Un conservatore nella «repubblica dei partiti». Roberto Lucifero e il dibattito politico-istituzionale del dopoguerra
di Eugenio Capozzi
Roberto Lucifero
fu il maggiore esponente del liberalismo conservatore nell’immediato secondo
dopoguerra. La sua decisa fedeltà alla monarchia non gli impedì di riconoscere
il nuovo ordinamento dello Stato e, attraverso il lavoro svolto presso
l’Assemblea costituente, di impegnarsi per realizzare una democrazia
autenticamente liberale. Affrontò soprattutto il tema della riforma elettorale,
decisivo per eliminare i caratteri clientelari e ideologici che l’innaturale
alleanza imposta dalla partecipazione al CLN aveva provocato. La sua
preoccupazione era quella di favorire l’ascesa di politici non strettamente
vincolati ai partiti; favorevole all’inizio a una riforma totalmente
uninominale, accettò poi la formula di compromesso di un sistema misto
uninominale-proporzionale, consapevole dell’impossibilità di un ritorno al
sistema pre fascista. Nell’ambito dell’assemblea costituente, egli lavorò nella
Commissione dedicata ai diritti sociali, a fianco di Togliatti. Molto
significativa è la polemica con quest’ultimo, per il quale alcuni diritti «si
dovevano fare», mentre per Lucifero «si potevano fare». La Costituzione non
doveva per lui legiferare, ma creare il quadro normativo per rendere possibile
l’esercizio della democrazia politica. La sua fiducia nel sistema delle regole
lo portò a contestare anche l’acceso anticomunismo della Democrazia Cristiana,
poiché era convinto –anche nel pieno fermento della guerra fredda- della
possibilità di integrare i comunisti nella pratica democratica. Lucifero
dimostrò sempre fiducia sulla maturità civile del Paese, sicuro che il tempo
avrebbe stemperato alcune evidenti forzature ideologiche presenti nel testo
costituzionale; per questo si batté affinché il sistema elettorale non fosse
stabilito nella Costituzione, per evitare di vincolare anche le generazioni
future.
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