri e inquilini dell’Eliseo.
Devo dire che per me, come per i tanti italiani che hanno vivo il senso della patria, è assolutamente deprimente la vista della bandiera nazionale in quelle condizioni, che mi è parso un autentico «vilipendio», e vorrei che la Procura della Repubblica individuasse in quelle condizioni del vessillo il delitto previsto e punito dall'articolo 292, comma 2, del codice penale con la reclusione fino a due anni per «chiunque pubblicamente e intenzionalmente ... deteriora, rende inservibile o imbratta la bandiera nazionale». Nel senso che quella esposizione ha reso la bandiera «inservibile», inidonea a rappresentare la nazione. Il simbolo di un Paese che non crede in sé stesso, di un popolo che non riconosce la propria identità.
Eppure le regole che disciplinano l'esposizione della bandiera nazionale, il «tricolore Italiano», come si esprime all’articolo 12 la Costituzione, sono rigide e precise, a cominciare dalle scuole.
Senza che si levi una qualche protesta, ma soprattutto senza che le autorità scolastiche richiamino all’ordine presidi e direttori didattici, funzionari dello Stato evidentemente senza dignità della loro funzione. I quali dimostrano anche di non sapere che quelle bandiere, che vorremmo sventolassero integre nei loro colori, non dovrebbero essere tenute giorno e notte e tanto meno durante l’estate.
Infatti la bandiera non deve essere esposta continuativamente sugli edifìci pubblici ma, ai sensi dell’articolo a, comma 1, della legge 5 febbraio 1998, n. 22 («Disposizioni generali sull'uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea») solamente «per il tempo in cui questi esercitano le rispettive funzioni e attività». Il che vuol dire, per le scuole, «nei giorni dilezioni e di esami» (articolo 4° comma 3, del decreto del presidente della Repubblica 7 aprile 2000, n.121 («Regolamento recante disciplina dell’uso delle bandiere della Repubblica italiana e delI’Unione europea da parte delle
amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici»). Con la conseguenza che non devono essere esposte di notte e in tempo di vacanze.
Pertanto la bandiera va esposta dall’alba al tramonto, alzata vivacemente ed abbassata con solennità, non deve mai toccare il suolo né l’acqua. Regole antiche che attestano un senso di rispetto che dobbiamo assolutamente ritrovare. Anche a Palazzo Chigi, dove quel regolamento è stato scritto, la bandiera esposta ininterrottamente giorno e notte è fuori delle regole.
La bandiera, ovunque rispettata ed amata, al di là del credo politico, perché quei colori sono di tutti, di destra o di sinistra, sono o dovrebbero essere il simbolo della nazione e del suo orgoglio. In Grecia, a Creta ho visto nei giorni scorsi una chiesetta che esponeva la bandiera immacolata a dire che anche sulle sponde dell'Egeo la patria è un valore di tutti.
Quando usci, sollecitata dal presidente Carlo Azeglio Ciampi, la legge sull’esposizione della bandiera nazionale, immaginai subito che sarebbe stata interpretata «all'italiana» (quanto mi addolora questa espressione).
Che l’alza bandiera sarebbe stato effettuato solamente nelle caserme e che le bandiere esposte giorno e notte, col sole o con la pioggia, sarebbero divenute in pochissimo tempo assolutamente irriconoscibili. Uno spettacolo desolante che la dice lunga sul senso di italianità dei contri concittadini che, alla visione di quella bandiera vilipesa non insorgono, se non in pochi casi, peraltro inascoltati. Bandiere che non hanno più neanche la forza di sventolare per ricordare a giovani e anziani la nostra storia, chi siamo. Forse perché non lo sappiamo, perché abbiamo avuto cattivi maestri che hanno fatto perdere progressivamente alle giovani generazioni il senso dell’appartenenza.
Eppure quel tricolore, che costa pochi euro, che qualunque dirigente scolastico potrebbe anche comprare in proprio, ha accompagnato la Formazione dello Stato nazionale fin dal 23 marzo 1848,
come aveva voluto il Re Carlo Alberto, quando i soldati del Regno di Sardegna entrarono in Lombardia per rispondere alla richiesta che Gabrio Casati gli aveva rivolto a nome del governo provvisorio milanese. Fu l’inizio di un moto conclusosi con il 4 novembre 1918 a Vittorio Veneto, con Trento e Trieste ormai italiane. Giusto cento anni fa.

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