NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 28 giugno 2017

TORELLI, LO SCRITTORE DALL’ANIMO BUONO CON LA MISSIONE DI REGALARE SPERANZA



Raffinato nello stile, per lungo tempo ha curato sul «Giornale» di Montanelli la rubrica «Cosa nostra» È tra i pochi a usare la penna in modo garbato. Nel 1976 Bettiza scrisse: «La sua lingua? Casalinga e ardita»



Torelli con il Re durante l'intervista dell'Agosto del 1963

Emilio Del Bel Belluz

da La Verità di domenica 25 giugno 2017

«Sento improvviso e afferro con voluttà il profumo fluttuante delle foglie di pioppo, quellamorevole che un rovescio di pioggia autunnale ha forse provocato e poi esaltato, le foglie bagnate odorose, pervase dei giorni lontani della mia vita in provincia, unasprezza vegetale che può essere subito sollecitata alla memoria. Sono gonfio di pioppi nel ricordo, sfrondati dalle nostre mani giovani, la tenerezza dei rami recisi dal colpo di quelle roncole ripiegabili che portavamo nelle tasche dei pantaloni corti e rammendati. In una tasca la roncola, in una tasca la fionda (sfròmbla, da noi), i suoi gommini di elastico quadrato, la forcella di faggio tornita a mano libera, il tassello di pelle ricavato da un guanto» (Giorgio Torelli, Il Giornale, 21 ottobre 1980).

Ci sono scrittori che hanno lanimo buono: sono nati con la missione di donare alle persone una parola che possa rischiarare le ombre della vita. Quando penso a costoro, il primo che mi viene in mente è lo scrittore Giorgio Torelli, nato a Parma nel 1928. Leggevo puntualmente ogni domenica la sua rubrica («Il diario di sette giorni») che veniva pubblicata sul Giornale di Indro Montanelli, e come tanti suoi ammiratori sapevo che avrebbe portato un piccolo raggio di sole. Grande giornalista, collaborò ai maggiori quotidiani e curò per molti anni la rubrica «Cosa nostra». La raffinatezza del suo scrivere era notevole. Sapeva usare la penna in modo garbato e mai offensivo, come testimoniano alcune opere da lui pubblicate: Gli Arcinoti, Pagine di un passaporto, I provocatori, Il buco della Giacoma, Cosa nostra appunto, I giorni della merla, La magnolia padronale e La Parma voladora. Torelli è per me come un amico, a cui mi sento legato per le sue descrizioni e i suoi articoli semplici e penetranti. Da anni li conservo con cura, rileggendoli spesso e riassaporando ogni volta la sua lingua «inventiva, piccante, casalinga e ardita insieme», come scrisse nel 1976 Enzo Bettiza presentando il volume Avanti adagio, quasi indietro. Cosa nostra 2.

Quello che ho sempre apprezzato di Torelli, al di là del suo palese talento giornalistico, è sempre stata la sua radice autenticamente cattolica, la sua concezione cristiana della vita e la continua apertura su orizzonti familiari e quotidiani. Il lettore vero è quello che si innamora di uno scrittore, lo segue, e si affeziona così tanto da considerarlo un punto di riferimento nella vita. Le sue parole sembrano cesellate come quelle di un filosofo. Anche la vita di Torelli è un esempio da imitare. Dopo la pubblicazione di un suo libro autobiografico, fu intervistato da Stefano Rotta, il 23 gennaio 2016, e alla domanda su cosa fosse il giornalismo per lui, rispose: «Ho detto a me stesso: caro Giorgio, sei stato testimone dei testimoni. La mia occasione è stata questa... Suscitare speranza con la mia stessa persona non solo raccontando la storia di chi fa il bene comune, che tanto faceva felici i direttori che mi hanno ospitato, Montanelli in particolare. Lo devo essere io stesso, un testimone di speranza... Ciascuno di noi evangelicamente è un servo inutile. A ognuno è dato un carisma, una dote, una qualità, per il bene comune. La mia è portare speranza con le parole».

Un vecchio professore di lettere amava Torelli: nella sua biblioteca cera uno spazio dedicato ai suoi libri. Lo avvicinava al grande Giovannino Guareschi (che aveva conosciuto durante la prigionia) per il modo semplice e garbato che avevano nellaffrontare la vita nellintendere la professione di scrittore. Li amava, come si ama un maestro diventato la stella polare da seguire.

Tra i tanti libri che ha scritto Giorgio Torelli, uno può legare il lettore per sempre: La Parma voladora, edito da Camunia. Può essere considerato un viaggio storico e letterario nel periodo tra le due guerre mondiali. Inizia con la storia di una famiglia padana: sintrecciano le vicende del nonno granatiere, dei suoi undici figli, dei nipoti, delle sorelle e degli amici. Un viaggio in cui il lettore si incolla ai personaggi, e che si avvicina alle pagine storiche di Bacchelli nel Mulino del Po. Lasciatevi trasportare da un libro di Torelli: non vi deluderà. 


In uno ho rinvenuto un suo articolo, datato 6 marzo 1983. Racchiude quanto di meglio sia stato scritto sulla figura di Umberto II, ultimo re d
Italia, morto qualche giorno dopo la pubblicazione del pezzo: «Ora io voglio fare un augurio al re, che conosco e di cui ho avuto modo di apprezzare lo stile discreto e colmo di tatto. Che la vigilia gli sia lieve e la sua salute rifiorisca proprio in virtù di questa medicina; la terra promessa lo riaccoglie e la gente lo aspetta e vuole rivedere. Al di là di ogni cronaca dalla Svizzera, misurata o enfatica, i miei frequenti pensieri vanno a Umberto smagrito sul cuscino di sofferenza e a questa sua battaglia di re contro il tempo, perché non gli sia negata la più legittima delle glorie: tornare a casa dopo tanto sonare di Atlantico, incontrare le mani tese e rivedere tutto ciò che appartenga al suo sentire, il cielo, gli alberi, le acque, la città, la lingua, i giovani che lo rispetteranno e i vecchi carichi di memorie anche difficili». Nel leggere parole come queste, sale spontaneo alle labbra un grazie.


Il sogno di un Re in esilio, pubblicato su Grazia, agosto 1963

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