NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 1 novembre 2016

Quella lapide dedicata al Re in Portogallo

 di Emilio Del Bel Belluz  

La vita del Re d’Italia Umberto II è stata dura e difficile, lontano dalla patria, dal suolo amico che lo aveva visto nascere. Non credo che nella sua vita il Re avesse mai pensato di dover vivere lontano dall’Italia. Il figlio di Vittorio Emanuele III dovette obbedire alla volontà del padre, legato ad una fedeltà assoluta, quella del sangue. Il grande rispetto che poi ebbe per la madre, la Regina Elena, fu profondo, come l’amore che la sovrana nutriva per suo figlio. La regina Elena affondava le sue radici nella splendida terra del Montenegro, che rivolgeva le sue attenzioni ai vinti, ai poveri, a quelli che perdettero tutto. Penso alla sua umanità con i terremotati di Messina nel 1908. Ho sentito parlare di lei dai racconti che mi fecero i miei nonni, e quelli che la conobbero nel periodo difficile dell’esilio, fino alla morte. 
Quest’anno, la nazionale italiana si trovava in Francia a Montpellier  per i campionati europei, mi aspettavo che i giocatori si recassero a visitare la tomba della regina  Elena, ma non ho trovato nessun cronista che abbia accennato a questo.  
Comunque la storia viene scritta solo con l’inchiostro dei vincitori.  
Credo che Umberto II, sarebbe stato un buon Re, se avesse potuto governare, e in questi tempi lo hanno pensato in molti. In questi giorni mi sono intrattenuto con un caro amico artista, Antonio Lippi, perché vorrei far affrescare il volto di Re Umberto II, sulla facciata della mia casa, assieme alla bandiera Sabauda che ho sempre amato e che raccoglierà gli ultimi istanti della mia vita. 
Inutile dire che la nostra Repubblica, che è tanto disponibile nell’accogliere  tutti quelli che vogliono venire in Italia, non lo è mai stata con Re Umberto II, né da vivo né da morto. 
Le spoglie del sovrano riposano in terra straniera, di questi tempi vorrei dire che quasi è meglio così. Gli italiani non avrebbero meritato un Re come fu Umberto II. In questi giorni, lavorando nell’archivio della mia biblioteca, ho trovato un vecchio articolo pubblicato su  - Il  tempo di Milano - a firma di Beniamino De Ritis. 
La data del pezzo risale al 18 marzo 1949.  Lo scritto nasce  da alcuni colloqui che il giornalista ha con il Re a Cascais . Si racconta. “   La sperduta  “ aldeia “. Ma che avviene quando un rustico piccolo Scherlock Holmes di un villaggio sperduto fra i monti dove non arriva mai nessuno e non succede mai niente, scopre ad un tratto che, nel suo tranquillo dominio pastorale, si aggira uno sconosciuto dall’aspetto distinto, ma straniero? La scoperta inquietante. Bisogna vigilare ed agire. Il misterioso “estrangeiro ” è fermato e interrogato. Fuori i documenti. Savoia o Conte di Sarre? Lo stesso Umberto mi narra, divertito, l’episodio. “Leggendo i giornali portoghesi, avevo notato una piccola notizia proveniente da una località chiamata Savoia. Incuriosito dal nome cerco di informarmi. Ma pochi ne sapevano alcun che di preciso. Molti ne ignoravano l’esistenza. Decisi allora di andare a vedere con i miei occhi questa Savoia del Portogallo. Umberto vi si recò solo in automobile risalendo la regione di Beja. Gli si offerse lo sguardo una minuscola insignificante “ aldeia” , tipico villaggio alpestre di rurali dediti per lo più alle semplici occupazioni della pastorizia. Perché si chiamava Savoia ? La curiosità dello storico era grande. Ma non c’era nulla di speciale da osservare, nulla di interessante da rilevare, in quella rustica “ aldeia ”  isolata, quasi dimenticata dal mondo. “ Sceso dalla macchina mi misi un po’ a guardare; dentro e dintorno il villaggio. Naturalmente diedi subito nell’occhio al  “fiscal ”, racconta Umberto, ricordando vivamente la scena.

- UNA LAPIDE -  “Siccome non scorgevo e non trovavo niente di interessante, nulla che colpisse l’attenzione, m’avvicinai agli abitanti per raccogliere impressioni. Entrai, così, in qualche casa, rivolgendo qualche domanda di prammatica a quelle buone donne in faccende. Chiesi loro di cose famigliari; se possedevano terra e che cosa producevano, e quante tasse pagavano, ecc. “ Ma quest’andare per le case e quel parlare con le donne misero evidentemente in gran sospetto la gente che mi aveva seguito con attenzione. “ Infatti, ad un certo punto, mi fermò. Mi chiese le generalità. Mi domandò che cosa facessi  che volessi, o cercassi. “ Risposi semplicemente che, chiamandomi Savoia, mi interessava apprendere qualcosa di quel suo paese che pure si chiamava Savoia. Ma, esibiti i documenti, risultava invece dalla carte che recavo con me, il  nome di Conte di Sarre. “ Il caso diventava serio. L’agente mi chiese allora la licenza dell’automobile. Ma fu un'altra complicazione. Le cose si fecero ancora più serie. Disgraziatamente avevo lasciato la licenza a casa. L’agente si mise sempre più in sospetto. Mi trovai in grande imbarazzo. “ Riuscii finalmente a rabbonirlo e a persuaderlo di contentarsi per il momento; e, sotto riserva di ulteriori indagini di prendere il numero dell’automobile e il mio indirizzo. Mi lasciò andare ma con una buona lavata di capo. Non mi aveva trovato in regola. Faceva il suo dovere. Chi poteva dargli torto? .” Ma  l’affare non finisce qui. Ha un seguito. Ha lasciato memoria negli atti locali. L’indagine rivelano che effettivamente il misterioso “ estrangeiro”, colto in difetto dall’agente ignaro di aliases diplomatici, era Umberto di Savoia, che scopriva e onorava di sua visita la piccola ignota “ aldeia ” che si chiama Savoia per ragioni sconosciute agli eruditi locali, ma probabilmente per vincoli originari con la Casa Sabauda, per antichissimi legami con crociati borgognoni, che parteciparono alle guerra di liberazione della Lusitania dai Mori, qui dov’ebbe inizio il gran duello medioevale tra la Croce e la Mezzaluna. La povera guardia, stupita e rammaricata, ha scritto mortificatissima ad Umberto un mondo di scuse. Umberto le ha risposto lodandola per la sua fedeltà al dovere. Non basta. Le autorità locali e la popolazione non hanno ritenuto così presto chiuso l’incidente. Hanno voluto un atto solenne di riparazione. 
“ Infatti, - conclude Umberto – ricevo notizia che nel villaggio di Savoia del Portogallo, è stato in questi giorni murata una lapide con un’ iscrizione in lettere d’oro. L’iscrizione ricorda la mia visita. E’molto gentile. E’ anche molto commovente per la sua semplice schietta cordialità umana”.

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