O perlomeno che ancora non era giunto alle nostre orecchie. La maggioranza degli elettori, in Sicilia, non si è recata alle urne.
Il, misero, 30% dei VOTANTI è stato sufficiente ad eleggere un presidente che non ha nessuna maggioranza nel numeroso parlamento siciliano e che quindi o sarà costretto a un indecoroso prostituirsi politico, o, se ha, come speriamo dignità ed onore politico, diciamola pure questa desueta parola, sarà costretto a ridare la parola agli elettori, nella speranza che una nuova tornata elettorale determini situazioni di maggiore "governabilità".
Ma c'è un problema più profondo, più cattivo: la maggioranza dei siciliani ha scelto di non votare e quel parlamento che comunque sarà composto di ben 90 persone legifererà non in nome di una maggioranza ma nel nome di una minoranza assoluta dei siciliani.
In poche parole i siciliani hanno sfiduciato completamente la loro istituzione regionale la cui autonomia era stata opera di Re Umberto II. Un qualsiasi presidente che non fosse espressione di una maggioranza di elettori dovrebbe porsi il problema: "a nome di chi opero?". Del 30% di un 47%? Cioè approssimativamente del 14% per cento dei siciliani?
Ci si chiedono tasse e sacrifici inenarrabili per alimentare non una classe di dirigenti all'altezza della situazione ma una classe di autentici parassiti capaci di usare il danaro pubblico per le cose più vergognose. Ed il popolo ha dato una risposta per la prima volta chiara.
Le istituzioni democratiche in Sicilia non sono più tali in quanto non rappresentative della maggioranza dei siciliani ma di una quota inferiore alla metà degli aventi diritto.
Una democrazia esautorata e sconfessata dai propri vertici e dai prori cittadini.
Che scenari si aprono?
Un nuovo biennio rosso come nel 1919? Una nuova repubblica di Weimar?
Un potere che sarà fuggito come nel 1922 e raccolto da qualche uomo forte qualsiasi?
Staremo a vedere. Manca poco. Ma forse è il caso di incominciare a pensare ad una "rivoluzione", pacifica ed incruenta ovviamente, non sia mai!, ma ad una rivoluzione che ricostituisca quel legame, ovvio, tra Popolo e Stato, tra Nazione e Stato.
Ciò che è stato distrutto dal 13 giugno del 1946 in poi.
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