
NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.
venerdì 31 gennaio 2020
mercoledì 29 gennaio 2020
Presentazione de "La solidtudine del Re" per il Circolo Rex
Il 2 febbraio prossimo, alle
ore 11 nella consueta sede di via Aldrovandi 16 il Circolo REX è lieto ed
onorato di presentare, primo in Roma, un libro di estremo interesse “La solitudine
del Re”, che raccoglie parte della corrispondenza intercorsa nei lunghi anni
dell’esilio di Umberto II, tra il Re ed il suo fedele Ministro Falcone Lucifero.
Un evento eccezionale perché nella
storiografia non vi era mai stata una pubblicazione del genere e questo è
merito del nipote del Ministro della Real Casa, il marchese avvocato Alfredo Lucifero,
al quale lo Zio aveva lasciato sia il suo diario, sia questo carteggio.
Ad illustrarne la storia sarà lo
stesso Nipote, dopo una presentazione del professore Emanuele, ed una analisi storica
del professore Perfetti, e della curatrice del volume Lia Bronzi.
Con l’occasione sarà
presentato anche un libro di poesie di Alfredo Lucifero da parte del critico
Carlo Motta. Essere presenti significa onorare e rinverdire la memoria del
nostro amato RE e rendere omaggio alla persona che Gli fu più vicina negli
amari anni dell’ingiusto esilio .
Il Comitato Direttivo del Circolo
REX
Sala Italia presso Associazione “Famija Piemonteisa - Piemontesi a Roma”
Via Aldrovandi 16 ( ingresso su strada) e 16/B (ingresso con ascensore) raggiungibile con linee tramviarie “3” e “19” ed autobus “910”,”223”, e “52”
Aggiornato il sito dedicato a Re Umberto
Sul sito dedicato a Re Umberto II un messaggio del Sovrano agli italiani d'Argentina del 1975.
martedì 28 gennaio 2020
La Posta di Libero...
il mio Paese sta attraversando momenti
difficili e travagliati. Ma nonostante tutto continuo ad amarlo, perché è la
mia Patria dove affondano le mie radici, dove sono nato e dove mio padre e mia
madre sono sepolti. In quesito mio Paese è diventato difficile esprimersi prima
di parlare devo pensare mille volte per trovare la frase giusta per non
offendere nessuno. Mi è di grande consolazione passeggiare sulla terra dei miei
avi, perché sento che lì, qualcosa di loro è rimasto. Mio padre, nato in Canada
nel territorio degli indiani, amava quella
che tutti chiamavano l’America. Aveva un idolo, John Wayne, e mi leggeva queste
sue parole che vorrei condividere con chi la pensa come me. “Il mio credo
politico non si presta a compromessi io amo il mio Paese. La mia Patria è la
mia famiglia, e la mia famiglia è la mia vita (_) Abbiamo commesso molti errori
e molte ingiustizie, molte cose di cui ci vergogniamo (...); ma abbiamo il
diritto, in fin dei conti, d'essere fieri d'essere americani. La nostra
bandiera è la più gloriosa. la più prestigiosa la più scintillante di tutte le
bandiere di tutti i Paesi del mondo. Se credere in questo, se essere fieri
della propria Patria fa di me un uomo di destra, di estrema destra. allora io
sono in buona compagnia!” .
Emilio Del Bel Belluz Motta dl
Livenza (Tv)
Credo che pochissimi italiani
siano disposti a scrivere parole simili riguardo alle
nostra bandiera, caro del Bel Belluz. Io le confesso con qualche imbarazzo, non
lo farei. Eppure ho un antenato tra ui garibaldini, altri che hanno fatto la
grande guerra, un padre che combatté nell’esercito italiano, La tradizione di
famiglia ci sarebbe pure. E amo il mio Paese. Conosco americani, inglesi,
francesi e israeliani che direbbero senza battere ciglio parole identiche a quelle
di John Wayne a proposito dei loro vessilli nazionali. Temo che il problema non
sia io e che nemmeno lo siano le mie frequentazioni; se vado in giro, non vedo
il tricolore sventolare dai team delle abitazioni o appeso nei salotti delle
case. Aveva ragione Leo Los Leo Longanesi: “La nostra bandiera nazionale dovrebbe
recare urna grande scritta: Ho famiglia”. Divertente, ma anche vero e quindi
triste: prima di ogni altra cosca viene il «particulare». Siamo noi, non è
colpa dei nostri governanti: almeno sotto questo aspetto, ci rappresentano molto
bene.
domenica 26 gennaio 2020
Omaggio dei monarchici campani alla tomba di Peppino De Filippo
Agenpress – Una delegazione di monarchici campani sabaudi, nel 40esimo anniversario della morte del Maestro Peppino De Filippo, dopo la preghiera hanno deposto un omaggio floreale sulla tomba presso la Cappella di Famiglia nel cimitero comunale monumentale Campo Verano a Roma.
Peppino De Filippo morì il 26 gennaio 1980 a Roma. Era nato a Napoli il 24 agosto 1903, Peppino De Filippo fu il terzo dei tre figli illegittimi nati in un appartamento di via Giovanni Bausan, da Luisa De Filippo ed Eduardo Scarpetta.
[...]
Il Maestro Peppino De Filippo, fu fedele alla Patria, portò alto il nome della Patria nel mondo, per i suoi grandi meriti artistici Umberto II, Re d’Italia dall'esilio lo volle insignire di una alta onorificenza .
sabato 25 gennaio 2020
I monarchici tornano in Trentino
“Un sovrano di Casa Savoia sarebbe una garanzia d’imparzialità per
cittadini e Parlamento”
Vogliono il ritorno dei
Savoia e a proposito dell’Autonomia dicono: “Va rispettata così come le
minoranze tedesche e ladine ma per prendere queste zone fu fatta la Prima
guerra mondiale alla quale presero parte anche dei patrioti trentini, morti
loro stessi per un’Italia unita, Trento è italiana”
TRENTO. Era il 10 giugno
1946 quando la Corte di cassazione proclamò i risultati del referendum sulla
forma istituzionale dello Stato che sancì la vittoria dei repubblicani con il
54,3% dei voti (in Trentino si arrivò all’85%), mentre i monarchici si
fermarono al 45,7%). Fra le conseguenze più immediate ci fu l’abdicazione di
Umberto II di Savoia, passato alla storia come “il re di maggio” proprio per la
breve durata del suo regno.
Due anni più tardi, con l'entrata
in vigore della Costituzione repubblicana (1° gennaio 1948), Umberto II venne
esiliato, lo prevedeva una delle stesse disposizioni finali e transitorie del
testo costituzionale. La dipartita politica del re però non coincise con la
scomparsa dei monarchici che pure avevano ottenuto un buon risultato nel
referendum del 1946. Così venne fondato il Partito Nazionale Monarchico che
alle elezioni parlamentari del 1953 raccolse il 6,85% che si tradusse in 40
seggi, un traguardo che non sarà più eguagliato. Di lì fu un vertiginoso
tracollo fatto di scissioni e sempre meno consensi fino alla definitiva
scomparsa dalla politica che conta.
[...]
Articolo scritto coi piedi, come da testo in grassetto, ma almeno una buona notizia...
venerdì 24 gennaio 2020
La macchina dello stato
Questo il titolo di una interessantissima
mostra tenutasi diversi anni or sono a Roma, nei locali dell’Archivio Centrale dello
Stato, per il centocinquantesimo anniversario della proclamazione del Regno d’
Italia e che riguardava leggi, uomini e strutture che hanno fatto l’Italia. La Mostra,
non ebbe il successo di pubblico che meritava, forse anche per l’ubicazione all’EUR,
ma essendo stato pubblicato un catalogo con lo stesso titolo,”La Macchina dello
Stato”, uscito nel 2011, edito da Mondadori Electa, ricchissimo di dati, di fotografie,
di tavole e tabelle, di documenti, è sperabile che lo stesso possa trovarsi tramite
internet od in qualche libreria specializzata od antiquaria. Farne oggi una recensione
approfondita non appare possibile per il numero e l’ampiezza dei temi e la personalità
degli autori dei vari capitoli, tutti di un estremo interesse per testo e documentazione.
Basti pensare alla sua strutturazione da “Il
primo quarantennio” dello Stato unitario, periodo sul quale ci soffermeremo
successivamente, a “Da Giolitti al primo
dopoguerra“, al “Fascismo“, in
cui sono state messe in luce sia le realizzazioni positive in tanti settori -dalle
opere pubbliche, all’architettura, all’istruzione, al lavoro e dopolavoro- sia l’apparato
poliziesco e repressivo e le discriminazioni razziali -a dimostrazione che non si
possono cancellare venti anni di storia, fermo restando il giudizio che dello stesso
periodo ciascuno può liberamente dare proprio in virtù di tutti i dati e gli elementi
esposti-, per chiudere con il breve periodo “Verso la Repubblica” dal 25 luglio 1943 alla promulgazione della attuale
Costituzione. Questi periodi, suddivisi in brevi capitoli riguardanti i singoli
problemi, sono stati preceduti da alcuni saggi: fra questi ne citiamo ad
esempio uno, intitolato “La Pubblica Amministrazione italiana da Cavour
a Giolitti“, di Giuseppe Galasso, estremamente completo ed obiettivo, dove
fra l’altro -in sottile polemica con chi contesta l’abrogazione di leggi e regolamenti
degli stati preunitari- rileva che negli anni napoleonici, in cui “...quasi tutta l’Italia era stata o annessa
all’impero francese o unita al Regno d’Italia, o aveva continuato a far parte del
regno di Napoli …con il fratello Giuseppe e poi..con Gioacchino Murat…, alla stessa
erano stati imposti la legislazione napoleonica, - con il Code Napoleon in testa –
e ordinamenti politici ed amministrativi... e grandi provvedimenti, quali la secolarizzazione
dei beni ecclesiastici…, riforme che non svanirono… nel 1815, con la restaurazione...
e ad esse si aggiunse il grande patrimonio costituito dalle esperienze amministrative
e militari fatte nei quadri dell’Italia napoleonica…”, per cui “lo stato italiano non sorgeva su una base di
totale. estraneità e diversità delle sue parti..”, afferma, dopo un’ampia disanima
delle vicende risorgimentali, che “…è sorprendente
che nelle storie politiche ed anche istituzionali del paese non sia stato abbastanza
colto questo... risalto della monarchia come punto di riferimento nella vita politica
nazionale e come suo strategico e impreteribile snodo istituzionale...”, concludendo
con un riferimento alla Pubblica Amministrazione, al suo ruolo “di modernizzazione e di dinamismo di una società
che, nella massima parte della penisola, appariva … nel 1861 più legata a equilibri
e logiche di antica tradizione che a pressanti istanze di movimento e di trasformazione…,
basti pensare alla parte avuta dallo stato italiano … nella dotazione di infrastrutture
moderne, a cominciare dalle ferrovie e della pubblica istruzione, oppure dalla grande
opera di amalgama nazionale svolta dallo stesso Stato con le sue forze armate,
scuola della nazione, come furono definite“ e questo grazie a quella leva obbligatoria
tanto criticata dai nostalgici borbonici, che forse preferivano che si spendessero
i ducati per pagare i reggimenti mercenari svizzeri o bavaresi.
Un altro saggio “I prodromi
dell’Unità“, di Romano Ugolini, è egualmente interessante perché dedica
ampio spazio ad uno dei “dimenticati“
del Risorgimento, insieme con Carlo Alberto, e cioè a Massimo d’Azeglio, al quale
attribuisce il grande merito di aver saputo indirizzare il giovane Sovrano, Vittorio
Emanuele II, sulla strada del costituzionalismo e di avere aperto le porte del Piemonte
“all’esulato nazionale, senza guardare troppo
alla fede politica di appartenenza. Non solo: a quell’esulato non offrì unicamente
un libero asilo, ma cercò, …di inserire le personalità più illustri e preparate
nelle strutture dello stato, conferendo da un lato stipendi, ma guadagnando
…l’apporto di una cultura umanistica e scientifica il cui innesto nei gangli vitali
della vita piemontese poteva già far parlare di un vero e proprio laboratorio nazionale“;
di questo particolarmente si giovò Cavour, per cui nel 1859 “allo scoppio del conflitto, nessuno dei principali
collaboratori di Cavour era piemontese. Parliamo di Farini, Minghetti, Mamiani,
Gualterio, Massari e La Farina..” e Gabrio Casati.
Venendo a “Il primo quarantennio“, dopo un breve accenno
allo sviluppo degli uffici postali passati dai 2220 del 1862 ai 2799 del 1873,
incrementati particolarmente nelle regioni meridionali “le più carenti al momento dell’ unificazione“, si passa alle “Misure dell’Unità d’Italia“ con la scelta
del sistema metrico decimale che, già effettuata dal Regno di Sardegna, dallo Stato
Pontificio e dal Ducato di Modena rispettivamente nel 1845, 1848 e 1849, fu estesa
prima alla Lombardia ed alle altre regioni con legge 28 luglio 1861, “fatta eccezione per le province napoletane e
siciliane, che avrebbero beneficiato di una dilazione per l’effettiva entrata in
vigore del sistema fino al primo gennaio 1863”. Le tavole di ragguaglio
ufficiali furono pubblicate e distribuite successivamente e sono alla base dell’unico
sistema metrologico, “potente fattore di unificazione
del paese dal punto di vista economico, tecnico-amministrativo e culturale“
per cui il Regno d’Italia poté partecipare ed aderire a pieno titolo alla Conferenza
Internazionale del Metro, tenutasi a Parigi il 20 maggio 1875.
Di non minore importanza ed urgenza
era “l’unificazione Monetaria“ in quanto
“nei territori che formavano nel 1861 il Regno d’Italia circolavano
263 diverse monete metalliche….” per cui “l’intralcio agli scambi commerciali era enorme e si sommava a quello prodotto
dai dazi doganali..”: alla vigilia dell’unità esistevano ben nove banche di
emissione che dopo l’unità furono concentrate in una unica banca nazionale, anche
se “…accanto ad essa restarono in vita le
due banche toscane e i due banchi meridionali“ fino al 1894, quando quelle toscane
e la banca romana si fusero per dare vita alla Banca d’Italia”, mentre sopravvissero
“…i due banchi meridionali…come banche di
emissione fino al 1926…”.
E “L’ unificazione legislativa ed amministrativa“ del Regno? Bisogna attendere
il 1865, data la delicatezza del problema con riferimento alle legislazioni degli
stati preunitari, e precisamente il 20 marzo per la pubblicazione della legge relativa
(la legge n.2248), anche se per la Corte dei Conti e per la Cassa Depositi e Prestiti,
fondata nel Regno di Sardegna nel 1840, vi erano state delle leggi precedenti nel
1862 e 1863, data l’ urgenza di poter disporre di queste istituzioni, ancora oggi
vive, vitali e fondamentali per il controllo delle spese e per lo sviluppo economico.
In tutta questa vicenda volta
a costruire uno stato moderno, almeno per l’epoca, si inseriscono alcuni fenomeni
che frenano lo sviluppo, distolgono energie e fondi: parliamo, ad esempio, de “Il brigantaggio”, al quale è pure dedicata una sezione della Mostra, che,
per essere debellato, richiese una legislazione speciale (Legge 1409 del 1863),
la quale prese nome dal deputato abruzzese Pica e rimase in vigore fino al 1865,
quando il fenomeno -che era storicamente endemico nel meridione d’ Italia ed al
quale si erano aggiunti, dopo l’unità, elementi di legittimismo borbonico e di rivolta
rurale- fu finalmente debellato.
Quanto alla educazione
scolastica, dopo la fondamentale legge Casati, abbiamo “La scuola di Coppino“, con la legge 3961 del 1877 che dà “...una risposta più forte alla problematica
dell’alfabetizzazione del paese…” rafforzando “...l’autorità dello Stato sulla scuola, facendo della istruzione elementare
gratuita, obbligatoria e laica uno dei suoi fondamenti...”, riuscendo a portare
già alla fine dell’anno scolastico 1886-1887 la sua applicazione in 8178 comuni
su 8267 e riducendo l’analfabetismo dal 78% del 1861 al 56% del 1900. Nel campo
della istruzione pubblica è da considerare pure “...il ruolo importante delle
scuole reggimentali nella riduzione dell’analfabetismo tra i coscritti...”,
a conferma anche da questo punto di vista della opportunità della leva obbligatoria.
Ed il territorio di questa Italia
unita? Ecco il grande lavoro “Dai catasti
preunitari al catasto italiano“: erano 22 i catasti degli stati preunitari,
di cui 8 di tipo geometrico-particellare ed i restanti di tipo descrittivo, che
dovettero fatalmente ancora sopravvivere per diversi anni prima di poter essere
unificati nel tipo geometrico-particellare con la legge del 1 marzo 1886
n.3682, legge Messedaglia, la quale produsse circa trecentomila fogli di mappa ed
i corrispondenti registri catastali, opera colossale terminata nel 1956, per la
quale dal 1934 fu di aiuto la aerofotogrammetria.
Questa conoscenza del territorio,
“Conoscere per Amministrare“, fu una
esigenza sentita dal nuovo stato e questa idea trovò “...il suo punto di forza nella creazione, già nel 1861, di una divisione di Statistica generale presso
il Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio (R.D. 9 ottobre 1861
n.294)”, grazie alla quale “nel primo
decennio postunitario, nonostante le difficoltà burocratiche, legislative e l’
inesperienza degli uomini e delle cose, come spiegherà Maestri (primo direttore,
medico ed uomo del Risorgimento), furono svolte indagini di fondamentale rilevanza”,
dai censimenti ai bilanci di comuni e province, delle casse di risparmio, delle
società commerciali ed industriali, alle statistiche delle società di mutuo soccorso
(1862), che in pochi anni “fecero guadagnare
all’Italia il riconoscimento internazionale. Già nel 1867 fu infatti prescelta per
ospitare, in Firenze, la sesta sessione del Congresso internazionale della
statistica“. Non dimentichiamo la inchiesta Jacini sulle condizioni dell’agricoltura
e l’impostazione di un’altra opera fondamentale per la conoscenza approfondita del
territorio, e cioè la compilazione della Carta Geologica della Stato, in quanto
all’epoca della unificazione “si poteva disporre
solo di carte parziali, anche se preziose, realizzate –soprattutto per la Toscana,
l’Emilia, il Piemonte e la Lombardia- da distinti geologi che avevano operato isolatamente
nei diversi stati…”, mentre esistevano vistose lacune per l’Italia centrale
e meridionale. E a questo si aggiunga l’ istituzione del Servizio Meteorologico,
per cui anche in questo settore il giovane Stato italiano entrava a far parte di
organismi internazionali ed a partecipare a congressi, quale quello di Vienna del
1873, dove il nostro fisico Giovanni Cantoni fu eletto membro del Comitato permanente.
Negli anni dal 1880 si imposta anche il lavoro sui corsi d’acqua realizzato,
tra l’altro, per introdurre in agricoltura moderni sistemi di irrigazione, particolarmente
opportuno in un paese soggetto a periodiche alluvioni. Sempre dopo il 1880 si pongono
le basi di quello che oggi chiamiamo “stato
sociale“, da un lato regolando il preesistente sistema delle società di mutuo
soccorso, esistenti da decenni particolarmente nel Piemonte Sabaudo e che nel 1894
avevano raggiunto il numero di 6722, dall’altro per quanto riguarda la legislazione
a favore dei lavoratori, partendo dal 1859 con la legge n.3755 sulla sicurezza dei
lavoratori delle miniere, proseguendo nel 1873 con la legge n.1733 sul divieto dell’impiego
dei fanciulli nelle professioni girovaghe, nel 1881 con la legge n.134 sulla Cassa
pensioni per impiegati statali, nel 1886 con la legge n.3657 sul divieto del lavoro
dei fanciulli negli opifici e nelle miniere, e arrivando alla legge 17 marzo 1898
n.80 sulla assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro nella industria
-con contributi a carico dei datori di lavoro- ed alla successiva legge del 17 luglio
1898 n.350, creatrice della Cassa di previdenza per gli operai, con la quale si
introdusse il principio dell’ assicurazione sussidiata di invalidità e vecchiaia,
firmate dal Re Umberto I del quale, così scrisse Giolitti nelle sue memorie, “non notai in Lui prevenzioni di sorta contro
una politica liberale e democratica. Egli intendeva con alto senso di responsabilità
la sua funzione e si informava moltissimo delle cose dello Stato, interessandosi
di tutto…”.
Questo il quadro complessivo, anche
se forzatamente incompleto, dell’enorme lavoro svolto in tutti i settori della vita
nazionale nel primo quarantennio dello stato unitario, i più complessi e difficili
data la disparità dei punti di partenza e le manovre e le azioni poste in atto dagli
avversari della Unità, nonché da quelle frange mazziniane che non sopportavano il
raggiungimento della unità ottenuto con -e grazie alla- Monarchia dei Savoia, lavoro
che consentì le ulteriori conquiste politiche, economiche e sociali del periodo
giolittiano, con il pieno consenso del giovane Re Vittorio Emanuele III, che ebbe
il suo culmine nelle celebrazioni del cinquantenario del Regno nel 1911 e nel successivo
completamento dell’ unità nel 1918.
La domanda conclusiva è: “tutto questo lavoro sarebbe stato possibile con
una diversa articolazione dello Stato“? Noi crediamo, in opposizione con chi
diceva “noi credevamo“, che lo Stato doveva
essere necessariamente centralizzato, in modo da utilizzare al meglio tutte le energie,
le competenze, le conoscenze che altrimenti si sarebbero disperse, provenienti da
tutte le regioni e le province, smentendo nei nomi e nei fatti la volgare accusa
di “piemontesizzazione“, dal momento che
le regioni meridionali dettero un contributo fondamentale di uomini, come poteva
vedersi in un’altra iniziativa -di cui dovremmo ricercare la documentazione -presa
nell’ambito della Pubblica Amministrazione sempre nell’anno del centocinquantenario-
e cioè la raccolta dei profili di 150 amministratori provenienti da tutte le
regioni del nuovo Regno,che dalla nascita, nel 1861, hanno onorato l’Italia e le
cui figure dovrebbero essere conosciute a memoria ed a monito nel grigiore dell’
età presente.
Domenico Giglio
giovedì 23 gennaio 2020
La Chiesa e le tante delusioni
di Emilio del Bel Belluz
In
questo periodo in cui c’è un caos totale nel mondo della Chiesa e in quello
politico vorrei che i loro appartenenti prendessero come riferimento queste
parole scritte tanti anni fa.
In una rivista pubblicata in un penitenziario
negli Stati Uniti, nello Stato di Iowa, trovai alcune pagine dedicate alla
nascita di un grande uomo come Gesù. Non è stato possibile trovare l’autore di
queste pagine, si dice che fossero appartenute a Philips Brooks, ma non è stato
possibile trovare traccia nelle sue opere scritte.
Di queste pagine pubblicate nella rivista del penitenziario, tutti sono concordi che siano grandi pagine di vita, dallo spessore straordinario.
“Una vita solitaria” .
Ecco un giovane che nacque in un oscuro villaggio, figlio di una donna di campagna. Crebbe in un altro villaggio. Lavorò in una bottega di falegname fino a trent’anni, e poi per tre anni fece predicatore ambulante. Non scrisse mai un libro. Non ebbe mai una carica politica. Non possedé mai una casa. Non ebbe mai una famiglia sua. Non seguì corsi di studio. Non mise mai piede in una grande città. Non si allontanò mai più di 300 chilometri dal luogo dov’era nato. Non fece mai una di quelle cose che di solito accompagnano la grandezza. Non aveva altre credenziali che se stesso. Mentr’era ancora giovane, la corrente dell’opinione pubblica gli divenne ostile. Gli amici lo abbandonarono. Fu dato in mano ai nemici. Subì un simulacro di processo. Fu crocifisso in mezzo a due ladroni. Mentre stava morendo, i suoi carnefici si giocarono a dadi la sola cosa che avesse mai posseduto al mondo, e questa era la sua tunica.
Dopo morto, fu seppellito in una tomba concessa temporaneamente dalla pietà d’un amico. Diciannove e più secoli sono trascorsi, ed oggi è la figura dominante del genere umano, e a lui fa capo ogni processo.
Non oltrepassò i limiti del vero quando dico che tutti gli eserciti che abbiano mai marciato, tutte le flotte che siano mai state armate, tutti i parlamenti che si siano mai riuniti, tutti i re che abbiano mai regnato, messi insieme, non hanno influito sulla vita terrena dell’uomo come questa Unica Vita Solitaria”.

Di queste pagine pubblicate nella rivista del penitenziario, tutti sono concordi che siano grandi pagine di vita, dallo spessore straordinario.
“Una vita solitaria” .
Ecco un giovane che nacque in un oscuro villaggio, figlio di una donna di campagna. Crebbe in un altro villaggio. Lavorò in una bottega di falegname fino a trent’anni, e poi per tre anni fece predicatore ambulante. Non scrisse mai un libro. Non ebbe mai una carica politica. Non possedé mai una casa. Non ebbe mai una famiglia sua. Non seguì corsi di studio. Non mise mai piede in una grande città. Non si allontanò mai più di 300 chilometri dal luogo dov’era nato. Non fece mai una di quelle cose che di solito accompagnano la grandezza. Non aveva altre credenziali che se stesso. Mentr’era ancora giovane, la corrente dell’opinione pubblica gli divenne ostile. Gli amici lo abbandonarono. Fu dato in mano ai nemici. Subì un simulacro di processo. Fu crocifisso in mezzo a due ladroni. Mentre stava morendo, i suoi carnefici si giocarono a dadi la sola cosa che avesse mai posseduto al mondo, e questa era la sua tunica.
Dopo morto, fu seppellito in una tomba concessa temporaneamente dalla pietà d’un amico. Diciannove e più secoli sono trascorsi, ed oggi è la figura dominante del genere umano, e a lui fa capo ogni processo.
Non oltrepassò i limiti del vero quando dico che tutti gli eserciti che abbiano mai marciato, tutte le flotte che siano mai state armate, tutti i parlamenti che si siano mai riuniti, tutti i re che abbiano mai regnato, messi insieme, non hanno influito sulla vita terrena dell’uomo come questa Unica Vita Solitaria”.
mercoledì 22 gennaio 2020
La scomparsa del Professor Pallottino

Fu
anche iscritto all'U.M.I. ricoprendo importanti incarichi.
Fece parte
del Comitato Direttivo del Circolo REX, tenendo numerose conferenze.
Uomo d'azione
e di cultura, scrisse numerosi libri su problemi fisici ed energetici.
Alla famiglia del Professore le sincere condoglianze dello Staff di Monarchici in Rete .
Margherita di Savoia, la Sovrana «Influencer» che traghettò l’Italia fra otto e novecento

Margherita e l’Italia nel
delicato passaggio tra Otto e Novecento, di cui la sovrana fu protagonista
indiscussa e amata dal popolo, saranno infatti l’oggetto di studio di una
tavola rotonda che trae spunto dal libro e che avrà luogo a Roma, alla presenza
dell’Autore.
Indiscrezioni, spese folli,
raffinatezza e cultura, amor di patria e senso del dovere, passione per le
auto, i cavalli gli aeroplani, mediazioni politiche e lutti familiari, ragion
di Stato e amori segreti sono gli ingredienti di una narrazione coinvolgente
che ci restituisce di Margherita una figura a tutto tondo, assolutamente reale,
sincera, che grazie alla sua forza e femminilità, affascina oggi come allora al
pari di una moderna e potente «influencer».
L’incontro si è tenuto alla
Sala Stampa Estera, martedì 21 gennaio alle ore 17.00, in via dell’Umiltà 83/c
(scarica qui il comunicato). È stato organizzato dall’Associazione Volontarie
Telefono Rosa – Onlus che sarà rappresentata dalla presidente Maria Gabriella
Moscatelli. La giornalista RAI Fenesia Calluso ha moderato gli interventi di
Emilio Albertario, vicepresidente Stampa Romana, di Antonello Folco Biagini,
presidente della Fondazione Roma Sapienza, di Carla Cucchiarelli, giornalista
RAI. In rappresentanza del governo è intervenuta la sottosegretaria alla
Cultura Lorenza Bonaccorsi.
[...]
domenica 19 gennaio 2020
Io difendo la Monarchia - Cap VIII - 4
Questa volta al Convegno di Feltre, HitIer
parlò per tre ore. E non dette che ammonimenti e consigli. Mussolini tacque
ancora una volta, mostrandosi preoccupato per il bombardamento di Roma che
avveniva in quella stessa ora. Era visibilmente irritato e deluso, ma rimase in
silenzio a meditare sui rimproveri che HitIer aveva rivolto ai generali e
soldati italiani comandati da lui.
Per non aver trovato l'energia di replicare
qualcosa a Hitler, tornò a Roma nerissimo e telefonò al Ministro della Propaganda
Polverelli per avvertirlo che sarebbe arrivato un comunicato sul convegno da
collocare nei giornali senza rilievo alcuno: « mettetelo dove vi pare e come vi
pare ». Questa comunicazione tanto insolita sbalordì e insieme preoccupò il
Ministro già gravato in quei giorni da foschi presagi. Egli non aveva potuto resistere
alla tentazione di pubblicare un discorso rivolto da Mussolini ai gerarchi un
mese, prima. Lo aveva letto e riletto per molti giorni, si era convinto nella
sua grande
semplicità di spirito che si trattava di un
discorso storico (quanta monotonia dì aggettivi e quanto candore intellettuale!)
e aveva strappato l’autorizzazione a pubblicarlo pochi giorni prima dello
sbarco in Sicilia. Si trattava del discorso del bagnasciuga ove si ammoniva il
nemico che tutti i soldati sbarcati avrebbero occupato, sì, l’Italia
durevolmente, ma in posizione orizzontale. Dopo pochi giorni gli angloamericani
sbarcarono nell’isola e vi rimasero ben saldi, in piedi. Quel discorso così prontamente
contraddetto dai fatti, segnò la fine del credito di Mussolini.
Il nemico era penetrato nel territorio
nazionale con enorme superiorità di armi e di armati. Le nostre città, il più
alto prodotto della civiltà occidentale e cioè umana, erano destinate alla
distruzione totale, anche Roma era stata bombardata e più lo sarebbe stata in
avvenire. L'Incanto della « città aperta » era rotto. Il popolo di Roma, nella
giornata del 19 luglio aveva fatto sentire la sua insofferenza e il suo
desiderio di pace, cosi come nelle settimane precedenti, il Re aveva potuto
constatare, a Civitavecchia e a Genova. L'esercito non combatteva più, i
fascisti erano scomparsi, Mussolini non aveva un fascista alle sue spalle, ma solo
alcuni figuri che si sarebbero dileguati per sfuggire alla vendetta popolare
appena conosciuta la notizia delle sue dimissioni. Anche il Gran Consiglio si
sarebbe pronunciato contro il suo capo nei prossimi giorni.
Il convegno di Feltre aveva fatto capire, e
Mussolini lo aveva detto al Re, che non vi era più nulla da attendersi dalla
collaborazione tedesca. L'Italia era per i tedeschi null'altro che una difesa
avanzata (da sfruttare fino all’estremo) della fortezza hitleriana.
Vi era sì un elemento negativo: la
sproporzione tra le forze tedesche e le forze italiane non era diminuita, ma
cresciuta.
La battaglia di Sicilia era stata I‘opposto
di quella di Tunisia, i tedeschi sì erano dimostrati assai più combattivi degli
italiani. Ma in realtà tutte le nostre migliori divisioni erano rimaste al di
là delle frontiere e se prima Mussolini ne aveva impedito il ritorno in Patria,
perché si sentiva protetto dai tedeschi assai più che dagli italiani, ora il
governo di Berlino ne impedirà, il richiamo. Conveniva dunque agire rapidamente
e nel più assoluto segreto. Spetterà poi ai partiti clandestini, se hanno
radici nel popolo di uscire alla luce e di produrre la nuova atmosfera della
lotta contro il vero eterno invasore.
Cosi
avvenne il 25 luglio. Poté essere una coincidenza
non sgradita che anche dei fascisti altolocati condannassero la politica dì Mussolini,
ma la decisione'di revocargli il mandato era già stata presa dal Re ed era
ormai irrevocabile sin dal 20 luglio. Essa fu comunicata dal Re ad Ambrosio quando
non si poteva sapere che vi sarebbe stata una mozione Grandi contro Mussolini
che avrebbe ottenuto nel Gran Consiglio la maggioranza.
Senza dubbio il Re riteneva più opportuno un governo
militare e tecnico che fosse in grado di trattare l'armistizio con gli alleati
senza essere compromesso con il fascismo
e che potesse tenere a bada i tedeschi i quali si sarebbero invece lanciati
nell'aggressione appena avessero visto al Governo gli uomini dell’antifascismo.
Non bisogna dimenticare che il « patto d'acciaio » del maggio 1939, che
costituiva la base del nostro intervento, era fondato su una premessa
ideologica che faceva richiamo alla solidarietà delle due rivoluzioni. I tedeschi
avrebbero potuto, nel caso di un ministero Bonomi, invocare quel patto per
intervenire a loro agio. Allo stesso modo il Re non poteva chiamare al Ministero
i vari Federzoni o Grandi, come dopo si insinuò che era sua intenzione di fare,
per salvare... il fascismo. Egli temeva anzi che costoro volessero far pesare
il loro voto contro Mussolini per designarsi alla successione. Ecco perché si ricorse
ai militari ed ai tecnici, ecco perché tutti gli interpellati dalla Corona a
cominciare da Orlando e da Bonomi consigliarono Badoglio. In verità fu il solo
Badoglio a desiderare un ministero politico e sì recò dal Re nei primi giorni
di luglio per suggerirglielo. Fu un atto di modestia e dì onestà che fa onore
al vecchio maresciallo. Egli voleva che altri uomini assai più esperti di lui
nella politica, conoscitori di quei movimenti clandestini e dell'emigrazione
che avrebbero dovuto fornire, i quadri dell'Italia da rifare, lo coadiuvassero
nel Governo, nelle trattative difficili e insidiose dell'armistizio, nella preparazione
dello spirito pubblico alla probabile lotta contro i tedeschi. Forse,
giudicando aprés coup è possibile
stabilire che Badoglio avesse delle buone ragioni. I tedeschi, infatti, non sì lasciarono
ingannare dal Ministero; tecnico e cominciarono a far scendere dal Brennero
quelle divisioni che avevano pochi giorni prima negate a Mussolini
nell'incontro di Feltre. Bisognava, a loro giudizio, non lasciarsi sfuggire la
base italiana nella quale si poteva ritardare per molto tempo, lungo tutto il
corso della Penisola, la marcia nemica. Intanto l’Italia, scientificamente
depredata, avrebbe fornito all'esercito, al lavoro e alla popolazione del Reich
i viveri, gli uomini, i beni, le scorte, le macchine dell'alleato di ieri.
V'era insomma un altro paese da mettere a sacco e da sottoporre alla guerra
totale, mentre gli scienziati germanici preparavano le armi nuove per tentare
di far mutare ancora il corso della guerra.
Si poteva, dunque, in queste condizioni,
fare, subito un Ministero Politico, sebbene vi si opponessero ragioni che verremo
spiegando, ma non fu certo diffidenza o calcolo dinastico quel che portò ad una
diversa soluzione. Fu invece la somma dei giudizi e dei consigli degli uomini interpellati. Così deve dirsi l’espressione
«la guerra continua » che ha suscitato tante polemiche e che fu molto sfruttata
nei circoli stranieri contrari all'Italia. La creazione di un Ministero tecnico
fece sì che il Re si trovò solo con il vecchio maresciallo nel terribile
trapasso, dalla guerra contro gli anglo-americani alla guerra contro i
tedeschi. Era il momento più grave della nostra storia, dai giorni di Novara, e
tutto ci venne meno, ma non si rimproveri il Sovrano di averlo affrontato da
solo nella speranza di evitare maggiori danni alla Patria. Non fu certo per ambizione
o per libidine dì comando e tanto meno per interesse dinastico. Sarebbe stato
assai più agevole per la Corona
far assumere ai capi dei partiti la loro parte di responsabilità , nelle
trattative di armistizio. Ma non sì riflette che, anche per consiglio e per
volontà di quei capi, esse dovevano essere segretissime per sfuggire
all'accentuata sorveglianza tedesca? Anche più agevole sarebbe stato lasciare a
quelle personalità la responsabilità della difesa e della resa della capitale.
Nessuno avrebbe in seguito potuto inscenare la campagna scandalistica per « la
fuga di Pescara »,
Questo episodio della disfatta italiana ha
fornito, infatti ì il pretesto ai beneficiari di essa per inscenare una turpe
campagna di stampa che ancora perdura. Si è puntato sul turbamento psicologico
della popolazione della capitale per chiamare in causa direttamente la Monarchia
e renderla responsabile dei fatti del settembre.
venerdì 17 gennaio 2020
E’arrivata la bufera
E’ successo qualcosa e non
serve a nulla fare finta di niente.
Un nuovo avvenimento divisivo,
l’ennesimo, e i quattro gatti che siamo ritornano alla carica utilizzando con
furia belluina le poche energie a disposizione l’uno contro l’altro invece che contro questa
repubblica asfittica ed in perenne agonia.
Incredibile l'elevato numero di "giuristi" tra i monarchici.
La triste verità è che le divisioni tra i
monarchici ci addolorano più di tutto il resto.
Il nostro impegno continua
con tranquillità.
Non dobbiamo nulla a nessuno, se non a quanti condividono con
noi i loro pensieri ed i loro archivi ed agli amici che ci seguono.
Crediamo che la Corona sia
un servizio all’Italia e solo in questa funzione le riconosciamo ogni
superiorità.
Chi ama la Corona senza
amare l’Italia non fa per noi.
domenica 12 gennaio 2020
Ribolle il grande magma
Il socialista Sanchez al governo della Spagna
Europa più debole, Mediterraneo
più insicuro
di Aldo A. Mola
11 novembre 2019. Dopo un paio d'anni di
borboglii, da trentacinque chilometri sotto terra un immenso magma esplode,
genera un vulcano sottomarino dalla pericolosità ancora da sondare, sposta di
alcuni centimetri l'isola di Mayotte nell'Arcipelago delle Comore, tra il
Madagascar e l'Africa, e l'abbassa di circa 20 centimetri. Non c'entrano né le
variazioni climatiche, né l'inquinamento atmosferico né il peso dei turisti. È
la Terra che dice la sua: un globo azzurro e verde in superficie, di fuoco
all'interno. Di quando in quando erutta. Con esiti sgradevoli.
Accade altrettanto nella “politica”.
Lo stesso 11 novembre 2019 gli spagnoli per
la quarta volta in due anni si sono recati alle urne, croce e delizia della
“democrazia parlamentare”. Le elezioni, lo sappiamo, sono il sistema meno
infelice per legittimare dirigenza e governo. Però sappiamo anche che esse non
sempre dicono la “verità”, e non solo nei regimi di partito unico, ove si
risolvono in farsa, ma anche altrove, dove sono ingabbiate in leggi e procedure
che lasciano mano libera agli eletti per giochi di potere dominati da ambizioni
personali mentre occorrerebbero progetti di lungo periodo. È appunto il caso
della Spagna. Il Partito socialista operaio spagnolo (PSOE) ha una cupola di
“baroni” in tensione crescente con il sistema costituzionale e lo Stato stesso.
Da Mayotte la Terra ha mandato un segnale. Un
preoccupante “ronzio” da lì si è diffuso in ogni angolo del pianeta. Il
messaggio è chiaro: meno chiasso in superficie, più auscultazione delle
profondità. È l'ora del “Vitriol”: “visita interiora terrae, rectificando
invenies occultum lapidem”, insegna degli Alchimisti, dei sapienti che non
fanno da zerbino ai Potenti di turno ma sono votati al Progresso delle Scienze.
Maghi? Stregoni? Massoni? O semplicemente cittadini che non fanno baccano per
futili motivi perché sanno che il Tempo passa “e quasi orma non lascia”? A
Mayotte la Terra ha emesso un respiro profondo, come suol fare, senza
consultare chi ne popola la superficie: talora animato da molta “pietas” e
rispetto verso la Gran Madre, talaltra con spocchiosa arroganza. Alcuni ne
temono le scosse e percepiscono che prima o poi potrebbe arrivare la
catastrofe. Altri invece pensano che a placare e a imbrigliare i sommovimenti
della Saturnia Tellus bastino canti e suoni di putipù.
Il rischio del blocco continentale
A volte, però, non è la Natura Maligna a
generare borboglii e a provocare sconquassi abissali. Sono gli uomini,
abbacinati da “miti” artificiosi, passioni stagionali, eruzioni cutanee.
Trent'anni in Italia addietro fu il caso dell'estemporanea invenzione dei
“celti”. Forse non tutti i suoi turibolanti ricordavano che “celtico” era stato
sinonimo di “morbo gallico”, ovvero della sifilide il cui contagio gli italici
imputarono ai francesi anziché alle proprie incaute intemperanze.
Ma altri sono oggi i contagi e ben più
drammatiche le conseguenze a breve e a lunga distanza delle faglie che si
stanno aprendo tra Terraferma e Gran Bretagna. Due secoli dopo il “blocco
continentale” ordinato da Napoleone I per mettere in ginocchio gli inglesi
adesso sono questi a decretare il blocco contro il Vecchio Continente. Approdo
di popoli migranti che si accavallarono, combatterono e dominarono l'un l'altro
in guerre feroci, proprio mentre in molte plaghe e suburbi è ormai più simile
al Brasile che alla Sassonia oggi la Gran Bretagna si chiude in se stessa:
autosegregazione. Dal canto suo l'Unione Europea si riduce a sommatoria di
quattro Stati (Germania, Francia, Italia e Spagna) e di una pleiade di Paesi
minori, soggiogati da satrapi eterodiretti (Polonia, Romania, Bulgaria...) e di
statucoli dalle dimensioni inversamente proporzionali ai capitali che vi
trovano rifugio (il riferimento a Belgio e Lussemburgo, ben inteso, non è
affatto casuale, per tacere dei principati di Andorra, Monaco e Liechtenstein).
La Spagna, dunque: Mayotte
dell'Europa ventura?
La Spagna ci riguarda da vicino. Torino e
Genova sono più vicine a Barcellona che a Santa Maria di Leuca. La loro
distanza da Madrid è pressoché uguale a quella da Palermo. La percorrenza e i
cambi in areo si equivalgono. Vale per le persone come per le merci: anzi, la
Spagna ha “corsie privilegiate” verso i porti italiani, documentate nei secoli
e consegnate ai corsi e ricorsi della storia. Una volta erano i Romani a
espugnare Numanzia; poi furono gli spagnoli a dominare l'Italia.
Nell'età presente, se la Spagna va male, va
male l'Europa. Se la Spagna è più debole, l'Europa conta di meno nel mondo, che
parla spagnolo dalla Patagonia a metà degli Stati Uniti d'America. Se la Spagna
declina, l'Italia ha tutto da perdere, perché il Mediterraneo diviene più
stretto e le sue coste settentrionali tornano vulnerabili. Le prime
ripercussioni negative ricadrebbero sull'Italia nord-occidentale, oggi
periclitante per il collasso delle comunicazioni ferro-stradali con l'Oltralpe.
Perciò il futuro della penisola iberica dovrebbe essere in cima all'agenda di
qualsiasi persona sensata, sia per l'ormai incombente Brexit sia per gli
argomenti ventilati da Erdogan a sostegno della riconquista della Libia da
parte dei turchi: vendicare la sconfitta subìta da Istanbul nella guerra del
1911-1912, quando l'Italia di Vittorio Emanuele III e Giolitti mosse contro
l'impero turco-ottomano per liberare gli arabi dal dominio turco al quale erano
sottoposti da quattro secoli.
Il governo di minoranza di “Sanchez il
Ricattabile”
In attesa che quel che resta dell'Europa
faccia un serio esame di coscienza sul suo stato attuale e sulle prospettive,
il “caso Spagna” richiama l'attenzione.
Con l'“investitura” del socialista Pedro
Sánchez a capo del governo formato da Psoe e da Uniti Possiamo (o “Podemos”
come comunemente detto il partito capitanato da Pablo Iglesias e dalla sua
compagna, Irene Montero), il 7 gennaio la Spagna ha fatto un balzo all'indietro
di ottant'anni. La maggior parte dei commentatori nostrani ha salutato
l'avvento di un “governo di coalizione” anche a Madrid, come in altri Paesi
europei, quasi fosse un passo avanti verso la “normalizzazione” dopo un
quarantennio di governi, ora socialisti democratici, ora del Partito popolare.
Hanno ignorato (o finto di ignorare?) che i governi di coalizione in Germania e
Italia nacquero dall'alleanza virtuosa tra grandi forze (prevalentemente
socialisti democratici e cristiani non clericali), forti di ampia maggioranza.
Le coalizioni costano un po' di sacrificio (“sforbiciare le ali” diceva Franco
Venturi, insuperato storico dell'Illuminismo) ma assicurano lunghi periodi di
stabilità. Mettono tra parentesi i motivi di contrapposizione e fanno leva su valori
e obiettivi comuni: la ricostruzione, l'ampliamento della partecipazione
democratica, la convergenza tra cittadini e istituzioni, tra la dimensione
originaria dello Stato e la Comunità internazionale. Governi di coalizione
durarono in Italia col centrismo degasperiano e con il centro sinistra sino al
governo presieduto da Bettino Craxi. Furono gli anni del miracolo economico,
del palpabile avvicinamento tra Nord e Sud col potenziamento della rete
ferro-stradale, demandata a completare l'unità nazionale frenata dal
dirottamento di risorse dagli investimenti civili alla guerra nel 1914-1918 e
dal rovinoso quinquennio 1940-1945.
La coalizione il 7 gennaio varata a Madrid è
di tutt'altra natura. Sánchez ha ottenuto l'investitura a presidente del
governo solo alla seconda votazione, con appena 167 voti a favore (PSOE e
Podemos) contro 165 e 18 astensioni. È un governo di coalizione, sì, ma tra
tinte di un solo colore: è rosso-paonazzo e al tempo stesso di “stretta
minoranza”. Si è salvato per un pelo grazie e una deputata delle Canarie che ha
rotto la “disciplina di partito” e solo in virtù all'astensione della Sinistra
repubblicana catalana che vuole la Catalogna repubblica indipendente. Una sua
esponente ha dichiarato alle Cortes (la Camera spagnola) che non le importa un
“fico” (traduciamo così) della governabilità della Spagna, che per lei è ancor
oggi una dittatura, un regime fascista. Per lei peggio va Madrid, meglio è per
i visionari che in Catalogna hanno rimosso i ritratti del Re, Felipe VI di
Borbone, impongono l'uso del catalano (una “linguina” rispetto allo spagnolo,
secondo idioma del pianeta) e marciano in convergenza niente affatto segreta
non con il “ragionevole” Partito nazionale basco ma con “Bildu”, erede
ideologico della sanguinaria ETA. Dinnanzi ai ceffoni loro inflitti alle Cortes
da repubblicani e nemici dell'unità della Spagna tanto Sánchez quanto i suoi
alleati non hanno battuto ciglio. Hanno taciuto. A loro premeva incassare
l'“investitura” e formare finalmente l'agognato governo: venti ministri e
quattro vicepresidenti. Mai come in questo caso ha vinto la fame di poltrone,
del resto occupate da anni senza un consenso maggioritario ma solo grazie a una
legge elettorale che premia il partito prevalente in collegi disegnati per un
Paese del tutto diverso dall'attuale.
Ciliegina sulla torta della coalizione è
stato il voto favorevole dell'unico deputato del movimento “Teruel existe”,
eletto a metà strada fra Sagunto e Calatayud, lembo della “Spagna profonda”
dipinta come “vacía”: desolata, in abbandono, sede di un vescovado comprendente
l'incantevole Albarracin. Il riscatto dei Turolensi, però, non passa attraverso
la contrapposizione masochistica tra Periferia e Centro, ma tramite gli
investimenti stranieri e la saggia amministrazione dei fondi europei, che hanno
fatto la fortuna di regioni quali la Andalusia. Il nuovo governo madrileno
assomma microcefalismo localistico (catalano, neo-etarra, turolense, un po'
canario...) e autocefalismo socialistoide di Pedro Sánchez, che per anni ha brandito
come clava la rimozione della salma di Franco dal Valle de los Caídos in
combutta con Carmen Calvo, antagonista dell'andalusa Susana Díaz: un dualismo
che riproduce in miniatura la distanza abissale tra “Pedro, el Guapo”
(rapidamente avvizzito) e Felipe González, un gigante del socialismo
democratico europeo.
Il nuovo governo ha per base un programma di
decine di titoli e centinaia di capitoletti (tipo il fallimentare “contratto di
governo” pattuito da Lega e M5S nel maggio 2018), elusivo dei veri problemi
della Spagna odierna: scongiurare la deflagrazione dello Stato in frammenti
alimentati dall'odio verso sé stessi.
Per fortuna sua e dell'Europa dalla morte di
Francisco Franco (statista in attesa di valutazioni equilibrate sul suo
quarantennio di “jefatura del Estado”) la Spagna è una monarchia
costituzionale, voluta e apprezzata dalla stragrande maggioranza dei suoi
abitanti. Come convennero anche comunisti alla Santiago Carrillo, re Juan
Carlos de Borbón y Borbón era consustanziale alla Spagna “como la sopa de ajo”.
Cresciuta dalla Transizione (che ebbe per timonieri costituzionalisti “di
sinistra” quale Gregorio Peces-Barba, anima dell'Università “Carlos III” di
Madrid) la Spagna odierna ha alto prestigio internazionale, un'economia
invidiabile e un assetto giuridico di prim'ordine, attestato dal Tribunale
Supremo nella spinosa vertenza di Oriol Junqueras, il catalano separatista
eletto eurodeputato ma condannato a 13 anni di carcere e quindi ineleggibile
perché temporaneamente privo di diritti politici.
Sarà vera gloria?
Proprio per la sua solidità e per
l'ordinamento istituzionale la Spagna è bersaglio di chi mina l'Unione Europea
attraverso l'esasperazione di localismi e di movimenti indipendentisti e
secessionisti largamente finanziati dall'estero, talora sorretti da un clero
locale dimentico dell'universalità della Chiesa che ebbe nella Spagna uno tra i
suoi più importanti “attori”.
Comunque il cammino del governo
Sánchez-Iglesias non si annuncia affatto facile. A presentargli il conto
saranno anzitutto gli estremisti che lo hanno “investito” e i separatisti che
il 7 gennaio gli hanno spianato la strada con l'astensione, attendendolo però
al varco con pretese avulse dalla storia, quali l'avvento di una Repubblica
indipendente di Catalogna, che spaccherebbe l'unità della Spagna, getterebbe
metà della popolazione catalana contro l'altra metà, del tutto contraria a
convulsioni arcaiche e costringerebbe chi va nella penisola iberica a valicare
una frontiera di troppo: l'opposto di quanto occorre.
Come noto, un passo di quel genere troverebbe
inoltre innumerevoli imitatori in Spagna (dalla Galizia ai Paesi Baschi) ma
anche in altri Stati, inclusa l'Italia dove fioriscono spinte centrifughe per
la gracilità della tenuta culturale unitaria e il declino della coscienza
storica che si espresse nelle opere di Benedetto Croce, Federico Chabod,
Ruggiero Romano, Giuseppe Galasso..., per i quali Italia ed Europa sono
tutt'uno e il pensiero liberale comprende tante possibili varianti (dai
radicali ai socialisti) all'insegna dei valori della democrazia parlamentare e
della moralità della politica, posta al centro della riflessione dal robusto
saggio di Tito Lucrezio Rizzo, L'etica, soffio del Divino attraverso le
Istituzioni più amate dagli italiani (pref. di Tullio del Sette, ed.
Aracne).
Fatalmente Sánchez si troverà presto a
misurarsi con partiti e movimenti centrifughi. Ad ambiguità, riserve mentali e
giochi al rimpiattino seguiranno tensioni e fratture.
È da prevedere che la lezione dell'11
novembre non verrà ignorata dalla Spagna maggioritaria nel Paese, centrista,
moderata, europeista, e che al prossimo non remoto turno elettorale le
divisioni tra Partito popolare, Ciudadanos (una cometa presto spenta) e Vox
cederanno il passo ad accordi e a convergenze elettorali collegio per collegio
(uniti si vince). Anche a legge elettorale immutata, basta poco perché il
centro-destra prevalga e ponga le basi per un governo effettivamente duraturo e
capace di esprimere l'unità tra Istituzioni e cittadini.
Un'ultima constatazione s’impone. In frangia
culturale nostrana, numericamente esigua ma politicamente influente, ha nutrito
a lungo pregiudizi nei confronti della Spagna, identificata con “nemici
storici”, quali gli Asburgo e i Borbone: dinastie che, con imperatori e re, esercitarono
in Italia il ruolo che gli italiani non seppero svolgervi sino all'avvento di
Casa Savoia, perno dell'unificazione nazionale. Quella è comunque storia
passata. L'attuale e la ventura hanno un altro nome, la latinità e le radici
“umanistiche” evocate a fondamento del Trattato dell'Unione; un'Europa nella
quale Paesi come l'Italia e la Spagna hanno motivo di sentirsi più che mai
affratellati, superando all'interno e all'esterno i particolarismi ideologici,
etnocentrici (che poi a volte sono poco più che tribali) e confessionali, tutti
residui del “secolo lungo”: il Novecento, scandito dalla guerra dei trent'anni
(1914-1945) e dalla lacerante divisione in blocchi militari contrapposti,
durante la guerra fredda e la sua tragica appendice nei Balcani sino alle
soglie del Terzo Millennio.
Aldo A. Mola
“Nozze Reali” e visite al castello di Racconigi
Domenica 12 gennaio una
visita speciale al castello di Racconigi per ricordare le “Nozze Reali” tra
Umberto II di Savoia e Maria José del Belgio.
Proseguono gli appuntamenti nell'ambito dell’iniziativa “Racconigi si
racconta“, in collaborazione con l’Atl del
Cuneese e il consorzio Conitours.
Domenica 12 gennaio 2020 si
terrà al castello di Racconigi la visita guidata “Nozze Reali”; come accadeva
dal primo Novecento, grazie all’iniziativa la città rinnova l’abitudine di
ricordare, festeggiare e raccontare ciò che ruotava attorno al castello senza
dimenticare la propria storia e tradizioni locali.
L’8 gennaio 1930 avvennero
le nozze del Principe di Piemonte Umberto II con la principessa Maria José del
Belgio. Prendendo spunto da questo evento, è in programma un viaggio tra i
matrimoni di Casa Savoia. il racconto inizia dalle feste più famose dei padroni
di Casa, i principi di Carignano: il capostipite Tommaso, il matrimonio
contrastato del figlio Emanuele Filiberto fino a quello di Carlo Alberto, non
ancora re. Non mancheranno curiosità sulle nozze dei primi sovrani dell’Italia
unita e dei principi del Novecento.
La durata della visita è di
90 minuti, il costo di 8 euro per coloro che effettuano la prenotazione sul
sito e di 10 euro per chi desidera pagare e prenotarsi direttamente al
castello.
Per informazioni, telefonare
allo 0172-84005.
venerdì 10 gennaio 2020
Il libro azzurro sul referendum - XVI cap - 1 - 3
Il proclama del Re del 13 giugno
2) Il proclama.
3) Reazioni alla Partenza - Comunicato della Presidenza
del Consiglio. - Reazioni di Londra, oltre Tevere, nei partiti.
4) Radio-discorso del Presidente del Consiglio.
Il Re respinse il consiglio di ritirarsi a Napoli: «La
mia Casa ha unito l'Italia; andando à Napoli la dividerei».
«Non voglio un trono macchiato di sangue. Mi sono
costantemente preoccupato di non intaccare la compattezza delle Forze Armate.
E' soprattutto per questo che come militare cercai, finché fu possibile, di
giungere ad un regolare passaggio di poteri».
«Intendo evitare la ripetizione dell'8 settembre. L'8
settembre fatalmente tornerebbe sul nostro infelice Paese, ove io non
sciogliessi dal giuramento alla Corona tutti quanti lo hanno prestato ».
La partenza viene così decisa:
1) senza comunicazione al Governo né avere rapporti con esso;
2) senza comunicazione agli alleati in modo da far loro
intendere la deplorazione del Sovrano per il loro contegno.
3) con riservatezza in modo da evitare dimostrazioni di protesta
delle masse monarchiche (1);
4) con tutti gli onori dovuti al Re, ma solo al
Quirinale.
Il Re a Scialoia: ore 46.09 del 13 Giugno a Ciampino:
«L'ordine e la concordia dell'Italia non siano turbati.
Che i monarchici siano uniti. Se vorranno sostenere le loro convinzioni, lo
facciano solo per le vie legali : il Parlamento, la stampa...».
Nello stesso momento il plotone d'onore dei granatieri
presentava le armi al Vessillo del Risorgimento che scendeva dalla torretta del
Quirinale...
(1) A Ciampino, una contadina del luogo tiene una piccola
zolla erbosa, la porge al Re e dice a voce bassa appena percettibile: «Porta
con te questo poco d'Italia » e si allontana, quasi fuggendo.
Il Re salutando un gruppo di avieri dice ad un sergente:
«Salutami anche i tuoi compagni». Il sergente sull'attenti: «Vi aspettiamo
sempre». (Da Storia segreta.- pag. 219 e seg., pag. 229).
giovedì 9 gennaio 2020
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