NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 29 maggio 2012

La Monarchia Sabauda ed i problemi sociali - V parte

V - IL PIEMONTE DI CARLO ALBERTO E DI VITTORIO EMANUELE II
di Vincenzo Pich


Molto avevano giovato i provvedimenti edilizi di Vittorio Emanuele I all'espansione della città, eppure, il 27 aprile 1831, quando Torino acclamò il nuovo Re Carlo Alberto, l'aumento ininterrotto della popolazione (1821: 89000 abitanti; 1831: 127000) aveva impedito la risoluzione della crisi delle pigioni, fonte di non indifferenti guai per i cittadini più :poveri. La realtà era che, nonostante l'« aspro vincolismo » della Restaurazione, Torino appariva « una città piena di attività economiche » (14).


Occorreva però che il nuovo Re rompesse finalmente ogni legame con tradizioni anacronistiche e preparasse il terreno per la ascesa economica e sociale del Piemonte; e così avvenne...

« Primo tra gli Stati italiani ad uscire decisamente dalla decadenza e dalla stagnazione, in cui la Restaurazione li avrebbe gettati, fu quello cui le sorti dell'indipendenza italiana andranno più intimamente legate: il Piemonte...

La resurrezione economica del Piemonte che raggiungerà il suo, climax tra il 1849 e il 1859, durante il governo dei ministeri D'Azeglio e Cavour, s'inizia ora, in questi anni, ed essa avrà non piccola importanza nella formazione di quella classe sociale - quella grande borghesia commerciale, quella nuova borghesia industriale, quella piccola borghesia consumatrice, brarnosa di :prodotti a buon mercato -, che condurranno quel paese al governo d'Italia.

Il merito della resurrezione economica piemontese spetta in primo luogo, per tempo e per merito, ai governi di Carlo Alberto (1831 -1849)... » (15).

Furono costruiti porti, strade, canali, liberalizzato, il commercio estero, ridotti i dazi sui generi più importanti, stipulati innumerevoli trattati di commercio e navigazione costituita la benemerita « Associazione Agraria Subalpina » (1842), risollevata l'industria, serica laniera, del cotone, del lino, della canapa, delle porcellane, dei metalli...

Dal 1850, la politica economica di Cavour, che rese possibile il successo, della seconda guerra di indipendenza, non fu che la continuazione « degli anni memorabili del governo di Carlo Alberto » (16).

Lo sviluppo industriale, seppure assai inferiore a quello di altri Paesi dalla storia meno tormentata e dalle risorse più favorevoli, cominciava a gettare il seme di quella questione sociale che meglio, si profilerà negli ultimi decenni dell'800 e nel '900. « Un profugo francese socialista, il Coeurderoy, che fu a Torino nel 1854, ci parla della miseria gravissima che vi si riscontrava. Salari bassi: operai rattristati dalla miseria. Il Cocurderoy ne accusava l'incapacità della politica liberale, sostanzialmente antidemocratica... il milanese Maurizio Macchi. A Torino, fondò una società di operai e diresse un giornale, il « Proletario », -con evidente tendenza -socialista... Naturalmente le questioni politiche erano al centro dei pensieri della popolazione torinese vecchia e nuova... » (17). A ciò si aggiunga che la popolazione torinese, salita a 136000 abitanti nel 1848, nel 1850 era di 160000 e nel 1854 di 178654, compresi i borghi e il contado, il che parlava in modo molto significativo a favore della vitalità singolare della capitale sabauda, politicamente ed economicamente all'avanguardia tra tutte le città italiane, nonostante talune angustie sociali dovute all'affermarsi iniziale della civiltà industriale.

Popolarissimo fu Vittorio Emanuele II: « i suoi modi schietti, l'uso regolare del dialetto con piccoli e con grandi, il suo girare a piedi per la città, le sue frasi argute e vivaci presto piacquero... Per i Torinesi il re è semplicemente " Vittorio " quando non si usa il familiaresco " Toju " ... » (18).

Vittorio Emanuele II era democratico non per calcolo, ma per istintiva bontà. Le preoccupazioni dominanti del « Padre della Patria » andavano ai problemi politici e militari, alla cui soluzione egli personalmente concorse assai più di quanto generalmente si creda, ed era naturale che così fosse, perché furono quelli gli anni decisivi della causa nazionale; ma, se fosse vissuto in tempi pacifici ed in una società industrialmente più evoluta, quanto avrebbe sentito i problemi dei lavaratori, quanto avrebbe contribuito, con slancio sincero, al loro ingresso nella, vita attiva dello Stato democratico! Soprattutto sotto l'aspetto umano, egli fu un grande, un grandissimo Re, il più grande e insuperabile forse della storia italiana, anche di quella a venire, se ci accadrà la fortuna di riavere un giorno la nostra Monarchia.

La dimostrazione più significativa della lungimirante attività dei governi di Vittorio Emanuele II, prima della proclamazione del Regno, fu data dalle grandi opere pubbliche promosse dal Conte di Cavour, prime tra esse le costruzioni ferroviarie, tanti che « in pochi anni furono costruite tutte le linee che ancora oggi costituiscono la rete principale delle ferrovie piemontesi »; altra grande opera il canale Cavour. Cresceva il disavanzo del bilancio, il debito pubblico, ma « in compenso gli indici di una più intensa, proficua attività economica si facevano sempre più evidenti... » (19).

Memori della tradizione esemplare nata con Emanuele Filiberto, il Re e i ministri, con allo testa il grande Conte, attribuivano la più grande importanza allo sviluppo economico, ritenendolo base di una società evoluta e quindi più attaccata alle conqui,ste liberali e democratiche maturate durante il Regno di Carlo Alberto: tale società, animata da un elevato senso del dovere e da una realistica consapevolezza del presente, costituiva la pietra di paragone per tutti gli italiani desiderosi di una Patria unita, libera e indipendente: ma, senza lo sviluppo economico del Piemonte, illusorio sarebbe stato il pensiero di fare l'Italia partendo da Torino.


(14) FRANCESCO COGNASSO: « Storia di Torino », Martello, Milano, 1959, pag. 478 e seguenti.

(15) CORRADO BARBAGALLO: « Le origini della grande industria contemporanea », La Nuova Italia, Firenze, 1951, pag. 411.

(16) CORRADO BARBAGALLO, opera citata, pagg. da 411 a 415.

(17) FRANCESCO COGNASSO, opera citata, pag. 529.

(18) FRANCESCO COGNASSO, opera citata pag. 534.

(19) GINO LUZZATTO: « Storia economica dell'età moderna e contemporanea - Parte seconda: l'età contemporanea », CEDAM, Padova, 1948, pagine 321, 322, 323.



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