NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 17 maggio 2012

La Monarchia Sabauda ed i problemi sociali - III parte


III - DA CARLO EMANUELE I A VITTORIO EMANUELE I: IL SEICENTO E IL SETTECENTO
di Vincenzo Pich


I due secoli che vennero dopo la morte di Emanuele Filiberto non furono certamente tranquilli per il Ducato di Savoia e poi, dopo la breve parentesi dei Sovrani sabaudi Re di Sicilia (1713-1718), per il Regno di Sardegna: da un lato, i Principi continuarono a manifestare la loro vocazione italiana, cercando ostinatamente di estendere i domini in direzione della penisola; dall'altro, il complesso gioco bellico delle grandi potenze, Francia, Spagna e Austria, li costrinse, fino alla pace di Aquisgrana (1748), ad una spregiudicata quanto necessaria politica di equilibrio, avente per scopo essenziale la conservazione dell'indipendenza e dell'esistenza stessa dello Stato.

Le cure della guerra non impedirono però a Carlo Emanuele I, Vittorio Amedeo I, Carlo Emanuele II, Vittorio Amedeo II Re di Sicilia prima e poi Re di Sardegna, Carlo Emanuele III, Vittorio Amedeo III, di continuare la politica economica e sociale di Emanuele Filiberto. Non minore interesse mostrarono Carlo Emanuele IV e Vittorio Emanuele I, pur nelle terribili difficoltà che incontrarono per l'espansione francese in Piemonte, poi culminata nell'annessione alla Francia.

Se l'economia piemontese rimaneva ancora fondamentalmente agricola, al principio del '700, come dimostrarono gli studi dell'Einaudi e del Prato, non si avevano quegli squilibri nella distribuzione delle terre, caratteristici di altre regioni italiane.

I beni feudali immuni da ogni tributo rappresentavano meno del 7% della superficie totale ed erano rare le famiglie nobili che possedessero grandi estensioni di terra; a queste restavano i gradi superiori dell'esercito e dell'amministrazione civile, nei quali davano prova di operosa fedeltà alla Dinastia.

I beni ecclesiastici, quasi totalmente liberi da tributi, erano l'11% della superficie totale; oltre il 55% di essa era invece occupato da proprietà private senza vincoli, né immunità, e soggette ai tributi; il resto era costituito da beni comuni (17%) e terre infruttifere (9%).

La proprietà allodiale o privata era in parte considerevole, specie in montagna e nelle colline del Monferrato, frazionata fra un gran numero di proprietari coltivatori diretti; ma, anche dove non prevaleva la piccola proprietà, la terra era generalmente suddivisa in piccole aziende rurali, sulle quali vivevano da tempi remoti le famiglie dei coloni parziari, eredi dei servi liberati in massa da Emanuele Filiberto, e tuttavia ancora legati alla terra e al proprietario da vincoli consuetudinari.

Purtroppo, non per colpa dei Principi, ma per l'evoluzione dei tempi, dopo i primi decenni del XVIII secolo, tale quadro socialmente tranquillo e umano venne trasformandosi, per effetto del diffondersi del sistema dell'affitto, ma in peggio, perchè si formò una classe intermedia di affittuari tra i proprietari e i coloni, e molti di questi furono trasformati in miseri lavoratori salariati (7).

In particolare, Carlo Emanuele I, « senza praticare una politica antimagnatizia, cerca maggiore equilibrio o minore squilibrio, tra i ceti. Certo, moltiplicando i feudi, egli li svalutò. La nobiltà, così, più facilmente evolse in patriziato civile, » (8).

E su Vittorio Amedeo Il e Carlo Emanuele III:

«Cominciarono Re e ministri col voler conoscere bene la realtà, su cui volevano operare. Quindi, inchieste sulle nuove provincie orientali, su l'assetto della proprietà fondiaria in tutto il territorio, su la popolazione agricola, su le finanze comunali, su le Opere Pie, in vista di una riforma radicale della pubblica assistenza (1717); accertamenti compiuti da appositi Delegati su le località più adatte per impiantar lanifici; prospetti delle fabbriche di seterie e relative maestranze e produzione; minuziosi rapporti su lo stato delle foreste; rilievi di vasta portata per addivenire alla formazione del catasto geometrico particellare, iniziati già nel 1697, cioè 20 anni prima del celebre catasto milanese del 1718... Non sempre agli studi seguirono i provvedimenti e non tutti i provvedimenti ebbero il loro effetto utile. Ma certo è che progressi grandi si videro in tante e tante attività. Apparvero, accanto alla piccola industria tradizionale, segni di una industria capitalistica... Si ingrossarono le fila di un operoso ceto medio che traeva alimento dalle professioni liberali, dagli uffici pubblici, dal commercio e da,ll'industria.... con qualche spostamento del centro di gravità della nazione dalla aristocrazia e dal clero alla borghesia, pur seguitando aristocrazia e clero ad occupare un posto grande nella società piemontese e savoiarda... Ma forse l'opera maggiore del Regno di Vittorio Amedeo (11), in fatto di attività civili, fu quella dedicata alle Leggi e Costituzioni di Sua Maestà... Un'opera del genere, rispondente ai tempi, l'aveva già fatta Amedeo VIII, nel '400. A distanza di tre secoli, essa è ripresa e migliorata... » (9).

Si è già accennato, nel corso di questo breve, capitolo, al passaggio della conduzione della, terra dalle forme tradizionali di colonia parziaria, gradite ai contadini, al sistema delle grandi affittanze, che trasformò molti contadini in braccianti. Alla trasformazione si giunse non per capriccio, ma perché l'affitto favoriva lo sfruttamento capitalistico, della terra, anche se turbava l'equilibrio sociale delle campagne a danno delle plebi. Le suppliche dei contadini, sfruttati da fittavoli e proprietari, arrivarono a Vittorio Amedeo III. « Il Re venne incontro, a quel suo popolo umile e caro; e furono resi più difficili e gravi -di tasse i contratti di grandi affittanze; e nel 1797 fu emanato un editto di divieto delle affittanze di cui il canone superasse le cinquemila lire. L'editto non potè avere esecuzione; da lì a pochi mesi il Piemonte; era occupato dai Francesi. Anche se ciò non fosse avvenuto, la buona volontà del Re (10) e la forza di una sua legge non avrebbero potuto opporsi agli ostacoli di un complesso fatto economico e alla coalizione d'interessi di grandi fittavoli e di molti e potenti cointeressati della stessa nobiltà e soprattutto della borghesia cittadina. Sono tra questa gente colpita dall'editto del 1797, non pochi di quelli che accolsero come liberatori i Francesi» (11).

Come Vittorio Amedeo III e Carlo Emanuele IV, nell'ultimo decennio del '700, così gli altri Principi sabaudi non furono mai insensibili alla miseria e alla sofferenza; e, negli umili che avevano protetto contro le prepotenze e gli egoismi, trovarono sempre a conferma di una fedeltà che, si manifestava nei momenti felici e in quelli difficili della Patria e della Monarchia.

(7) GINO LUZZATTO: «Storia economica dell'età moderna e contemporanea - Parte seconda: l'età contemporanea», CEDAM, Padova, 1948, p~agine 151, 152.

(8) GIOACCHINO VOLPE: «Prolusione: il millennio di una Dinastia», Roma, 1959, pag. 29.

(9) GIOACCHINO VOLPE: «Prolusione: il millennio di una Dinastia», Roma, 1959, pagg. 42, 43, 44.


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