NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 23 aprile 2016

Il Re è morto, viva il Re

Settant'anni dopo il referendum del 2 giugno, il mito monarchico sopravvive in Italia. E' un movimento di nicchia che attrae anche giovani adepti convinti che la politica attuale sia ormai screditata.


Non c'era la tivù, figurarsi la Rete, Facebook e tutto il resto. Le donne avevano appena conquistato il diritto a votare. E non era tanto la disoccupazione a preoccupare gli elettori, c'era tutto un Paese da ricostruire, nel morale e nelle strade. Ma anche settant'anni fa, in Italia, c'era aria di referendum, uno di quelli che avrebbero deciso (per davvero) la storia nazionale.

Il 2 e 3 giugno del 1946, il regime fascista alle spalle, gli italiani dovevanoscegliere fra la Monarchia, accusata di non aver arginato la deriva mussolinana,e la Repubblica. E scelsero per quest'ultima, nonostante fossero sostanzialmente spaccati fra le due opzioni e malgrado le accuse di brogli argomentate con vigore dai sostenitori di Casa Savoia. Settant'anni dopo, di monarchici, ce ne sono ancora, anche se ormai confusi fra le minoranze. Non solo discendenti di nobili casate o nostalgici, ci sono anche giovani innamorati del mito monarchico, che immaginano il ritorno di un re (costituzionale) al Quirinale come l'occasione di riscatto di un Paese in perenne crisi di credibilità. Avessero una rappresentanza partitica - ma ufficialmente si tratta di qualche migliaio di iscritti a un mosaico di associazioni raramente collegate fra loro - potremmo ritrovare anche molti di loro nelle fila dell'anti-politica imperante, certo in una versione più elitaria e tradizionalista.

«Dopo settant'anni può esserci una monarchia 2.0 che difenda l'unità nazionale e la sua storia. Che sia davvero super partes, perché un re non è frutto di una mediazione in Parlamento»
«Non si tratta di tornare al passato, dopo settant'anni può esserci una monarchia 2.0 che difenda l'unità nazionale e la sua storia. Che sia davvero super partes, perché un re non è frutto di una mediazione in Parlamento. Che garantisca la stabilità politica. E che torni a dare un'autorevolezza internazionale all'Italia». Simone Balestrini è il monarchico che non ti aspetti, nel 2016. Haventitré anni, è nato a Saronno, dopo Tangentopoli e poco prima che iniziasse la stagione politica berlusconiana, già Seconda Repubblica. Balestrini è il segretario del Fronte Monarchico Giovanile, sezione che raccoglie circa 300 iscritti dell'Unione monarchica italiana fra i 16 i 27 anni.

Studia Giurisprudenza alla Cattolica di Milano, fa il pendolare, veste come i suoi coetanei, non mette certo in discussione il regime democratico, anzi. Sta sorseggiando un caffè in un bar vicino a piazza San Babila, mentre spiega a Linkiesta di essere rimasto folgorato leggendo da piccolo le storie delle monarchie contemporanee del nord Europa. «Vedo arrivare fra noi tante persone comuni, sempre più giovani che non si fidano dei politici di oggi», assicura Balestrini, convinto della necessità di una rigenerazione morale: chi può contribuire a farlo meglio, è il senso del suo discorso, di una dinastia senza ansie da prestazione elettorale?


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