Articolo di Roberto Lucifero su "Oggi" 5 ottobre 1947, di una lungimiranza senza pari, specialmente nelle sue conclusioni riportate in grassetto.
Roberto Lucifero, che prende la parola questa settimana nella nostra pagina neutra, dove si scontrano le opinioni dei migliori uomini politici italiani, di qualunque posizione ideale, appartiene al partito liberale, è nato a Roma nel 1906, è laureato t'n legge e ha studiato diritto pubblico e filosofia del diritto. Ha partecipato, con il partito democratico italiano alla resistenza romana.
Caduto il fascismo e voltasi l'Italia da quella parte che avrebbe dovuto essere la sua fin dal principio del conflitto, e per la sua civiltà e per i suoi interessi, subito iniziò da noi un gran cianciare: di libertà e di democrazia. E quello era logico e naturale dato che proprio per la libertà e per la democrazia (che altro non è se non il metodo che garantisce la libertà) si combatteva la guerra. La quale purtroppo non si è conclusa in una pace appunto perché fino ad ora non solo la libertà e la democrazia -sono state le vere sconfitte, e non soltanto nei paesi vinti ma anche in quelli vincitori (vedi Inghilterra) ma bensì per un altro fatto alquanto infrequente nella storia. e cioè quello che, dicendo che per la libertà e per la democrazia si combatteva la guerra, si affermava una volta tanto la verità; e che conseguentemente la guerra poteva finire soltanto il giorno che tali fini fossero stati affermati nei popoli e tra i popoli, il che non è ancora accaduto.
A questo insuccesso mondiale anche l'Italia portò il suo contributo, facendo seguire al fascismo la formula altrettanto antidemocratica ed illiberale dei così detti Comitati di Liberazione Nazionale; i quali, se qualche volta, e fino a quando facesse comodo ad interessi di parte od a rancori personali, combatterono i fascisti, e specie i piccoli fascisti mai combatterono il fascismo, del quale anzi furono la continuazione perpetuandone i metodi ed i sistemi, dalla restaurazione del confino politico alla reistituzione dei Tribunali speciali.
Pure, in un paese come l'Italia, che aveva sinceramente ripudiato le forme totalitarie, anche questo nuovo totalitarismo non poteva durare. Ed intatti esso fu spezzato dalla prima Manifemzione democratica che si è avuta da noi da venticinque anni in qua: dalle elezioni del 2 giugno.
Tutta questa chiacchierata era necessaria per spiegare come di fatto, lo schieramento politico italiano non risalga né al 1943 né al 1944, ma soltanto al giugno 1946 allorquando il sorgere di un'Assemblea se non democratica nei suoi componenti certamente democratica nella sua costituzione, sfasciò il Partito unico dei C.L.N. che aveva perpetuato il Partito unico fascista.
Così comparve il problema della destra, del centro, della sinistra, ed ogni tendenza dovette cercare la sua classificazione. Ora qui si deve esser chiari: questa questione non è soltanto una questione topografica, ma ha anche un significato direi quasi strategico sul quale bisogna intendersi.
Il significato strategico è evidente: da che mondo è mondo gli avversari che si debbono combattere, siano essi eserciti, o giocatori di scacchi, o gruppi politici, si pongono l'uno di fronte a Il altro; e chi tende a svolgere un'attività di mediazione, o di conciliazione, o, quando le forze all'incirca si equivalgono, di direzione tra i due opposti si pone al centro, cioè in posizione da controllare l'uno e l'altro, da potersi gettare da una parte o dall'altra a seconda che le esigenze della stabilità e dell'equilibrio politico lo richiedano.
Oggi, evidentemente, il grande conflitto che divide il mondo, e con esso l'Italia, è quello tra libertà e non libertà, tra democrazia (onestamente intesa) e non democrazia (non basta dirsi democratici per esserlo) in poche parole, tra liberalismo e totalitarismo, il quale secondo oggi trova la sua espressione nel marxismo che, anche quando si dice geloso della libertà, luccica poi una organizzazione della società che sarebbe necessariamente liberticida. Sicché noi possiamo dividere i due gruppi contrapposti in gruppi liberali e gruppi marxisti, tra i quali si muove un centro rappresentato dalla Democrazia cristiana che, fondata su di un equivoco confessionale ha preso in prestito un po' dagli uni e un po' dagli altri il suo pensiero politico, e tenta di funzionare da mediatrice tra le due correnti.
Qui entra in ballo la concezione tradizionalistica di "destra" e “sinistra". Un tempo le tendenze conservatrici sedevano a destra e quelle rivoluzionarie a sinistra. E poiché i socialisti italiani i quali, pur non avendo mai pensato seriamente ad una rivoluzione, si sono ognora detti rivoluzionari, avevan sempre seduto a sinistra, a sinistra ritornarono, e facilmente trovarono un centro di gravità comune nel marxismo malgrado le loro distinzioni di metodo e di tendenza.
Se questa collocazione a sinistra, di un tale complesso tipicamente tradizionalista e conservatore, fermo tuttora nelle sue posizione del secolo scorso, rappresenti un'esatta interpretazione del significato classico di "sinistra” sarebbe altro discorso. E potrebbe essere interessante ricordare come il fascismo, il quale era pur esso un movimento socialistico, se non altro un tentativo di socialismo fatto su un piano non classista, si pose a destra soltanto perché combatteva il socialismo che era già a sinistra. Ma questo ci condurrebbe troppo lontano.
Il fatto, e cioè la realtà politica, è che i gruppi marxisti sono a sinistra; e che pertanto, dato che la Democrazia cristiana sta nel centro nello sforzo, mai compreso in verità e peggio effettuato, di far da pendolo, ne deriva che tutti gli altri movimenti che non sono marxisti ed il marxismo combattono si trovano nella posizione opposta e cioè nella posizione di destra.
E’ inutile che gli uomini che a tale destra appartengono si ribellino a questa realtà; è inutile che essi soggiacciano ad un complesso di inferiorità tradizionale in Italia e per il quale tutti vogliono dirsi di sinistra; essi sono inevitabilmente a destra per giustapposizione al marxismo che sta a sinistra, e che rappresenta, per dirla con Socrate, il loro apporto.
Essi potranno essere, e spesso indubbiamente sono, molto più progressivi dei marxisti che sono a sinistra; possono auspicare, e spesso indubbiamente auspicano, riforme molto più moderne, più radicali ed audaci; ma sono e resteranno “la destra" per il solo fatto che il loro avversario è “la sinistra".
Ora quello che fa sì che l'assetto politico italiano non abbia trovato ancora un suo equilibrio, senza il quale non potrà esistere né un ordinato vivere né un ordinato progredire, è proprio il fatto che, mentre la sinistra si è coagulata in una sua coscienza collettiva ormai politicamente operante (vedi i così detti Blocchi del popolo) la destra questa coscienza di sé non l'ha ancora trovata, e pertanto non trova neppure quella coesione che le consentirebbe di combattere la sua battaglia.
In fondo il problema della destra, e cioè di quella parte del popolo italiano che non è marxista, è tutto lì: nella mancanza di una coscienza collettiva che, al di là delle logiche e necessarie differenziazioni, unisca in una azione comune tutti coloro i quali credono che i problemi dei nostri tempi possano risolversi con formule moderne che non sacrifichino la libertà e non siano quelle ottocentesche ed ottocentarde del marxismo.
Ed è questo della destra non solo un problema del liberalismo e delle forze ad esso affini, ma principalmente un problema nazionale. Perché in una politica equilibrata è necessario che tutte le forze sappiano esprimersi sinceramente e portare il loro contributo alla vita ed allo sviluppo del paese.
Il che non si potrà ottenere fino a quando la destra non avrà coscienza di sé, coraggio di sé, e rispetto di sé. Coscienza di sé per conoscersi, comprendersi e farsi conoscere e comprendere da seguaci ed avversari; coraggio di sé per esprimersi per quello che effettivamente essa è, senza complessi di inferiorità, falsi pudori, e mimetizzazioni a sinistra che disorientano gli uomini suoi e non ingannano gli altri; rispetto di sé, perché chi manca di questa coscienza e di questo coraggio (ed è già umiliante chiamarlo coraggio) non rispetta se stesso e non ha diritto al rispetto degli altri.
Rispetto, questo, che in politica si chiama prestigio, e senza il quale in politica non si opera. Prestigio cui non si ha diritto fino a quando non si ha fede nelle proprie idee e nella propria persona, e che mancherà alla destra italiana fino a quando i suoi uomini tenteranno mimetizzazioni di struzzo; fino a quando essi si combatteranno per le loro differenze senza associarsi per quanto hai in comune; fino a quando molti di loro, e spesso autorevoli ed illustri, continueranno ad ammucchiarsi a sinistra, dove non trovano posto e dove non è il loro posto, gli uni sugli altri in una ridicola confusione, sacrificando pietosamente la coerenza del loro pensiero e della loro azione politica a quella molto più umile del loro sedere.
Roberto Lucifero
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