NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 21 dicembre 2019

Lo zampognaro della Regina Margherita


di Emilio Del Bel Belluz

Anche per me, come per tutti, gli anni passano e i ricordi prendono il sopravvento. Sento di avere l’obbligo di raccontare degli episodi di cui sono venuto a conoscenza, affinché ne rimanga traccia.  
Proprio in questi giorni che precedono il Natale, mi è tornata in mente la storia di uno zampognaro. Per tanti anni ho vissuto a Villanova di Motta, un piccolo paese del Veneto che si raccoglie attorno alla chiesa e alla canonica del parroco. 
Un tempo il sacerdote era una persona di riferimento per tutti i parrocchiani.  Era assistito nel suo operato dal sacrestano, figura ormai scomparsa. Allora la mia famiglia gestiva un’osteria, con annesso un piccolo negozio di generi alimentari. 
Una vigilia di Natale, entrò nell’osteria uno zampognaro e avvicinatosi al presepe che avevamo allestito dentro il locale, si mise a suonare. Quella sera nell’osteria c’ero io, mio padre e il sacrestano del paese che attendevamo per andare ad assistere alla Santa Messa. Mio padre era stato una persona che aveva molto sofferto nella vita: la guerra, la dura prigionia e tante altre sconfitte che ha dovuto superare. 
Ci sono uomini che, essendo stati duramente provati dalla vita, diventano duri e spietati, ma ce ne sono altri che mantengono il cuore buono e disponibile verso il prossimo. Elso, mio padre, aveva una speciale venerazione per i poveri, e cercava per quello che poteva di aiutarli. Lo zampognaro che aveva suonato davanti al presepe non era una persona fortunata. 
Aveva camminato per tanti chilometri, visto molti paesi, ma non era riuscito a guadagnare molto. Lo zampognaro era un vecchio con la barba fluente, gli occhi stanchi e i vestiti logori. Mancavano due ore alla mezzanotte, io dissi a mio padre che bisognava dargli da mangiare, e subito andai in cucina e vi discesi con una minestra di fagioli, un pezzetto di carne e del vino che avrebbe resuscitato anche un morto. 
L’uomo iniziò a raccontare la sua vita. Era rimasto vedovo da alcuni anni e non aveva avuto figli. Ogni anno partiva da un paesino vicino al confine austriaco e scendeva a valle per suonare nei vari paesi. Anche suo padre aveva fatto lo zampognaro, e sin da piccolo gli era entrato nel cuore il suono delle ciaramelle. Il vecchio dopo essersi rifocillato, raccontò che gli era piaciuta l’osteria di mio padre, e aveva scelto di entrarvi perché un uomo lungo la strada gli aveva parlato di lui, dicendogli che sicuramente l’avrebbe aiutato. Lo zampognaro chiese a mio padre se poteva trovargli un giaciglio per dormire, e un boccone per l’indomani. Elso non ci pensò due volte, e l’accomodò in una stanza che tenevamo come ripostiglio, dove c’era una branda con delle coperte. 
Gli occhi del vecchio s’illuminarono, e disse che gli zampognari furono amati anche dalla regina d’Italia, Margherita di Savoia. Dalla tasca della logora giacca tolse il suo portafoglio. Vi trasse un foglio di giornale e, senza dire che cosa contenesse, lo lesse tutto d’un fiato. “Giggi il Moro, zampognaro della Regina e modello di fama internazionale, è stato certo il più bell’uomo di Anticoli, e ne è oggi il più bel vecchio. I magnifici occhi neri, il profilo purissimo, la figura tuttora diritta e signorile, gli atteggiamenti pieni di dignità, il suo procedere lento e maestoso, colpiscono ancor oggi profondamente. Ma anche per lui i tempi sono brutti. Poco lavoro sia come modello, sia come zampognaro, ché negli alberghi di Roma, dov’era spesso chiamato dai forestieri, c’è ormai poco o nulla da fare. 
Zampognaro di classe, vincitore ― nientemeno ― di un primo premio al veglione del Costanzi quaranta o cinquant’anni fa. ― Quella sera ― egli racconta, mentre la fiamma del camino illumina il bel volto abbronzato ― tornando a casa si vide correre incontro la moglie, la quale, tutta ansimante, lo avvertì che c’eran le guardie ad aspettarlo. “E che me servono a me le guardie?” fu la risposta di Giggi, che aveva la coscienza tranquilla. Le guardie dovevano condurlo a Palazzo Reale: la Regina Margherita, che era intervenuta al veglione, voleva risentire lo zampognaro di Anticoli. E andò così, vestito com’era, con la fascia rossa alla vita e le cioce con le stringhe, “che parevo Gasparone!”Da quella notte, Giggi il Moro, per quindici anni, ad ogni vigilia di Natale varcò la soglia del bel palazzo di via Veneto e accanto al Presepio suonò sulla sua zampogna le dolci arie di Natale, alla presenza della Regina e di tutta la Corte.
 “Ma una volta s’inquietò con me, la Regina tanto bella e buona e che mi chiedeva sempre: ― Come stai, zampognaro? ― seguita a raccontare Giggi, ormai tutto preso dai ricordi di un tempo felice. ― Nevicava e così, invece delle cioce e dei guardiamacchia (calzoni corti di pelle di pecora, usati dai pastori) avevo messo le scarpe e i calzoni lunghi. Quando la Regina mi vide, ― Non farlo più! ― mi disse seria. ― Se ci tieni proprio alle scarpe e al resto, porta almeno con te il costume per indossarlo qui ― . Cento lire per volta, mi davano ― sospira Giggi ― e poi l’albero di Natale aveva sempre un regalo anche per me. Un anno, una “cuccuma”, quella...” E il bellissimo vecchio si alza, la tira fuori con grande cura da una credenzetta, e me la porge, accarezzandola quasi con lo sguardo. L’argentea “cuccuma” della Regina fa una figura veramente regale tra i pochi cocci che costituiscono le misere stoviglie familiari “. Alla fine  della lettura si bevette un sorso di vino, ogni volta che gli capitava di raccontare questa storia si commuoveva, perché quel racconto glielo narrava sempre suo padre che era morto. 
Lo invitammo alla messa di mezzanotte, e il vecchio acconsentì. La gente del piccolo paese di Villanova era felice nel vedere che uno zampognaro partecipava alla Santa messa. Alla fine della cerimonia, il vecchio parroco lo chiamò davanti al presepe a suonare alcune melodie natalizie. Quella notte di Natale una figura del presepe l’ avevamo portata nella nostra casa e nella nostra vita. L’indomani con la bisaccia piena di provviste riprese la via di casa. Prima di andarsene mi regalò quell’articolo, e mi chiese di non dimenticare lo zampognaro della regina. 
Quel foglio l’ho conservo da tanti anni tra i miei più cari ricordi di un  tempo.

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