NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 9 giugno 2017

Il primo soldato d'Italia - III parte

Roberto Cantalupo, autore dell'articolo che si chiude con la terza parte fu deputato e giornalista fedelissimi della Monarchia. 



Tra i feriti.
Il piccolo ospedale è improvvisato in una villa deliziosa, situata in una di quelle vallette del Trentino piene di tanta grazia campagnuola. Vi sventola sopra il tricolore e la bandiera della Croce Rossa. Il Re vi è giunto stamattina di buon’ora, già di ritorno da una visita agli artiglieri che circondano l’altipiano. Egli non vuole naturalmente che il suo arrivo provochi qualche disordine o qualche allarme; vuole soltanto controllare se tutto quel che è necessario è fatto per sollevare i feriti, e vuole a questi dare incoraggiamenti e parole buone.
Le sue visite alle ambulanze ed agli ospedali sono ispirate da una bontà profonda e paterna, dal bisogno vivo e affettuoso di dar la mano e di baciare i soldati che si sono battuti valorosamente.
Stamane è arrivato, come sempre,
all'improvviso, in automobile. Un capitano medico gli ha dato subito le notizie sulla salute dei feriti affidati
alle cure sue e di altri sanitari. Il Re ha voluto subito entrare. Qualche ferito faceva ancora colazione. Vedendo il Sovrano qualcuno ha tentato di sollevarsi, ma Egli con voce calma e dolce ha detto: - Fermi, fermi, ragazzi. Verrò io da ognuno.   Un giovanotto pallido, con gli occhiali doro, da un lettuccio in angolo, ha portato la mano alla fronte, in segno di saluto. Un capitano ha detto al Re : E un tenente: una gamba fracassata: non voleva lasciare il campo a nessun costo: ora speriamo di farlo ritornare al reggimento in un mese. -Ed il Re: - Aspetti, tenente. Tranquillo e calmo. Sono io che desidero venir da lei.
A poco a poco, nella piccola sala bianchissima s’è fatto un movimento lento e curioso verso il Re, movimento di persone deboli e stanche, di volti pallidi, di arti spezzati e fasciati: il movimento dei feriti. Era dunque il Re? Se lo chiedevano l’un l’altro. E qualche monca risposta : - Sì, si èil Re. Lo vedrete ora.Ad uno ad uno, ogni ferito ha avuto
la sua parola di conforto. La suora è stata chiamata dal Sovrano: - Mi accompagni, suora, mi accompagni:questi ragazzi le vorranno già bene,
spero. Le suore sono le nostre sorelle,La suora ha ringraziato silenziosamente col capo ed ha offerto al Sovrano una piccola sacchetta di tela,piena di medaglie : - Sono benedette dal nostro cappellano; vuole darne qualcuna con le sue mani ai feriti, Maestà?
- Volentieri.
Ed avvicinandosi al soldato che lo guardava orgoglioso e commosso, dal fondo del Iettino, con gli occhi chela febbre rendeva smarriti e lucidi,il Re ha chiesto:-- Sei cattolico?
- Sì.
- Vuoi una medaglia sacra?
Ed alla risposta affermativa del ferito, il Sovrano gli ha messo nella mano una delle piccole medaglie d’alluminio e gli ha ripiegato dolcemente le dita. Poi ha aggiunto: - Non perderla; fa conto che te l’abbia data tua madre.
“ Saremo presto a Gorizia. E passato oltre. Ogni ferito ha dato notizie di sé, della famiglia, dello scontro cui ha preso parte, della speranza di tornare al fronte appena guarito. Per tutti il Re ha avuto parole d’amore; non le solite parole stereotipato dei grandi personaggi con gli umili, ma poche espressioni profonde di tenerezza o di non celata gratitudine. Di fronte ai feriti gli occhi di Vittorio Emanuele rivelano una commozione ferma, contenuta, nobile e forte, ma tenera e fraterna. Le mamme dei soldati feriti sappiano che nel Re d'Italia i giacenti negli ospedali e i combattenti hanno un impareggiabile fratello d’armi.
II Re si è trattenuto ancora unpo’ col giovane tenente del genio, caduto sotto il fuoco nemico mentre ostinatamente, con una tenacia stupenda, costruiva con i suoi uomini suun fiumiciattolo in piena un ponticello per dar passaggio ai nostri, chedovevano inseguire il nemico.
- Ingegnere, tenente ?
- Signor sì.
- Veneto?
- Del Friuli, goriziano.
- Oh, goriziano. Ci saremo prestoa Gorizia. Cerchi distar bene subito:ci verrà con noi.
- Per il giorno in cui entreremo a Gorizia, Maestà, o sarò guarito ed entrerò con gli altri, o morirò... di dispiacere.

“ Con le vostre lettere partirà anche la mia „
Il giro dei lettucci era finito. Il Resi è fermato nel mezzo della camera.Un braccio si è ficcato per un momento sotto un guanciale, la manone è venuta fuori stringendo una lettera Lo sanno tutti, oramai, che il Re è felice se può personalmente curarsi di far pervenire alle famiglie notizie dei soldati. Egli si è avvicinato al ferito:
- Che cosa scrivi, tu, poverino?Con la tua testa fasciata? Scrivi alla mamma?
- No, Maestà, scrivo a mio padre.
La lettera è aperta.
Il Sovrano ha lentamente apertola busta, guardando negli occhi dolciil giovanissimo ferito, che aveva affondato sul guanciale il capo completamente fasciato. Poi a voce alta ha letto : -“Babbo mio, sono all'ospedale da qualche giorno, con un piede leggermente ferito. Vado ogni giorno migliorando e spero di tornar presto al campo.Niente preoccupazione per me. Pensa invece alla tua mobilitazione civile... “. - Il babbo del ferito è infatti sindaco di un comunello calabrese.
Il Re si è chinato sul ferito e gli ha carezzato la guancia scoperta. Poi ha ripreso d’un tratto il suo maschio atteggiamento: - Ragazzi, sono sicuro che tutte le vostro lettere sono scritte così, e che voi siete i primi a tener desto l’entusiasmo nelle vostro case.
Chi ha da mandar lettere in famiglia, le dia al Re. Penserò io a farle pervenire.
Non una mano è rimasta ferma.Dai guanciali sono sbucate diecine di cartoline. Un tenente che accompagnava il Sovrano le ha raccolte tutte.
Da un astuccio di pelle il Re ha cavato una busta chiusa: - Con le vostre lettere partirà anche la mia; è per Sua Maestà la Regina.
E l’augusta missiva s’è aggiunta alle umili righe scritte dalle mani tremanti dei feriti. Partiranno insieme,insieme recheranno la stessa gioia nella casetta calabrese ed al Quirinale: la stessa gioia, l’unica che possa far esultare orgogliosa l’anima di ogni italiano:la gioia di saper la Patria mirabilmente difesa.
Non col solo coraggio, dunque, il Re dà prova del suo affetto per tutti i combattenti, ma anche con la dolce e ferma assistenza che prodiga ai feriti negli intervalli delle gite ai campi della lotta. Così intorno a lui s’è formato un baluardo magnifico di entusiasmo e di devozione, di gratitudine e di ammirazione, più forte di tutte le difese nemiche, insuperabile da qualunque assalto, indistruttibile e favoloso.

Tutta la riconoscenza per Vittorio Emanuele.

Passa così su tutti i campi, dovunque un soldato combatte e soffre. Tutti i settori del confine sono stati da lui visitati; la sua automobile ha già percorso tutte le larghe vie friulane.
Il suo cavallo conosce già tutte le anfrattuosità dei monti trentini. Magnifico Sovrano, soldato di coraggio e di bontà sabauda, fervido nell'incitare alla lotta e tenero nel confortare i feriti, Vittorio Emanuele III miete sui campi di battaglia una gratitudine sconfinata. Il sentimento con cui ufficiali e soldati accolgono il Nipote del Re del Risorgimento, che come il Grande Avo è il primo a montare a cavallo, è fatto di ammirazione e di riconoscenza. Oramai nell'animo di tutti i combattenti, oltre l’entusiasmo,oltre l’ardore, oltre lo slancio, più ancora intima e profonda è la convinzione che la guerra era inevitabile,che se noi non ci fossimo slanciati a farci un nuovo confine militare, l’Austria non avrebbe molto atteso per piombarci alle spalle. La conoscenza materiale della povertà dei nostri confini è apparsa a tutti così evidente,così terribile, che si guarda con raddoppiato affetto al giovine Re che ha guidato la Patria alla riscossa, per farla più forte e più sicura. Abbiamo sentito dei poveri umili soldati esprimere la loro gioia per potersi trovar qui, a rinforzare i confini, agli ordini del Re. Essi vedono ormai con i loro occhi che cosa era l’Italia, alla mercé dei cannoni austriaci, ed hanno la precisa coscienza di compiere un dovere sacrosanto: difendere l’Italia, assai più che offendere l’Austria.
Il Re tutto questo sa e sente. Ogni giorno di più egli rileva l’entusiasmo delle truppe. Ne gioisce e ne è felice.
Sa che da un così fatto esercito otterrà sacrifici ed eroismi illimitati.
Egli è l’idolo delle truppe, può farne quello che vuole.
La riconoscenza di tutta l’Italia deve seguire il giovane Sovrano dovunque egli vada. Fra i combattenti egli è il primo. Parla loro in nome della Patria.

Due Sovrani eroici come cavalieri d’altri tempi la guerra europea ha rivelati e additati all'ammirazione del mondo e alla gratitudine dei loro popoli: Alberto re del Belgio e Vittorio Emanuele di Savoia.

Immagini tratte da "la Guerra Europea 1914-1916 n 20 , 18 Maggio 1916

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