NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 1 giugno 2012

Eugenio di Savoia Difensore della Tradizione e della Cristianità I Parte


 di Gianluigi Chiaserotti 

Dalla conversazione tenuta
il 20 novembre 2005
a Roma al Circolo di Cultura e di Educazione politica “Rex”



In un momento così particolare per la nostra bella Europa, ritengo giusto ricordare un personaggio che ha interessato intere generazioni di storici [uno del secolo XIX è senz’altro un suo omonimo: il toscano d’adozione Eugenio Albéri (1807-1878)], di politici e di diplomatici. E’ quindi con piacere che ho pensato di esporVi la figura di Eugenio di Savoia quale condottiero, quale crociato nel suo etimo tradizionale (ispirato dalla Madonna), quale europeista “ante litteram”.
Per l’odierna occasione ho volutamente inserito una premessa relativa ai fatti essenziali della battaglia di Lepanto in quanto è il vero e reale antefatto, il proscenio, il proemio, è l’inizio della decadenza della potenza ottomana, che sarà completata, come vedremo, dal nostro personaggio; poi tracceremo la vita di Eugenio e concluderemo con un doveroso e necessario pensiero all’Europa che fu tutta la ragione e tutto il vero credo della sua esistenza.
I fatti della battaglia di Lepanto, combattuta il 7 ottobre 1571, tra la Lega Santa comandata da Don Giovanni d’Austria contro i turchi di Alì Pascià sono più che noti. L’idea di San Pio V [Antonio (Michele) Ghisleri, 1566-1572]; le trattative tra il nunzio papale ed il Re di Spagna, Filippo II (1556-1598); la sua determinante adesione; la chiamata alle armi quasi con l’antico spirito di crociata di tutti i principi europei desiderosi di apprendere l’arte della guerra: dal genovese Andrea Doria allo spagnolo Santa Cruz, dal piemontese Andrea Provana di Leynì, primo Ammiraglio di Casa Savoia sotto il ducato di Emanuele Filiberto “Testa di Ferro” (1528- 1580)  a Don Cesare Cavaniglia, comandante della flotta inviata dal Granducato di Toscana e dal S.M.O. di Ordine di Santo Stefano Papa e Martire, da Marcantonio Colonna al Priore Giustiniani del S.M.O. di Malta; la battaglia in se stessa; la vittoria; il giubilo dell’Europa cristiana e tradizionale.
E’ una pagina di storia da non dimenticare poiché è l’ultima, vera ed autentica crociata che ci si tramandi. E’ quel medesimo spirito che si incarnò in Eugenio di Savoia.
Ma, come sappiamo, Lepanto non fu la definitiva uscita di scena e la sconfitta della potenza turca. Essa fu la vittoria morale con risultati politici e materiali immediati molto modesti.
Infatti pochi anni dopo i turchi ebbero nuovamente ragione e lo spirito di San Pio V non c’era più.
La pagina di Lepanto, praticamente, rappresentò lo scontro tra due mondi e due civiltà. E’ il significato cristiano del bene che deve emergere, cercandolo e mettendolo in evidenza!
Animati da codesto spirito, facciamo un salto immaginario di circa centoventi anni per giungere all’opera ed alle gesta del personaggio che vogliamo ricordare: Eugenio di Savoia.
Quando si parla di Eugenio di Savoia-Soissons, si intende delineare la figura e le gesta di un grande generale, di un moderno uomo di stato, di un politico e diplomatico finissimo, di un europeista “ante litteram”, di uno dei più grandi condottieri moderni, di un cattolico fervente.
Ma prima di tracciarne la biografia, e quindi le gesta, cerchiamo di inquadrarlo nell’albero genealogico della Real Casa di Savoia.
Emanuele Filiberto di Savoia, detto “Testa di Ferro”, il secondo Fondatore dello Stato Sabaudo, ebbe – come unico erede legittimo – Carlo Emanuele I (1562-1630), il quale sposò Caterina d’Absburgo, figlia del Re di Spagna Filippo II, poc’anzi ricordato per la battaglia di Lepanto, dalla quale il Duca Sabaudo ebbe sei figli: l’ultimo di codesti, Tommaso (1596-1656) - Capostipite della Linea di Carignano ed attuale Linea principale del Casato - dalla consorte – Maria di Soissons – ebbe, fra l’altro, Eugenio Maurizio (1633-1673), creato conte di Soissons (titolo derivatogli dalla madre), il quale, a sua volta, sposò la romana Olimpia Mancini, figlia di Giulia Mazarino [sorella del famoso Cardinale Giulio Mazarino (1602-1661)]; da questo ultimo matrimonio nacquero ben otto figli: il quarto è il nostro personaggio: Eugenio di Savoia-Soissons.
Passato alla Storia come “Prinz Eugen”, Eugenio-Francesco, Principe di Savoia Carignano Soissons nacque a Parigi il 18 ottobre 1663. Destinato, perché cadetto, alla carriera ecclesiastica (per questo motivo fu soprannominato “le petit abbé de Savoy”), a vent’anni, “sua sponte”, chiese udienza al Luigi XIV (1638-1715) il “Re Sole” per esporgli la sua ferma volontà di deporre l’abito talare e per chiedere il comando di una compagnia di cavalleria; la risposta del Sovrano fu un netto rifiuto, di cui più tardi il Re si pentì considerandolo il più grande errore del suo regno.
Eugenio, quindi, decise di arruolarsi volontario in un reggimento austriaco di dragoni impegnato nelle operazioni al fine di liberare Vienna dai turchi.              Iniziava così il suo “status” di Principe Imperiale, combattendo al fianco di Giovanni III Sobieskj (1624-1696) , Re di Polonia, accorso in ausilio a Vienna!
Fu la mitica prima volta che Eugenio vide la città alla quale sarà legato per tutta la vita.
Fu promosso colonnello dei dragoni, tenente generale (1687) e (1690) generale di cavalleria.
 Nel 1691, dopo aver promosso l’alleanza imperiale con il “cugino” Vittorio Amedeo II (1666-1732), Duca di Savoia (1675-1720), Re di Sicilia (1713-1718) e primo Re di Sardegna (1720-1732), contro la Francia, Eugenio liberò la città di Cuneo assediata.
Vienna 1697: è un altro momento glorioso della sua vita contro i turchi.               Eugenio ha 34 anni e, cessata la lunga guerra tra la Francia e l’Austria, viene nominato comandante supremo dell’Armata Imperiale contro gli Ottomani che tendevano a preparare un’avanzata verso l’Occidente.
L’11 settembre, giorno della vigilia della Festa del Santo Nome di Maria, il Nostro riporta una vittoria sfolgorante contro il sultano Mustafà a Zenta, sul fiume Tibisco. Più di diecimila turchi periscono nel fiume, oltre ventimila sul campo. Le perdite dell’esercito imperiale non superano i trecento morti. Il sultano è costretto a sottoscrivere la pace di Carlowitz. Ungheria e Transilvania passano sotto la Corona absburgica. La formidabile vittoria dette al Principe Eugenio fama europea!
Il 12 settembre, il Papa Innocenzo XI (Benedetto Odescalchi, 1676-1689) lo consacrò al nome di Maria e da festeggiarsi in tutta la Chiesa per commemorare la vittoria attribuita alla Sua intercessione; l’immagine della quale, su fondo rosso e cosparso di stelle, formava la bandiera del Re Vittorio Amedeo II, che stimava il Principe Eugenio e lo favoriva ed al quale egli si rivolgeva con la commovente inesperta fiducia dei giovani.
E fu proprio per questa fiducia ed al sacrificio di Pietro Micca  che Torino, il 7 settembre 1706, fu liberata da parte del Principe Eugenio e venne eretta in ringraziamento a ciò la Basilica di Superga.
Eugenio aveva giurato che sarebbe rientrato in Francia solo con la “spada lucente”  in pugno, e non risparmiò sconfitte al Re Sole: Blenheim nel 1704; Audenarde nel 1708; Malplaquet nel 1709. Nel luglio 1710, insieme all’inglese Duca di Malborough (John Churcill), espugna Tournal, la fortezza più munita di Francia, la “Maginot” dell’epoca, progettata dal Vauban per difendere Parigi.                   Ma il capolavoro militare del Principe Eugenio fu, nel 1715, a Belgrado!
In tale occasione nuovamente i Turchi tentano un supremo attacco contro l’Occidente.
Questa volta il Papa è Clemente XI (Gianfrancesco Albani, 1700-1721). Egli si ispira ai suoi predecessori: San Pio V (Lepanto) ed Innocenzo XI (Vienna) e lancia un appello ai principi europei e cattolici per difendere la Cristianità, così, come abbiamo visto, fece San Pio V per la battaglia di Lepanto.
Il vincitore di Zenta riprende il supremo comando.
Eugenio di Savoia ha 53 anni e lo accompagnano, come si è detto, i giovani principi di tutte le Case d’Europa per apprendere, ed al meglio, l’arte della guerra (l’”ars pugnandi“ mediovale).
I Turchi assediano Peterwadein, presso il Danubio, e sono comandati dal Gran Visir in persona. La mattina del 5 agosto 1715, festa della Madonna della Neve, il Principe Eugenio offre battaglia in campo aperto ad un nemico tre volte superiore.
E’ una nuova, splendida vittoria, ed ispirata – ancora una volta – dalla Madonna.
Tutta l’Europa giubila. A Roma, per volontà papale, furono suonate  tutte le campane ed illuminata a festa la città. Clemente XI concesse ad Eugenio di Savoia l’onore del “pileo e dello stocco” . Si trattava di una berretta e di una spada benedetta che investivano l’insignito della dignità di Generale della Santa Chiesa. Eugenio volle che codesta cerimonia si svolgesse con la massima solennità militare e liturgica. Fu l’onore più grande  che ottenne ed il più significativo.
Il 13 ottobre 1715 egli libera la fortezza di Temesvar. L’entusiasmo a Vienna sale alle stelle. La fortezza era stata nelle mani turche per ben 164 anni.                           Il 22 agosto 1717 conquista Belgrado e l’imperatore d’Austria,  in tale occasione Carlo VI (1685-1740), consegna al Principe Eugenio di Savoia il bastone di Maresciallo. Tale riconoscimento segna  la nascita del detto: “che bel grado a… Belgrado”.
Il 21 aprile 1736, a 73 anni, il Principe Eugenio di Savoia Carignano Soissons moriva in Vienna nella sua residenza di Himmelpfortgasse, il Castello del Belvedere. Moriva nel sonno, lui che fu guida insonne di tante battaglie. Nessuno gli avrebbe mai preconizzato una vita tanto lunga (per l’epoca) dato il suo gracile aspetto ed una gioventù contrassegnata da malattie che aveva saputo vincere con una eccezionale vitalità ed una forza di volontà che andava oltre l’umano.                        In questo aspetto egli ci ricorda un suo antenato. E’ Emanuele Filiberto di Savoia. Pure lui era cadetto e destinato alla vita ecclesiastica. Era gracile e macilento. Salì al trono ducale dello Stato Sabaudo per la prematura scomparsa del fratello maggiore Ludovico (1523-1536). Sappiamo che Eugenio prese il posto del fratello Luigi Giulio (detto “il Cavaliere di Savoia”), caduto contro i Turchi e dalla parte imperiale austriaca. Ed Anche Emanuele Filiberto si mise dalla parte imperiale con Carlo V e regnò a lungo e con grande gloria.
Nel ricordare la scomparsa del Principe Eugenio, gli storici narrano anche un fatto, insieme misterioso e commovente: nella notte fra il 20 ed il 21 aprile 1736, in cui, come abbiamo visto, il Principe spirò, il magnifico leone del suo zoo del Palazzo del Belvedere, affezionatissimo al Nostro, fu udito ruggire a lungo lamentosamente e dalla mattina seguente non volle più prendere cibo e si lasciò morire.
Soffermiamoci ora brevemente in alcuni aspetti della vita di Eugenio di Savoia e sul significato delle sue gesta eroiche.
Eugenio di Savoia-Soissons fu, come già ricordato, un europeista, un condottiero, un mecenate, un politico finissimo, uno spirito cristiano e fu soprattutto sopranazionale quanto a “forma mentis”. Tra l’altro amava firmarsi in tre lingue:

Eugenio Von Savoy

Disse di lui,Federico II “il Grande” (1712-1786) di Prussia:
(…) se sono buono a qualcosa, se capisco qualcosa del mestiere e soprattutto di certe complicate finezze, lo debbo al Principe Eugenio; egli era l’Atlante della Monarchia, che resse con il suo genio militare e politico.”
Al riconoscimento del sovrano prussiano, a quelli dei contemporanei e dei posteri, alle opere monumentali e scientificamente rigorose a lui dedicate, alla grande stima di cui godette presso Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716) e Voltaire [François-Marie Arouet (1694-1778)] è bene ricordare i giudizi di Napoleone I e di Otto d’Absburgo (1912-2011), il discendente degli imperatori che il Nostro servì con tanta intelligenza e lealtà. Scrive Nicolas Henderson nella prefazione del suo “Eugenio di Savoia”, riportando un passo di una lettera di Napoleone alla prima moglie Giuseppina:  “Sette sono i grandi condottieri del mondo: Alessandro, Annibale, Cesare, Gustavo Adolfo, Turenne, Eugenio di Savoia e Federico II di Prussia”.
Ecco che qui ritorna  il concetto di condottiero, nel suo etimo tradizionale, come si diceva all’inizio.
Un giudizio limitato alle doti militari quello del Grande Còrso. Più attento a quelle politiche per Otto d’Absburgo:
 “Guida e stratega delle grandi battaglie, in esse non si esaurì. Più importanti, infatti, ci appaiono oggi la lungimirante capacità politica, le straordinarie doti di statista che consentirono al Principe Eugenio di subordinare le azioni belliche ad una ben più ampia concezione e di porre alla politica absburgica obiettivi lontanti, obiettivi senza tempo. Eugenio riuscì a scorgere, oltre i limiti della sua epoca, ciò che noi cominciamo a capire soltanto ora, provati come siamo dalle catastrofi del nostro secolo: la visione di un’Europa naturalmente unitaria pur nelle sue diverse articolazioni”.
 Eugenio credeva che lo spirito prettamente europeo e cristiano si dovesse manifestare nei campi più diversi: dalla solidarietà sovrastatale delle “elites” del tempo; all’arte, che nel Barocco aveva trovato un’espressione così omogenea ed armonicamente articolata, da poter comprendere architettura, musica, pittura e scultura; alla costante e giusta preoccupazione di anteporre alla guerra per la guerra la ricerca della stabilità, della sicurezza, della pace europea, delle alleanze durature per equilibri duraturi.
A codesto proposito è bene ricordare che la pace… Chi la desidera? Dove vi è un uomo; dove vi è un cuore che batte, vi è un desiderio di pace. Anche chi fa la guerra non desidera altro che la pace. Celebre è (e non sta a noi commentarlo) l’assioma di colui che Dante nel IV canto dell’Inferno, verso 131, definisce “lo maestro di color che sanno” Aristotile (384 a. C. – 322 a. C.): “lo scopo della guerra è la pace
E San Tommaso d’Aquino (ca. 1221-1274) spiega come non vi è uomo che non tenda al bene, o meglio ad un bene, e la pace ha appunto per oggetto il bene: è il riposo delle nostre facoltà nel bene conquistato.
Ma torniamo al nostro personaggio. Le espressioni “salvezza dell’Europa” e “sicurezza dell’Europa” ricorrono spesso nelle sue lettere all’imperatore Carlo VI dal 1712 al 1723, e questi concetti, così moderni ed attuali, sono stati predominanti nella stesura della pace di Utrecht (11 aprile 1713), di Rastadt (7 marzo 1714) e di Baden (6 febbraio 1715).
Nell’Impero egli non vedeva le nazioni, bensì la realizzazione dell’idea dell’Impero come concezione modello per l’Europa fondata sui principi comuni, quelli cristiani, sulla coesistenza di popoli diversi, su concezioni sopranazionali armonizzate con le realtà particolari di ciascun stato. Di già Carlo V (1500-1558) ricollegava il suo mandato sopranazionale alla concezione dell’Impero di Carlo Magno, degli Ottoni, degli Hohenstaufen, nel tentativo di indirizzare la cristianità verso un programma d’impegno comune che l’avrebbe vista mobilitata, unita e vittoriosa, come abbiamo visto, contro il Turchi a Lepanto prima, successivamente a Vienna ed infine a Belgrado.
Contro l’egemonismo ed il nazionalismo della Francia, Eugenio credette nella naturale sovranazionalità dell’Europa; ai particolarismi preferì obiettivi universali ignorando ogni mediocrità e stabilendo, anche nelle relazioni diplomatiche e quindi nelle amicizie, da Giambattista Vico (1668-1744) a  Leibniz, da Federico II il Grande all’inglese Duca di Malborough, al Voltaire, che disse di lui:
 “(…) scosse la grandezza di Luigi XIV e della potenza ottomana (…) governò l’impero nonostante tutte le vittorie e gli incarichi ricoperti (…) sdegnò le tentazioni del fasto e della ricchezza”,  quale confronto delle intelligenze fra uomini sostanzialmente superiori. Egli immaginava ad una federazione di stati, ed in una sua lettera Duca di Malborough, datata 22 maggio 1717, chiaramente scriveva: “(…) le alleanze prodotte solo dal caso o da un interesse momentaneo non ispirano grande fiducia. Ma se le potenze marittime decidono concordemente che la pace europea dipenda dall’esistenza della Germania e dell’Italia allora si puo’ dire che un interesse comune sia il momento unificatore di una confederazione di stati da cui ci si puo’ aspettare anche una buona solidità per l’Europa.”.              Nel momento in cui decise di lasciare la Francia per il rifiuto del Re Sole, si incontrò nei pressi del Danubio con l’imperatore Leopoldo I (1640-1705) ed il 20 agosto 1683, neanche ventenne, così solennemente giurò:“Prometto la integra fedeltà costante di sacrificare in tutti, anche i maggiori pericoli della guerra, tutte le mie forze fino all’ultima goccia di sangue, per il benessere e la potenza della Sua Maestà e della somma Casa d’Austria. Dio e la Madonna me ne siano testimoni”.
Praticamente, in codesto giuramento, c’è tutta la fede ed il sacrificio del Principe Eugenio di Savoia-Soissons.
Infatti, se analizziamo le di lui origini, egli è la personificazione dell’Europa tradizionale cristiana e mariana: aveva sangue dei Borbone, attraverso l’ava paterna, ma anche sangue absburgico poiché suo nonno era nipote di Filippo II e pronipote di Carlo V.  Ancora qualche pensiero per concludere questa bella pagina di storiografia europea, cristiana e mariana.
Eugenio era un uomo solitario ed andava in battaglia indossando un’armatura bruna su panni quasi scarlatti e, dopo una brevissima preghiera, prima dell’azione, sembra gridasse “avanti”, accompagnando il grido con un unico breve movimento della mano. A proposito dell’importanza della preghiera, ho trovato, in un antico libro del Secolo XIX una nota a piè di pagina, che accenna a ciò: “(…) le preghiere che il principe Eugenio recitava prima della battaglia erano l’Ave Maria e “impone, Domine, capiti meo galeam salutis, ad expugnandos diabolicos incursus” (…)“. Quest’ultima, propriamente, nell’accingersi ad indossare l’elmo, è la medesima orazione che recitavano i sacerdoti nell’imporsi il paramento sacro denominato amitto, che è il “galeam salutis” cioè l’elmo della salvezza, quasi al fine di rendere invulnerabile il sacerdote nei suoi combattimenti contro l’infernale nemico. Questa preghiera, senza dubbio, Eugenio la fece sua date le origini di destinato alla vita religiosa, perché cadetto.
Il Principe Eugenio di Savoia-Soissons è sepolto in Vienna, nella Cattedrale di Santo Stefano, come un re. Infatti anch’egli fu un re: “le roi des honnets hommes” (“il re della gente onesta”).
Il Principe Eugenio era di media statura, longilineo, con viso affilato, di colore olivastro, con naso aquilino e con occhi nerissimi e penetranti.
La Sua immagine fisica ci è giunta da descrizioni di contemporanei e riprodotta in vari quadri e sculture, fra i quali: il quadro di Van Schuppen, nella Pinacoteca di Torino, che lo raffigura sul cavallo bianco, con spada al fianco e bastone di comando, dopo la vittoria sui turchi; il quadro del Kupetzki, in cui è ritratto con corazza e quello donato dal Re Umberto II (1904-1983) il 28 febbraio 1970 al Museo “Pietro Micca” di Torino.

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