di Gianluigi Chiaserotti
il 20 novembre 2005
a Roma al Circolo di Cultura e di Educazione politica
“Rex”
In un momento così particolare per
la nostra bella Europa, ritengo giusto ricordare un personaggio che ha
interessato intere generazioni di storici [uno del secolo XIX è senz’altro un
suo omonimo: il toscano d’adozione Eugenio Albéri (1807-1878)], di politici e
di diplomatici. E’ quindi con piacere che ho pensato di esporVi la figura di
Eugenio di Savoia quale condottiero, quale crociato nel suo etimo tradizionale
(ispirato dalla Madonna), quale europeista “ante
litteram”.
Per l’odierna occasione ho
volutamente inserito una premessa relativa ai fatti essenziali della battaglia
di Lepanto in quanto è il vero e reale antefatto, il proscenio, il proemio, è
l’inizio della decadenza della potenza ottomana, che sarà completata, come
vedremo, dal nostro personaggio; poi tracceremo la vita di Eugenio e
concluderemo con un doveroso e necessario pensiero all’Europa che fu tutta la
ragione e tutto il vero credo della sua esistenza.
I fatti della battaglia di Lepanto,
combattuta il 7 ottobre 1571, tra la Lega Santa comandata da Don Giovanni
d’Austria contro i turchi di Alì Pascià sono più che noti. L’idea di San Pio V
[Antonio (Michele) Ghisleri, 1566-1572]; le
trattative tra il nunzio papale ed il Re di Spagna, Filippo II (1556-1598); la
sua determinante adesione; la chiamata alle armi quasi con l’antico spirito di
crociata di tutti i principi europei desiderosi di apprendere l’arte della
guerra: dal genovese Andrea Doria allo spagnolo Santa Cruz, dal piemontese
Andrea Provana di Leynì, primo Ammiraglio di Casa Savoia sotto il ducato di
Emanuele Filiberto “Testa di Ferro” (1528- 1580) a Don Cesare Cavaniglia, comandante della
flotta inviata dal Granducato di Toscana e dal S.M.O. di Ordine di Santo
Stefano Papa e Martire, da Marcantonio Colonna al Priore Giustiniani del S.M.O.
di Malta; la battaglia in se stessa; la vittoria; il giubilo dell’Europa
cristiana e tradizionale.
E’ una pagina di storia
da non dimenticare poiché è l’ultima, vera ed autentica crociata che ci si
tramandi. E’ quel medesimo spirito che si incarnò in Eugenio di Savoia.
Ma, come sappiamo,
Lepanto non fu la definitiva uscita di scena e la sconfitta della potenza
turca. Essa fu la vittoria morale con risultati politici e materiali immediati
molto modesti.
Infatti pochi anni dopo
i turchi ebbero nuovamente ragione e lo spirito di San Pio V non c’era più.
La pagina di Lepanto,
praticamente, rappresentò lo scontro tra due mondi e due civiltà. E’ il
significato cristiano del bene che deve emergere, cercandolo e mettendolo in
evidenza!
Animati da codesto
spirito, facciamo un salto immaginario di circa centoventi anni per giungere
all’opera ed alle gesta del personaggio che vogliamo ricordare: Eugenio di
Savoia.
Quando si parla di
Eugenio di Savoia-Soissons, si intende delineare la figura e le gesta di un
grande generale, di un moderno uomo di stato, di un politico e diplomatico
finissimo, di un europeista “ante litteram”, di uno dei più grandi
condottieri moderni, di un cattolico fervente.
Ma prima di tracciarne
la biografia, e quindi le gesta, cerchiamo di inquadrarlo nell’albero
genealogico della Real Casa di Savoia.
Emanuele Filiberto di
Savoia, detto “Testa di Ferro”, il secondo Fondatore dello Stato Sabaudo, ebbe
– come unico erede legittimo – Carlo Emanuele I (1562-1630), il quale sposò
Caterina d’Absburgo, figlia del Re di Spagna Filippo II, poc’anzi ricordato per
la battaglia di Lepanto, dalla quale il Duca Sabaudo ebbe sei figli: l’ultimo
di codesti, Tommaso (1596-1656) - Capostipite della Linea di Carignano ed attuale
Linea principale del Casato - dalla consorte – Maria di Soissons – ebbe, fra
l’altro, Eugenio Maurizio (1633-1673), creato conte di Soissons (titolo
derivatogli dalla madre), il quale, a sua volta, sposò la romana Olimpia
Mancini, figlia di Giulia Mazarino [sorella del famoso Cardinale Giulio
Mazarino (1602-1661)]; da questo ultimo matrimonio nacquero ben otto figli: il
quarto è il nostro personaggio: Eugenio di Savoia-Soissons.
Passato alla Storia
come “Prinz Eugen”, Eugenio-Francesco, Principe di Savoia
Carignano Soissons nacque a Parigi il 18 ottobre 1663. Destinato, perché
cadetto, alla carriera ecclesiastica (per questo motivo fu soprannominato “le petit abbé de Savoy”), a
vent’anni, “sua sponte”, chiese udienza al Luigi XIV (1638-1715) il “Re Sole”
per esporgli la sua ferma volontà di deporre l’abito talare e per chiedere il
comando di una compagnia di cavalleria; la risposta del Sovrano fu un netto
rifiuto, di cui più tardi il Re si pentì considerandolo il più grande errore
del suo regno.
Eugenio, quindi, decise di
arruolarsi volontario in un reggimento austriaco di dragoni impegnato nelle
operazioni al fine di liberare Vienna dai turchi. Iniziava così il suo “status”
di Principe Imperiale, combattendo al fianco di Giovanni III Sobieskj
(1624-1696) , Re di Polonia, accorso in ausilio a Vienna!
Fu la mitica prima
volta che Eugenio vide la città alla quale sarà legato per tutta la vita.
Fu promosso colonnello dei dragoni,
tenente generale (1687) e (1690) generale di cavalleria.
Nel 1691, dopo aver promosso l’alleanza
imperiale con il “cugino” Vittorio Amedeo II (1666-1732), Duca di Savoia
(1675-1720), Re di Sicilia (1713-1718) e primo Re di Sardegna (1720-1732),
contro la Francia, Eugenio liberò la città di Cuneo assediata.
Vienna 1697: è un altro momento
glorioso della sua vita contro i turchi. Eugenio ha 34 anni e, cessata la
lunga guerra tra la Francia e l’Austria, viene nominato comandante supremo
dell’Armata Imperiale contro gli Ottomani che tendevano a preparare un’avanzata
verso l’Occidente.
L’11 settembre, giorno
della vigilia della Festa del Santo Nome di Maria, il Nostro riporta una
vittoria sfolgorante contro il sultano Mustafà a Zenta, sul fiume Tibisco. Più
di diecimila turchi periscono nel fiume, oltre ventimila sul campo. Le perdite
dell’esercito imperiale non superano i trecento morti. Il sultano è costretto a
sottoscrivere la pace di Carlowitz. Ungheria e Transilvania passano sotto la
Corona absburgica. La
formidabile vittoria dette al Principe Eugenio fama europea!
Il 12 settembre, il Papa Innocenzo
XI (Benedetto Odescalchi, 1676-1689) lo consacrò al nome di Maria e da
festeggiarsi in tutta la Chiesa per commemorare la vittoria attribuita alla Sua
intercessione; l’immagine della quale, su fondo rosso e cosparso di stelle,
formava la bandiera del Re Vittorio Amedeo II, che stimava il Principe Eugenio
e lo favoriva ed al quale egli si rivolgeva con la commovente inesperta fiducia
dei giovani.
E fu proprio per questa fiducia ed
al sacrificio di Pietro Micca che
Torino, il 7 settembre 1706, fu liberata da parte del Principe Eugenio e venne
eretta in ringraziamento a ciò la Basilica di Superga.
Eugenio aveva giurato che sarebbe
rientrato in Francia solo con la “spada lucente” in pugno, e non risparmiò sconfitte al Re
Sole: Blenheim nel 1704; Audenarde nel 1708; Malplaquet nel 1709. Nel luglio
1710, insieme all’inglese Duca di Malborough (John Churcill), espugna Tournal,
la fortezza più munita di Francia, la “Maginot” dell’epoca, progettata dal
Vauban per difendere Parigi. Ma il capolavoro militare del
Principe Eugenio fu, nel 1715, a Belgrado!
In tale occasione
nuovamente i Turchi tentano un supremo attacco contro l’Occidente.
Questa volta il Papa è
Clemente XI (Gianfrancesco Albani, 1700-1721). Egli si ispira ai suoi
predecessori: San Pio V (Lepanto) ed Innocenzo XI (Vienna) e lancia un appello
ai principi europei e cattolici per difendere la Cristianità, così, come
abbiamo visto, fece San Pio V per la battaglia di Lepanto.
Il vincitore di Zenta
riprende il supremo comando.
Eugenio di Savoia ha 53
anni e lo accompagnano, come si è detto, i giovani principi di tutte le Case
d’Europa per apprendere, ed al meglio, l’arte della guerra (l’”ars pugnandi“
mediovale).
I Turchi assediano
Peterwadein, presso il Danubio, e sono comandati dal Gran Visir in persona. La
mattina del 5 agosto 1715, festa della Madonna della Neve, il Principe Eugenio
offre battaglia in campo aperto ad un nemico tre volte superiore.
E’ una nuova, splendida
vittoria, ed ispirata – ancora una volta – dalla Madonna.
Tutta l’Europa giubila.
A Roma, per volontà papale, furono suonate
tutte le campane ed illuminata a festa la città. Clemente XI concesse ad
Eugenio di Savoia l’onore del “pileo e dello stocco” . Si trattava di
una berretta e di una spada benedetta che investivano l’insignito della dignità
di Generale della Santa Chiesa. Eugenio volle che codesta cerimonia si
svolgesse con la massima solennità militare e liturgica. Fu l’onore più grande che ottenne ed il più significativo.
Il
13 ottobre 1715 egli libera la fortezza di Temesvar. L’entusiasmo a Vienna sale
alle stelle. La fortezza era stata nelle mani turche per ben 164 anni. Il
22 agosto 1717 conquista Belgrado e l’imperatore d’Austria, in tale occasione Carlo VI (1685-1740),
consegna al Principe Eugenio di Savoia il bastone di Maresciallo. Tale
riconoscimento segna la nascita del
detto: “che bel grado a… Belgrado”.
Il
21 aprile 1736, a 73 anni, il Principe Eugenio di Savoia Carignano Soissons
moriva in Vienna nella sua residenza di Himmelpfortgasse, il Castello del
Belvedere. Moriva nel sonno, lui che fu guida insonne di tante battaglie.
Nessuno gli avrebbe mai preconizzato una vita tanto lunga (per l’epoca) dato il
suo gracile aspetto ed una gioventù contrassegnata da malattie che aveva saputo
vincere con una eccezionale vitalità ed una forza di volontà che andava oltre
l’umano. In questo aspetto egli
ci ricorda un suo antenato. E’ Emanuele Filiberto di Savoia. Pure lui era
cadetto e destinato alla vita ecclesiastica. Era gracile e macilento. Salì al
trono ducale dello Stato Sabaudo per la prematura scomparsa del fratello
maggiore Ludovico (1523-1536). Sappiamo che Eugenio prese il posto del fratello
Luigi Giulio (detto “il Cavaliere di Savoia”), caduto contro i Turchi e dalla
parte imperiale austriaca. Ed Anche Emanuele Filiberto si mise dalla parte
imperiale con Carlo V e regnò a lungo e con grande gloria.
Nel ricordare la scomparsa del
Principe Eugenio, gli storici narrano anche un fatto, insieme misterioso e
commovente: nella notte fra il 20 ed il 21 aprile 1736, in cui, come abbiamo
visto, il Principe spirò, il magnifico leone del suo zoo del Palazzo del
Belvedere, affezionatissimo al Nostro, fu udito ruggire a lungo lamentosamente
e dalla mattina seguente non volle più prendere cibo e si lasciò morire.
Soffermiamoci ora brevemente in
alcuni aspetti della vita di Eugenio di Savoia e sul significato delle sue
gesta eroiche.
Eugenio di Savoia-Soissons fu, come
già ricordato, un europeista, un condottiero, un mecenate, un politico
finissimo, uno spirito cristiano e fu soprattutto sopranazionale quanto a “forma
mentis”. Tra l’altro amava firmarsi in tre lingue:
Eugenio
Von Savoy
Disse di lui,Federico
II “il Grande” (1712-1786) di Prussia:
“(…) se sono buono a
qualcosa, se capisco qualcosa del mestiere e soprattutto di certe complicate
finezze, lo debbo al Principe Eugenio; egli era l’Atlante della Monarchia, che
resse con il suo genio militare e politico.”
Al
riconoscimento del sovrano prussiano, a quelli dei contemporanei e dei posteri,
alle opere monumentali e scientificamente rigorose a lui dedicate, alla grande
stima di cui godette presso Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) e Voltaire
[François-Marie Arouet (1694-1778)] è bene ricordare i giudizi di Napoleone I e
di Otto d’Absburgo (1912-2011), il discendente degli imperatori che il Nostro
servì con tanta intelligenza e lealtà. Scrive Nicolas Henderson nella
prefazione del suo “Eugenio di Savoia”, riportando un passo di una lettera di
Napoleone alla prima moglie Giuseppina: “Sette sono i grandi condottieri del mondo:
Alessandro, Annibale, Cesare, Gustavo Adolfo, Turenne, Eugenio di Savoia e Federico
II di Prussia”.
Ecco
che qui ritorna il concetto di
condottiero, nel suo etimo tradizionale, come si diceva all’inizio.
Un
giudizio limitato alle doti militari quello del Grande Còrso. Più attento a
quelle politiche per Otto d’Absburgo:
“Guida e stratega delle grandi battaglie,
in esse non si esaurì. Più importanti, infatti, ci appaiono oggi la
lungimirante capacità politica, le straordinarie doti di statista che
consentirono al Principe Eugenio di subordinare le azioni belliche ad una ben
più ampia concezione e di porre alla politica absburgica obiettivi lontanti,
obiettivi senza tempo. Eugenio riuscì a scorgere, oltre i limiti della sua
epoca, ciò che noi cominciamo a capire soltanto ora, provati come siamo dalle
catastrofi del nostro secolo: la visione di un’Europa naturalmente unitaria pur
nelle sue diverse articolazioni”.
Eugenio credeva che lo spirito prettamente
europeo e cristiano si dovesse manifestare nei campi più diversi: dalla
solidarietà sovrastatale delle “elites” del tempo; all’arte, che nel
Barocco aveva trovato un’espressione così omogenea ed armonicamente articolata,
da poter comprendere architettura, musica, pittura e scultura; alla costante e
giusta preoccupazione di anteporre alla guerra per la guerra la ricerca della
stabilità, della sicurezza, della pace europea, delle alleanze durature per
equilibri duraturi.
A
codesto proposito è bene ricordare che la pace… Chi la desidera? Dove vi è un
uomo; dove vi è un cuore che batte, vi è un desiderio di pace. Anche chi fa la
guerra non desidera altro che la pace. Celebre è (e non sta a noi commentarlo)
l’assioma di colui che Dante nel IV canto dell’Inferno, verso 131, definisce “lo
maestro di color che sanno” Aristotile (384 a. C. – 322 a. C.): “lo
scopo della guerra è la pace”
E
San Tommaso d’Aquino (ca. 1221-1274) spiega come non vi è uomo che non tenda al
bene, o meglio ad un bene, e la pace ha appunto per oggetto il bene: è il
riposo delle nostre facoltà nel bene conquistato.
Ma
torniamo al nostro personaggio. Le espressioni “salvezza dell’Europa” e “sicurezza
dell’Europa” ricorrono spesso nelle sue lettere all’imperatore Carlo VI dal
1712 al 1723, e questi concetti, così moderni ed attuali, sono stati
predominanti nella stesura della pace di Utrecht (11 aprile 1713), di Rastadt
(7 marzo 1714) e di Baden (6 febbraio 1715).
Nell’Impero egli non vedeva le
nazioni, bensì la realizzazione dell’idea dell’Impero come concezione modello
per l’Europa fondata sui principi comuni, quelli cristiani, sulla coesistenza
di popoli diversi, su concezioni sopranazionali armonizzate con le realtà
particolari di ciascun stato. Di già Carlo V (1500-1558) ricollegava il suo
mandato sopranazionale alla concezione dell’Impero di Carlo Magno, degli
Ottoni, degli Hohenstaufen, nel tentativo di indirizzare la cristianità verso
un programma d’impegno comune che l’avrebbe vista mobilitata, unita e
vittoriosa, come abbiamo visto, contro il Turchi a Lepanto prima,
successivamente a Vienna ed infine a Belgrado.
Contro l’egemonismo ed il
nazionalismo della Francia, Eugenio credette nella naturale sovranazionalità
dell’Europa; ai particolarismi preferì obiettivi universali ignorando ogni
mediocrità e stabilendo, anche nelle relazioni diplomatiche e quindi nelle
amicizie, da Giambattista Vico (1668-1744) a
Leibniz, da Federico II il Grande all’inglese Duca di Malborough, al
Voltaire, che disse di lui:
“(…) scosse la grandezza di Luigi XIV e
della potenza ottomana (…) governò l’impero nonostante tutte le vittorie e gli
incarichi ricoperti (…) sdegnò le tentazioni del fasto e della ricchezza”, quale confronto delle intelligenze fra
uomini sostanzialmente superiori. Egli immaginava ad una federazione di stati,
ed in una sua lettera Duca di Malborough, datata 22 maggio 1717, chiaramente
scriveva: “(…) le alleanze prodotte solo dal caso o da un interesse
momentaneo non ispirano grande fiducia. Ma se le potenze marittime decidono
concordemente che la pace europea dipenda dall’esistenza della Germania e
dell’Italia allora si puo’ dire che un interesse comune sia il momento
unificatore di una confederazione di stati da cui ci si puo’ aspettare anche
una buona solidità per l’Europa.”. Nel momento in cui decise di
lasciare la Francia per il rifiuto del Re Sole, si incontrò nei pressi del
Danubio con l’imperatore Leopoldo I (1640-1705) ed il 20 agosto 1683, neanche
ventenne, così solennemente giurò:“Prometto la integra fedeltà costante di
sacrificare in tutti, anche i maggiori pericoli della guerra, tutte le mie
forze fino all’ultima goccia di sangue, per il benessere e la potenza della Sua
Maestà e della somma Casa d’Austria. Dio e la Madonna me ne siano testimoni”.
Praticamente,
in codesto giuramento, c’è tutta la fede ed il sacrificio del Principe Eugenio
di Savoia-Soissons.
Infatti,
se analizziamo le di lui origini, egli è la personificazione dell’Europa
tradizionale cristiana e mariana: aveva sangue dei Borbone, attraverso l’ava
paterna, ma anche sangue absburgico poiché suo nonno era nipote di Filippo II e
pronipote di Carlo V. Ancora qualche pensiero per concludere questa
bella pagina di storiografia europea, cristiana e mariana.
Eugenio era un uomo solitario ed
andava in battaglia indossando un’armatura bruna su panni quasi scarlatti e,
dopo una brevissima preghiera, prima dell’azione, sembra gridasse “avanti”,
accompagnando il grido con un unico breve movimento della mano. A proposito
dell’importanza della preghiera, ho trovato, in un antico libro del Secolo XIX
una nota a piè di pagina, che accenna a ciò: “(…) le preghiere che il
principe Eugenio recitava prima della battaglia erano l’Ave Maria e “impone,
Domine, capiti meo galeam salutis, ad expugnandos diabolicos incursus” (…)“.
Quest’ultima, propriamente, nell’accingersi ad indossare l’elmo, è la medesima
orazione che recitavano i sacerdoti nell’imporsi il paramento sacro denominato
amitto, che è il “galeam salutis” cioè l’elmo della salvezza, quasi al
fine di rendere invulnerabile il sacerdote nei suoi combattimenti contro
l’infernale nemico. Questa preghiera, senza dubbio, Eugenio la fece sua date le
origini di destinato alla vita religiosa, perché cadetto.
Il Principe Eugenio di
Savoia-Soissons è sepolto in Vienna, nella Cattedrale di Santo Stefano, come un
re. Infatti anch’egli fu un re: “le roi des honnets hommes” (“il re
della gente onesta”).
Il Principe Eugenio era di media
statura, longilineo, con viso affilato, di colore olivastro, con naso aquilino
e con occhi nerissimi e penetranti.
La
Sua immagine fisica ci è giunta da descrizioni di contemporanei e riprodotta in
vari quadri e sculture, fra i quali: il quadro di Van Schuppen, nella
Pinacoteca di Torino, che lo raffigura sul cavallo bianco, con spada al fianco
e bastone di comando, dopo la vittoria sui turchi; il quadro del Kupetzki, in
cui è ritratto con corazza e quello donato dal Re Umberto II (1904-1983) il 28
febbraio 1970 al Museo “Pietro Micca” di Torino.
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