NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 26 giugno 2012

La Monarchia Sabauda e i problemi sociali. VII Parte


VII - NASCITA E SVILUPPI DEL MOVIMENTO OPERAIO

Il movimento operaio si sviluppò tardi nel nostro Paese, perché il fenomeno della grande industria stentò parecchio a realizzarsi.

Come in tutti i Paesi europei, esso fu inoltre seriamente ostacolato dalla legislazione repressiva delle corporazioni: Inghilterra: 1753-17.56; Austria: 1771; Olanda: 1780; Prussia: 1791; Toscana: 1770; Veneto: 1797; Stato Pontificio: 1801; Napoletano: 1821; Piemonte: 1798-1844; Francia: 1776, Turgot, poi abolito, 4 agosto 1789; Milanese: 1787.

A tale legislazione, seguì quella repressiva delle associazioni professionali, nel timore che queste riproponessero di fatto il tema delle corporazioni, ritenute dai fisiocrati e dai liberisti un grave ostacolo al progresso economico e scientifico. La più celebre legge repressiva delle associazioni professionali fu quella francese del 14 giugno 1791, presentata all'Assemblea costituente dal deputato del terzo Stato Le Chapelier.

In Piemonte, dopo la promulgazione dello Statuto, la libertà di associazione fu costantemente rispettata: ne fa fede la costituzione a Torino, nel 1848, della società dei compositori tipografi, che stipulò con i proprietari contratti di lavoro rinnovati nel '50 e nel '51: un'associazione sindacale vera e propria, quando altrove, in Italia, non ne esistevano; una prova che il Piemonte sabaudo fu anche all'avanguardia nel campo sindacale.

Dopo l'unificazione, le legislazioni repressive dei vari Stati italiani furono fuse nella legge 29 maggio 1864, che rimase in vigore fino al Codice penale del 1890.

Nei primi dieci anni del Regno, ragioni politiche ed economiche non consentono al problema operaio di assumere proporzioni tali da preoccupare seriamente i politici e l'opinione pubblica: l’operaio, nella maggior parte dei casi, è anche contadino, gli opifici non assumono grandi dimensioni e stenta quindi a formarsi una solidarietà di classe.

Prosperano invece le « Società operaie di mutuo soccorso » (1862: 417 con 111608 membri effettivi; 1873: 1146 con 218822 membri; 1878: 2091 con 331508 membri), fondate sulla collaborazione tra classe dirigente e lavoratori, ma condotte dai soci onorari, non operai, con criteri paternalistici. Scopi: soccorso in caso di malattia; prestiti; istituzione di cooperative di consumo; scuole per i lavoratori, ecc. Dopo il 1860, esse si distinsero, per le finalità politiche, ma non per il contenuto economico che era il medesimo, in associazioni appoggiate dal governo e dal partito moderato e associazioni di ispirazione mazziniana.

Queste associazioni, che in Piemonte erano state in parte promosse per quanto concerne le campagne, dall'Associazione Agraria Subalpina, fautrice di asili di infanzia, scuole gratuite e casse di piccolo risparmio, riuscirono per qual-che tempo a mantenere il controllo del movimento operaio e anche dopo il 1864, che segna l'inizio della propaganda « internazionalista » di Bakounin in Italia; ma, in seguito, nonostante le ampie benemerenze sociali, mostrarono i loro limiti e, man mano si formava negli operai e nei contadini una coscienza di classe, perdevano l'antica influenza: non era, ad esempio, più concepibile che i lavoratori rinunciassero a trattare i minimi salariali o l'orario di lavoro e affidassero la soluzione di questi problemi al ceto padronale.

Un indice statistico del cambiamento dopo il '70, nei rapporti tra datori di lavoro e prestatori d'opera, fu dato dal numero medio annuo degli scioperi industriali: periodo: 1860 - 69: 13; 1871: 26; 1876- 58; 1886: 96

Dopo il 1875, già sì uniscono nelle associazioni operaie i due caratteri delle società di mutuo soccorso e delle leghe di resistenza, ed esse sorgono appunto nelle regioni dove l'industria è più progredita: indizio sicuro della profonda trasformazione politica, economica e sociale alla quale il Paese va incontro (25).


(25) CORRADO BARBAGALLO: «Le origini della grande industria contemporanea», La Nuova Italia, Firenze, 1951.

RAIMONDO LURAGHI: «Sulle origini del movimento contadino nella pianura padana irrigua: il Vercellese», in «Nuova Rivista Storica», settembre-dicembre 1956, pag. 489.

GINO LUZZATTO: «Storia economica dell'età moderna e contemporanea Parte seconda: l'età contemporanea»,  CEDAM, Padova, 1948, specie le pagine 381, 382, 383.

NICCOLO' RODOLICO: «Storia degli Italiani», Sansoni, Firenze, 1954, specie le pagine da 926 a 929.


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