Requiescant in pace...
Finalmente insieme. Finalmente in Italia.
Finalmente in pace. Era il 15-17 dicembre del 2017, due anni orsono. Tre
governi fa. Presidente del Consiglio era Paolo Gentiloni, ora l'italiano più
rappresentativo nella Commissione europea. Da quei giorni di due anni fa le
salme di Vittorio Emanuele III e di Elena di Savoia sono congiunte ai lati
dell'altare nella Cappella San Bernardo del Santuario-Basilica di Vicoforte,
diocesi di Mondovì, provincia di Cuneo, cuore del “Vecchio Piemonte” a loro
particolarmente caro. Era la terra incontaminata, quella delle rare intense
“vacanze”, tra Racconigi e Pollenzo, Sant'Anna di Valdieri e la miriade di
“piccoli borghi” che alla Regina ricordavano il suo originario Montenegro.
Una luce nella notte: la Regina da
Montpellier a Vicoforte
Per primo arrivò il sarcofago della Regina,
quasi il Consorte le avesse dato la precedenza, con l'eleganza che le usava
nella consuetudine di Casa, quando le recava mazzi di viole campestri da lui
stesso raccolte, al di fuori del protocollo di Stato. Era ormai buio fitto
quando il furgone funerario giunse da Montpellier il 15 dicembre 2017. La sua
estumulazione era iniziata alle 7.30 nel cimitero Saint-Lazare alla presenza di
Luca Fucini, componente della Consulta dei senatori del Regno, appositamente
delegato, e del “maire” Philippe Saurel, che sul feretro racchiudente la cassa
di zinco appose la coccarda francese e la targa “Reine Elena di Savoia,
1873-1952”. Venne chiesto un minuto di silenzio “à la mémoire de la Reine”. Fu
l'omaggio della città alla Regina d'Italia che, vedova dal 1947, vi aveva
trascorso gli ultimi tempi della lunga vita dedicata alla beneficenza, agli
studi, alle arti a fianco del Consorte, Vittorio Emanuele (11 novembre 1869-28
dicembre 1947). All'epoca principe di Napoli, il futuro re d'Italia, ottenuto
il placet da Umberto I come da “regie patenti”, nella lontana estate del 1896
l'aveva chiesta in sposa al padre, Nicola Petrovic-Niegos, principe e poi re
del Montenegro, di osservanza ortodossa. Cresciuta a contatto con la corte
dello zar di Russia, nel viaggio dalla terra nativa a Bari la principessa Elena
aveva optato per la confessione cattolica apostolica romana, “sola religione
dello Stato” in forza dello Statuto promulgato da Carlo Alberto di Sardegna il
4 marzo 1848. L'estumulazione fu ripresa dalle reti televisive “France 3” e da
“Monpellier Actualité”, presenti cronisti informati dalla “mairie”, anche in vista
di una conferenza stampa indetta dal sindaco, opportunamente fatta differire
alle 18.
Quasi otto ore dopo la partenza, la salma fu
accolta a Vicoforte dal conte Federico Radicati di Primeglio, nell'agosto
precedente delegato dalla Famiglia Savoia “per tutti gli atti necessari a
estumulazione, traslazione e ritumulazione” delle salme di Vittorio Emanuele
III e della Regina “in Italia”: un funerale privato, per motivi comprensibili e
condivisi tutelato dal massimo riserbo. Presenti il sindaco di Vicoforte,
Valter Roattino, l'architetto Claudio Bertano (al quale si deve il disegno
delle arche funerarie, approvato dalla Sovrintendenza competente), uno storico
da anni dedito alla complessa impresa e un Consigliere che non era osservatore
ma tramite di alta volontà, il Rettore del Santuario monsignor Meo Bessone
impartì la benedizione. L'impresa
funebre di Flavio Tallone (che scoprì solo leggendo le lapidi delle arche quali
“personaggi” stessero arrivando) provvide alla laboriosa estrazione del
sarcofago dalla cassa appositamente predisposta, la sua deposizione nell'avello
e la sovrapposizione dell'arca sovrastata dalla Stella d'Italia. “Libro sacro”
alla mano, nel silenzio degli astanti il Rettore ricordò i motivi profondi
dell'accoglienza dovuta alla regina, ornata dalla Rosa d'Oro della Cristianità
conferitale da papa Pio XI. Altri, di seguito, disse che per essere lieti
dell'evento non è necessario essere monarchici, basta sentirsi italiani, perché
il ricongiungimento delle salme del Re e della Regina in patria alimenta la
consapevolezza del passato e la concordia nazionale nella visione solenne e
pacificante della Storia. “Quod erat in votis” da anni e fu possibile per
congiunzione astrale. “Non nobis, Domine, sed Nomini tuo...” dicevano i
Templari.
La Principessa e il Presidente
Informata dell'imminente arrivo della salma
della Nonna da Montpellier a Vicoforte, la Principessa Maria Gabriella di
Savoia comunicò all'Ansa (sede di Parigi): “A nome e per conto dei discendenti
dei Sovrani che vissero cinquantun anni di matrimonio in unione con gli
Italiani nella buona e nella cattiva sorte e mentre ricordo mia zia Mafalda,
morta tragicamente nel campo di concentramento in Germania, ove era stata
deportata dai nazisti, esprimo profonda gratitudine al Presidente della
Repubblica, Sergio Mattarella, che ha propiziato la traslazione delle Salme dei
Nonni in Italia, in prossimità del 70° della morte di Vittorio Emanuele III
avvenuta in Alessandria d'Egitto il 28 dicembre 1947 e nel centenario della
Grande Guerra, per la composizione della memoria nazionale”.
Del tutto inattesa, la “notizia” irruppe in
Italia e aprì i telegiornali, a conferma che l' “evento” non era affatto
“marginale”. Era storia. Ma, ... e il Re? Era ancora tumulato nel retro
dell'altare della chiesa di Santa Caterina ad Alessandria d'Egitto o era già
alla volta della patria? I “media” dettero per scontato che la traslazione
della sua salma fosse ormai in corso. Così avveniva, in effetti, con una lotta
contro il tempo perché a Montpellier era stato rotto il riserbo. La mattina del
17 dicembre sul sagrato del Santuario-Basilica di Vicoforte, dinnanzi
all'immensa suggestiva Palazzata, si affollarono giornalisti e operatori di
reti radio-televisive nazionali e locali. Molti vi arrivarono per la prima volta
e ne rimasero affascinati. Non trapelò alcuna informazione precisa (il feretro
sarebbe giunto, e a quale ora, a Genova? A Cameri? In realtà l'aereo atterrò a
Levaldigi) sino a quando, verso le 12, in una luce vivida per il contrasto tra
l'azzurro del cielo e la neve e il verde della cupola di rame della Basilica,
giunse il furgone con il feretro di Vittorio Emanuele III, subito avvolto nella
bandiera sabauda, recata da Maurizio Bettoja, membro della Consulta dei
senatori del regno e cavaliere melitense, che, in vista di un futuro eventuale
regio funerale, era casualmente a Vicoforte con i paramenti indispensabili per
le esequie regali.
Seguito dal prefetto vicario di Cuneo, Maria
Antonietta Bambagiotti e dal “consulente”, in pochi minuti il sarcofago fu recato
nella Cappella San Bernardo, adagiato su manto aureo sormontato da corona posta
su cuscino purpureo e vegliato da quattro Carabinieri, con assistenza del
delegato della Famiglia, conte Radicati, a sua volta in arrivo da Alessandria
d'Egitto (ove si era tempestivamente recato da Vicoforte), presenti due
Consiglieri aulici.
Mentre le spoglie del re venivano calate
nell'avello alla destra dell'altare della Cappella, un caporale della Fanfara
della Brigata Alpina “Taurinense” suonò il “Silenzio”: onori militari dovuti al
re d'Italia, capo delle forze di terra e di mare, cittadino italiano morto
all'estero nella pienezza dei suoi diritti civili e politici il 28 dicembre
1947.
Un percorso di sette anni
La tumulazione delle salme dei Reali d'Italia
fu il punto di arrivo di un lungo percorso. Il 19 marzo 2011, 150° della
proclamazione del regno d'Italia, il Santuario-Basilica di Vicoforte venne
individuato quale sede idonea ad accoglierle le spoglie dei sovrani nel corso
di una seduta della Consulta nel Palazzo della Provincia di Roma, presente e
annuente la Principessa Maria Gabriella di Savoia, sua componente. Il 22 aprile
2013, sentiti il consiglio di amministrazione del Santuario e il rettore, mons.
Bessone, il vescovo di Mondovi, Luciano Pacomio, rispose alla proposta di
accogliere le salme presentatagli il 10 gennaio precedente dalla Principessa e
dal presidente della Consulta. Ricordato che a volere l'edificazione del
Santuario quale mausoleo della Casa nel 1596 era stato Carlo Emanuele I, duca
di Savoia dal 1580 al 1630, e che esso “è un insigne monumento nel panorama
artistico del nostro paese e a livello internazionale, alle cui origini è
doveroso iscrivere l'intervento fattivo e a più riprese manifestato della
famiglia Savoia, il vescovo, teologo e prestigioso storico del catechismo,
accolse l'“aspirazione a riunire le Salme dei Reali, mantenendo il profilo
strettamente privato della traslazione, così come manifestato nella richiesta
citata e in sintonia con le finalità spirituali della Basilica”. Suggellò
l'assenso e avvalorò l'iniziativa alla luce del Salmo 39,13: “Siamo tuoi
ospiti, pellegrinanti, come tutti i padri nostri”.
Nell'aprile 2017, anche a nome delle sorelle,
Vittorio Emanuele di Savoia, principe di Napoli, e la principessa Maria
Gabriella espressero al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il
desiderio che le salme dei nonni fossero congiunte “in Italia”. Chi era stato
sovrano di circa 8.000 comuni poteva trovar pace in qualunque lembo di un Paese
che egli aveva perlustrato da un capo all'altro e conosceva a menadito, con
memoria formidabile di ogni suo campanile. La stessa dedicata al “Corpus
nummorum italicorum” e agli studi di storia e geografia, che lo accreditarono
ripetutamente arbitro di complesse controversie internazionali.
I fati vollero che la disponibilità della
Cappella coincidesse con la decisione del Presidente della Repubblica di
propiziare la traslazione nei modi a suo tempo indicati dal vescovo Luciano
Pacomio: un “gesto umanitario” e, al tempo stesso, un funerale “privato”, dalle
procedure complesse e impegnative, sia perché le spoglie giacevano in due Paesi
di due diversi continenti (Alessandria d'Egitto da tempo era teatro di assalti
di fondamentalisti islamici a chiese di rito copto), sia per le impegnative norme
preposte per la sepoltura di “resti di persone meritevoli di speciali onoranze”
al di fuori dei cimiteri comunali e di cappelle private, sia perché nulla
doveva turbare il funerale “dovuto” e al tempo stesso riservato. Quanti si
adoperarono per il suo buon esito erano consapevoli che il re era (e rimane) al
centro di valutazioni disparate, anche polemiche e persino di invettive.
Di lì l'assoluto riserbo mantenuto nei
preparativi e nell'attuazione. Nulla di “occulto”, nessuna “cospirazione”,
solamente il rispetto che si deve ai defunti.
Lo Stellone d'Italia al di là delle prevedibili “reazioni”
Come previsto, l'“evento” suscitò onde
polemiche. Alcuni “istituti di storia” e taluni portavoce di comunità religiose
ribadirono la “damnatio memoriae” del sovrano e deplorarono che le salme
fossero state revocate dall'“esilio” al quale il re e la regina erano stati
condannati. In verità, come già detto, Vittorio Emanuele III morì tre giorni
prima che entrasse in vigore la Costituzione (1° gennaio 1948) e quindi da
cittadino di pieno diritto, inclusi gli onori dovuti a tutti i militari,
ovunque morti.
Più acri furono le animadversioni dichiarate
da “monarchici” secondo i quali Vicoforte (“chiesetta di campagna” a detta di
qualcuno che non l'aveva mai veduta neppure in cartolina) sarebbe una locazione
“provvisoria”e le salme dovrebbero essere tumulate al Pantheon, quasi il Tempio
di Menenio Agrippa non sia esso stesso tomba a suo tempo scelta per ospitare le
spoglie di Vittorio Emanuele II (“Padre della patria”) e di Umberto I
(assassinato a Monza nel 1900) in mancanza in Roma di un Mausoleo dei re, quale
poi fu il Vittoriano, completato nel 1927 ed elevato ad Altare della Patria
dopo la Grande Guerra con la deposizione del Milite Ignoto.
Più incomprensibili risultarono le riserve di
chi, con concezione curiosa della devozione, dichiarò che non si sarebbe mai
più recato a pregare a Vicoforte e di taluni che lamentarono di non essere
stati preventivamente informati della traslazione, invero avvenuta in assenza
di chi, come la Principessa, aveva dedicato anni alla sua realizzazione. I
naviganti andarono nella direzione giusta guardando la Stella incisa sulle
Arche dei sovrani. Come la Polare, a volte appena si intravvede. Ma è sempre
là, per chi ha a cuore la continuità dell'“Italia”, la sua solennità e le sue
tante traversie dalla recente costituzione: lo “Stato” giovane nel quale prese
forma una “nazione” antica, l'“Itala gente da le molte vite”, come scrisse
Giosue Carducci, che a Vicoforte andò con Umberto I allo scoprimento del
monumento di Carlo Emanuele I. Lì si respira l'aria pulita che da ventiquattro
mesi circonda la cappella di San Bernardo e assicura ai sovrani il silenzio, il
raccoglimento, la serenità che deve circondare chi fu protagonista della
Storia: un Uomo che fu ed è misura di tutte le cose, di quelle che sono per
quello che sono e di quelle che non sono perché non sono.
Aldo A. Mola
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