Cartolina riferita all'8 Settembre ma che ben illustra lo spirito dell'articolo riferito al 25 Aprile |
di Emilio Del Bel Belluz
Fra qualche giorno si comincerà
a parlare della ricorrenza del 25 aprile. Come ogni anno, ci saranno degli
interventi contrastanti sulla verità storica. I partigiani vogliono
che in quella data siano ricordati gli eroismi della resistenza, dall’altra
parte ci sono quelli che hanno scelto di affidare la loro vita all’Italia,
volendo combattere per mantenere un patto di lealtà con i tedeschi e che per
tanto anche questi avrebbero diritto di essere ricordati.
Sono figlio di un
soldato, che per non tradire il suo giuramento al Re, venne fatto prigioniero e
deportato in Germania. In quel campo di concentramento trascorse gli anni dal
1943 al 1945. Alla liberazione rimase prigioniero dei Russi e tornò in Italia
quasi un anno dopo. Spesso diceva che la sua esperienza militare non l’avrebbe
augurata nemmeno al suo peggior nemico. Ha sofferto la fame, indicibili erano
le sofferenze fisiche, come la paura di morire durante i bombardamenti e la
struggente nostalgia per la lontananza della patria. In questi giorni,
pensavo a lui, perché gli sarebbe piaciuto che gli italiani in questa data
storica, potessero ricordare tutti i caduti, onorarli senza che l’odio
scendesse nei loro cuori. Le ferite sanguinano ancora, ma l’unica vera
vincitrice dovrebbe essere la pacificazione tra le parti. Quando mi reco al
camposanto non ho difficoltà a pregare sulle tombe sia dei partigiani che dei
soldati di Salò. La morte li accomuna e per me i caduti in guerra e nel dopo
guerra vanno sempre rispettati.
Mi
sono venute in mente due realtà, che a mio giudizio potrebbero spiegare cosa
intendo per concordia nazionale. Il primo di questi esempi è
dato da una donna che ha trascorso la sua vita a dare sepoltura ai soldati i
cui occhi guardavano il cielo. Trovo questa storia nella rivista cattolica –
Grotta di Lourdes – Del Beato Claudio, scritta da suor Annachiara Rizzo: “Una
testimone della nostra storia recente è Lucia Pisapia in Apicella più conosciuta
come “mamma Lucia”, nata a Cava de’ Tirreni (Sa) il 18 novembre 1887 e morta
sempre a Cava il 23 luglio 1982. Dopo lo sbarco degli alleati durante la seconda guerra
mondiale si erano susseguiti, nei dintorni di Cava de’ Tirreni, violentissimi
scontri con l’inevitabile e inutile carneficina. Centinaia di soldati morti
erano stati sepolti alla meglio in cimiteri improvvisati, ma molti altri
giacevano qua e là sotto il sole e la pioggia, nei boschi e lungo le scarpate e
non avevano ricevuto degna sepoltura. Mamma Lucia una notte fa un sogno: sulla
montagna vicino a Cava vede otto croci bianche e sotto otto bellissimi
giovanotti che si levavano in piedi dalle zolle. Inizialmente si spaventò, ma
poi si fece coraggio e domandò chi fossero. gli risposero: siamo tanti e di
tante nazioni diverse e implorarono “riportaci alle nostre mamme“. Per mamma
Lucia questa divenne una missione e cominciò a cercare i resti mortali che
lavava e componeva in cassette di zinco, e fece arrivare alle famiglie. Ha dato
sepoltura a più di ottocento soldati italiani, tedeschi, polacchi, marocchini e
americani”. Questa donna non ha fatto domande sulla nazionalità di questi
soldati, li
ha adottati tutti.
Un altro episodio che possa far comprendere la parola
pacificazione lo ho trovato scritto in un libro delle classi elementari. Il
racconto è di Elio D’Aurora :” A Narvik, in Norvegia, ve n’è
uno, ricordo doloroso e tragico dell’ultima
guerra. E’ arrampicato sulle rocce che cadono a picco nel fiordo. Da quelle acque
emergono carcasse di tre
sommergibili tedeschi. Sono ombre di guerra che ancora rimangono,
con le loro sagome scure, contro l’azzurro
pallido del cielo. Resteranno
lì. Più avanti si vedono, sospesi sulle rocce, fortini diroccati,
fortificazioni smantellate. Il tempo che cancella ogni odio e rancore ha pietà
anche del nemico, perché quassù tutti hanno seminato cadaveri:
Tedeschi, Inglesi, Norvegesi. E quassù riposano insieme. Senza rancori, senza
vendette. Ogni tomba ha il suo fiore. Anche le tombe Tedesche. Le madri Norvegesi
non fanno distinzione tra figli e figli. Ora che la morte è passata, col suo
peso tremendo, gli uomini hanno ripreso a volersi bene. Le tombe si risvegliano
ogni domenica. Il profumo delle rose si infonde col profumo dei fiori di campo. Cimiteri
di guerra. Selve di croci dove un tempo vi furono selve di baionette. Donne
stanno chine sulla terra grigia, i fazzoletti scuri annodati sul capo: parlano
sommessamente con i figli che stanno nell’aldilà.
E altre ancora si piegano sui tumuli che ricordano i soldati
nemici e vi mormorano una preghiera e vi depongono un fiore. Poveri figli che
hanno bisogno della pietà di una mamma straniera (Elio D’Aurora)” .
Sono questi due
esempi in cui l’odio si è potuto fermare. Personalmente
troverei giusto che ogni parte potesse ricordare i suoi morti, quelli che si
sono immolati per i loro ideali. Quanto sarebbe bello e
giusto che anche il presidente della Repubblica potesse onorare per la prima
volta sia i partigiani che i ragazzi di Salò.
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