Il Partito
Nazionale Monarchico - perché partito che mandò nei due rami del Parlamento i
suoi eletti - ha svolto una concreta azione politica non sottraendosi ad alcuno
dei suoi compiti legislativi, come ci sarà dato di dimostrare.
Ma proprio
perché se il mezzo legislativo impone gli adempimenti legislativi, il fine
della battaglia monarchica esige la più larga trattazione, è necessario
anzitutto richiamare le valutazioni fondamentali che nei Congressi del Partito
ebbero la loro espressione nelle due mozioni presentate nel primo Congresso
tenutosi al Teatro Quirino nei giorni 18, 19, 20 dicembre 1949 in Roma, e nel
secondo tenutosi a Milano nei giorni 12, 13, 14, 15 dicembre 1954.
La mozione
presentata al Congresso di Roma fu strettamente attinente alla questione
istituzionale - non venne votata perché altro, come vedremo, fu il testo
conclusivo, mentre la mozione presentata al Congresso di Milano ebbe la
consacrazione del Congresso.
La mozione
presentata al primo Congresso da chi scrive queste pagine così si esprimeva: «
Il primo congresso del P.N.M.:
I.
vuole
consacrato l'intuito politico, la dignità morale e storica di quanti, in ora
grave della Storia d'Italia, rifiutarono di vederne inabissati la gloria, i
dolori, gli errori col sacrificio senza rimpianto e senza speranze;
II.
ripete le
ragioni della condanna della prova del 2 giugno: intempestiva, inattendibile,
aberrante - per le sue stesse premesse - nelle sue stesse conclusioni;
III. rivendica le ragioni morali,
politiche, costituzionali della impostazione monarchica che, osservati
lealmente i doveri della legalità, rivendica fieramente i suoi diritti di
libertà;
IV. afferma in cospetto alla realtà
della situazione d'Italia nell'immediato dopo guerra che, quali che siano state
le patite umiliazioni ed i danni, soltanto dal funzionamento dell'Istituto e
dall'intervento del Sovrano scomparso andò dispersa la spaventosa catastrofe
che si abbatte invece sul Paese nel quale l'esperimento dittatoriale importò le
conseguenze estreme;
V.
denuncia il
fallimento delle illusioni e la bancarotta degli inganni onde si era prestata
ed ostentata malleveria in conseguenza del mutamento istituzionale;
VI. afferma che, ad esasperare danni -
per una parte inevitabili operò, con l'inutile delirio di colpevolezza ad opera
dei governi della confusione repubblicana, la fatale inibizione a richiamare la
enorme influenza, per i vantaggi decisivi per le Nazioni Unite, della data del
25 luglio e di quella, per altri riflessi mestissima, dell'8 settembre (date
del decisivo intervento della Monarchia e del Re) cosi come contribuì alla
sottovalutazione del contributo dell'Italia, ritornata nel solco delle sue
tradizioni il tristo silenzio intorno all'azione dell'esercito fedele, risalito
per tappe di eroismo e di martirio, e della Marina fedele, fin dal primo
appello, al suo Re;
VII. ricorda che, nell'ora della libertà
intesa per la dignità comune, fu largo, eroico, di ideale coerenza il
contributo dei fedeli al giuramento nella non dimenticabile lotta partigiana;
VIII. impegna quanti credono nel
fondamento morale delle battaglie ideali - nell'osservanza del diritto in
anelito di giustizia, nella sostanza della democrazia - a chiedere il
referendum sulla Costituzione, risultato di mercati elettorali e governativi,
confusa, equivoca, già oggi disattesa quando non offesa nelle sue «
proclamazioni », il referendum essendo la più caratteristica delle innovazioni
costituzionali così che proprio da esso dovrebbe trarre la maggiore autorità la
Costituzione;
IX. avverte il dovere di collocarsi sul
terreno politico immediato pur perseguendo il finale obiettivo della
Restaurazione e a questo fine proclama che il P.N.M. non proponendosi critica sterile
e negativa, non solo non si sottrarrà mai ai doveri sicuramente nazionali che
la Patria richiedesse a tutti i suoi figli ma contribuirà alla soluzione dei
problemi attuali e contingenti con la espressione della sua critica
costruttìva;
X.
pertanto,
pur non immemore del passato e delle responsabilità che vi si connettono, come
ha ripudiato e ripudia legislazioni eccezionali e persecutrici, ripudierà ogni
tentativo di escludere dalla collaborazione nazionale, e anche da intese
politiche, quanti abbiano perseguito non comuni ed anche antitetici obiettivi e
quanti non convengano in valutazioni di storia anche recente; parallelamente
deciso a difendere - nell'ordine - la libertà degli opposti, rifiuterà
qualsiasi tentativo che neghi diritti di libertà anche a propagande considerate
nefaste, certo come è che in libertà si guariscono i mali stessi che ne possono
derivare. - In relazione al programma.
XI. afferma che, partitocrazia essendo
negazione di democrazia, la partitocrazia soltanto potrà essere contenuta e
corretta con riforma del metodo elettorale, cosi che se anche non riuscisse
possibile ritornare al metodo uninominale per entrambi o per l'uno dei rami del
Parlamento, dovrebbe quantomeno riformarsi la rappresentanza proporzionale,
come attualmente congegnata, con provvidenze da stabilirsi introducendosi, fra
l'altro, il voto aggiunto moralizzatore contro la fazione esclusivista e
propiziatore dei riconoscimenti dei valori morali e ideali al di là del chiuso
dei partiti;
XII.Sul terreno parlamentare denuncia l'equivoco
di un'apparente coalizione che vive, per i tollerati che vi partecipano, in
grama vita, mentre ripete che il 18 aprile rappresentò il concretarsi di
reciproci inganni nella falsa allegazione dì un pericolo impossibile a
verificarsi a meno di riconoscere la carenza del Capo dello Stato; il che
avrebbe dovuto importare la confessione dell'errore della ingannevole impostazione
repubblicana;
XIII. Sul terreno politico richiama la formulazione
del programma che in politica estera si ispira al proposito di rivendicare i
diritti dell'Italia nel culto del sentimento nazionale che non è risentimento
nazionalista ma fierezza, dignità e speranza, consentite anche ad un popolo
uscito da una durissima prova e da cocenti sventure;
XIV. Sul terreno sociale non teme la
impostazione di riforme coraggiose attuate nelle ore migliori della Monarchia
che coincisero con le ore più fortunate della proprietà - morale e moralizzatrice
e delle classi popolari anche se sia illusorio, quando non ingannevole,
premettere promesse assurde a ricostruita finanza, dove la ricostruzione esige
proporzionali sacrifici, non folli depredazioni: umiliazione di realtà, verità,
necessità discendenti dalla rivendicazione dei beni tradizionali;
XV.
Attende
dalla restaurazione le garanzie del potere mediatore, moderatore, unitario ».
Come sopra
ho ricordato detta mozione non venne approvata perché non venne sottoposta a
votazione. Altra mozione conclusiva venne acclamata, ma ho creduto di doverla
riprodurre onde, poi, nel corso della ulteriore esposizione, stabilire come il
Partito Nazionale Monarchico non si discostò dalle linee indicate dalla mozione
riprodotta, nutrendo di idee e di voti il suo atteggiamento in sede politica e
parlamentare.
Invece, nel
Congresso di Milano - all'inaugurazione del quale presenziò il Sindaco socialdemocratico
di Milano prof. Ferrari che pronunciò nobili espressioni prima che pronunciasse
un suo grande discorso il Segretario Generale on. Covelli (cosi come i1
Congresso di Roma era intervenuto l'allora Vice Presidente della Camera, il
liberale on. Martino salutato al suo ingresso da chi scrive, come espressione
del Parlamento « palladio di libertà »), venne votata la seguente mozione sul
problema costituzionale: « Il secondo Congresso Nazionale del Partito Nazionale
Monarchico, non oblioso delle premesse storiche, politiche, militari che hanno
imposto al Paese il referendum istituzionale - consapevole delle condizioni
nelle quali esso si è svolto il 2 giugno 1946 su parte del territorio
nazionale, in parte ancora occupato anche militarmente da Potenze che avevano
imposto le loro condizioni di soggezione, pregiudizievoli alla sovranità dello
Stato italiano; considerato che il territorio sul quale il referendum ha avuto
luogo nemmeno rappresentava il tutto del territorio nazionale (art. 1 del
Decreto Luogotenenziale 25 giugno 1944 n. 151) quale è stato determinato per
successive determinazioni pur imposte dal trattato di pace e da successive
convenzioni che non significano rinuncia dell'Italia ai suoi giusti naturali
confini e ai legittimi interessi consacrati dal lungo sacrificio, considerato
che nemmeno si è concretata la osservanza del diritto alla espressione della
volontà popolare per la Venezia Giulia e per la provincia di Bolzano (articolo
1 primo e secondo capoverso del Decreto Luogotenenziale 16 marzo 1946 n. 99);
richiamata la violazione dell'universalità del suffragio del corpo elettorale,
non identificato in allora nemmeno nella parte del territorio chiamato al voto
il 2 giugno 1946 - e ciò in conseguenza del disordine anagrafico e per la
certezza della lontananza di tanti italiani non restituiti alla Patria dai
campi di concentramento dello straniero e dalle colonie e per la operata
epurazione delle liste elettorali - per il che è mancato il « suffragio
universale diretto » di cui all'art. 1 del D. Lgt. 25 giugno 1944 n. 151;
richiamate tutte le violazioni inerenti ai limiti temporali che erano stati
fissati ai poteri della Costituente che avrebbedovuto ritenersi « sciolta di
diritto » al di là del termine massimo di un anno, secondo la norma dell'art. 4
del Decreto Legislativo Luogotenenziale 16 marzo 1946 n. 98; richiamata la
formulazione delle norme per la più parte programmatiche della Costituzione ad elisione
ed elusione del dovere fondamentale per una Costituzione repubblicana in punto
rigidità delle norme soprattutto degli Istituti costituzionali; constatato che
anche posteriormente alla promulgazione della Costituzione - e alla data del 27
dicembre 1947 - a distanza di otto anni dal 2 giugno 1946, non si è ancora
provveduto a regolare istituti fondamentali e ciò in conseguenza di evidenti
dissensi immediatamente e successivamente sopravvenuti ed aggravatisi tra
quelli stessi che avevano dato luogo al fatto istituzionale e costituzionale;
poiché cospicua parte dei coautori di detto fatto conclama inosservanza di
norme costituzionali nel loro spirito informatore sino ad affermarlo capovolto,
richiamando una legislazione - ad esempio di Pubblica Sicurezza e penale -
contraddittoria ai principii costituzionali ambiziosamente anche se
genericamente proclamati; poiché è universalmente riconosciuta la mancata disciplina
ed attuazione di istituti fondamentali quali
il Consiglio
Superiore della Magistratura, la Corte
Costituzionale,
le Regioni (art. 104, 105, 106, 107, 108, 114 e seguenti; 131, 134 e seguenti),
poiché l'art. 138 della Costituzione prevede la revisione della Costituzione e
delle altre leggi costituzionali - non prodotto di Costituente ma di Parlamento
– attraverso l'istituto pur esso non disciplinato del referendum;
nell'atto di
non rinunciare ad ulteriori rilievi che si
richiamano
al modo e al calcolo dei risultati stessi
del
referendum del 2 giugno 1946 e alla denuncia
di norme
transitorie in flagrante contraddizione con solenni enunciazioni programmatiche
non consentita la interpretazione di revisione che si assume disposta nell'art.
139 della Costituzione (1) - riaffermata la propria fede nella libertà e nella
lealtà del metodo democratico onde la sincerità della osservanza delle leggi -
che qui si riafferma e alla quale il Partito si impegna - accompagna la
speranza, il proposito, l'opera per il miglioramento delle leggi; proclama la
esigenza storica, giuridica, politica che la Costituzione tutta venga
sottoposta al referendum popolare a suffragio universale diretto di tutti i
cittadini italiani ».
Nella
economia di questo lavoro ho creduto di particolarmente sottolineare la impostazione
della battaglia istituzionale sulla base della lealtà legalitaria e
democratica, nella esaltazione sinanco del suffragio universale evocato a
decidere, nell'ora che verrà, del problema prima costituzionale e poi
istituzionale, secondo la volontà che sarà per manifestare a suffragio
universale diretto tutto il popolo italiano nel suo territorio libero (proprio
nel contrapposto alla umiliazione che al popolo italiano venne imposta dal
tolle tolle del 2 giugno, dominato dal ricattatorio:
o la Repubblica o il caos, o nell'edizione minore: o la Costituente o il caos).
Ho creduto di ciò fare essendo che il Partito Monarchico non poteva ignorare la
ragione prima della sua individualità partitica, il resto - nell'attesa dei
verdetti della Storia e del popolo avendo importanza indubbia ma non
costituendo la ragione sine qua non del suo costituirsi.
I documenti che sopra abbiamo riprodotto - il primo che non ha avuto il
suffragio del Congresso, su di esso il Congresso non essendo stato chiamato a
votare; l'altro avendo avuto il crisma del voto unanime - sono stati riprodotti
proprio per la chiarezza di una impostazione di fine nella precisazione del
mezzo - la via - per raggiungerlo. Col che il Partito Nazionale Monarchico è
uscito dal generico di una semplicistica impostazione, quale quella romanticamente
prospettata di un referendum, avulso dal tutto costituzionale comunque
tracciato nella Costituzione - sull'art. 139; una specie di esame di
riparazione della Monarchia a un non identificato « ottobre » dall'identificata
sessione di giugno, colla sostituzione della Commissione di esame! (Nel giugno
detta Commissione era stata presieduta da Giuseppe Romita, nel momento nel
quale si fingevano affinità... repubblicane tra i collaterali di Pio IX, i
discendenti di Garibaldi, gli assertori di Giuseppe Mazzini che, Poeta
repubblicano cantava aggirantesi, l'alta fronte, il volto pensoso, « in
giardini troppo ricchi di mirto » e gli impetuosi assertori che allora erano di
Stalin: il complesso, cioè, di quanti votarono « repubblica » senza sapere
quale repubblica volessero, a differenza dei monarchici - 10.719.284 - che
votando Monarchia votarono sicuramente e solo Savoia).
Né mai il Partito Nazionale Monarchico consentirà con coloro i quali - tra
gli altri slogans, sicuramente comodi nell'immediato - hanno coniato anche
questo: « Alla Monarchia occorre pensare sempre, della Monarchia occorre non
parlare mai », salvo per i riferimenti sentimentali, come se il problema, dalla
soluzione non immediata, non fosse sempre presente soprattutto mentre dura e si
aggrava, con la carenza, la crisi costituzionale.
Mai il Partito Nazionale Monarchico potrà consentire a formulare voti di
nazionali sciagure, dalle quali potrebbe verificarsi il risorgere del Regno;
proprio perché i regimi, come le istituzioni che nascono dalla disfatta,
nascono male e rischiano di vivere peggio, il Sovrano che ha lasciato la Patria
e il Trono per evitare spargimento di sangue, mai potrebbe pensare di ritornare
- come altri ritornarono - sotto le bandiere dello straniero o nell'ora di
sciagure che soltanto speranza di libertà e di migliore costume civile poterono
consolare.
La impostazione costituzionale della battaglia fondamentale del Partito
Nazionale Monarchico tornerà ad essere oggetto di esame e di precisazioni alla
fine di questa trattazione proprio con riferimento alla situazione attuale e
avvenire, ma sono già nella storia e nella cronaca - della vita politica
italiana i segni impressi dalla attività del Partito Nazionale Monarchico dal
suo sorgere ad oggi.
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