L’esecutivo, pur essendo in ordinaria amministrazione, ha espresso tre nomi
per i vertici del Consiglio di Stato. Uno di essi, appartenendo già all’organismo, è in conflitto di interessi. L’unica donna, invece,
è stata collaboratrice stretta della Boschi
di SALVATORE SFRECOLA
Ma c’è di
più. I tre sono Carla Ciuffetti, funzionario della Camera, Luigi Fiorentino,
dirigente della presidenza del Consiglio, e il professor Pierluigi Mantini. Già
parlamentare del Partito democratico, che ha svolto funzioni di vicepresidente del
Consiglio di presidenza come componente di elezione parlamentare. Mantini, alla
data del 23 dicembre 2017, quando il governo ha deliberato la sua designazione
al Consiglio di Stato, era in carica e in quel ruolo è rimasto fino al 3
gennaio 2018, data in cui la richiesta del governo è pervenuta a Palazzo Spada,
Escluso Luigi Fiorentino, che ha un curriculum professionale e scientifico certamente
adeguato alla nomina, la Ciuffetti è soprattutto
una stretta collaboratrice del sottosegretario alla presidenza del Consiglio
Maria Elena Boschi. E basta. In precedenza, al massimo organo della giustizia
amministrativa giungevano dalle Assemblee parlamentari candidati particolarmente
titolati. Insomma segretari generali o vice segretari generali, cioè funzionari
al vertice della burocrazia di Montecitorio e Palazzo Madama. Per quanto possa
essere brava e stimata dalla Boschi, la Ciuffetti è solamente funzionario di
medio rango.
Ma la cosa che più desta
sconcerto è la proposta di nomina del professor Mantini per la quale osta un chiaro disposto
normativo, l’art. 7, comma 5, della legge 27 aprile 1982, n. 186, sull’ordinamento
della giustizia amministrativa, a tenore del quale ai componenti laici del Consiglio
di presidenza (quelli eletti da Camera e Senato) «si applica il disposto
dell’art. 12 della legge 13 aprile 1988, n. 117». Questo richiama, a sua volta,
le disposizioni della legge 24 marzo 1958, n. 195, sulla costituzione e il
funzionamento del Consiglio superiore della magistratura, in cui all’art. 36 si
prevede che «i componenti del Consiglio superiore eletti dal Parlamento non
possono essere assunti in magistratura per meriti insigni, fin quando sia in
carica il Consiglio al quale appartengono o hanno appartenuto». Non possono,
cioè, essere nominati consiglieri di Cassazione e, quindi, in forza del rinvio,
neppure consiglieri di Stato, È evidente un conflitto di interessi e una
manifesta lesione recata all’indipendenza della giustizia amministrativa.
Insomma, Mantini non può essere assunto per nomina governativa al Consiglio di
Stato, almeno fino a quando rimarrà in carica
l’attuale Consiglio di presidenza per avervi egli appartenuto fino al 3
gennaio 2018.
Le regole non sono forma
ma sostanza, in particolare considerato che parliamo dei massimi giudici degli
atti amministrativi del Governo.
Un po’ di garbo
istituzionale non guasterebbe.
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