I fatti contrastarono
mai con le parole?
Nel 1947 quando De Gasperi - sul quale pure pesava la vigilia
del 2 giugno, cullate ingenue illusioni e preparato l'epilogo amarissimo
(alternate equivoche espressioni, consentito il voto per la Monarchia nell'atto
di disporre gli eletti repubblicani) - quando De Gasperi - sul quale pure
pesava l'11 giugno e il triste e tristo poi – estromise, con qualche nota alla
Mossadeq, i socialcomunisti dal Governo, i parlamentari del Partito Nazionale
Monarchico non esitarono a concedere al Ministero quella fiducia che persino i
socialdemocratici (appena separati dal P.S.I. di Nenni) avevano negato. Fu
merito allora anche dei pochi deputati dell'ancor giovanissimo Partito
Nazionale Monarchico - che apparivano illusi e sperduti - se venne reso
possibile l'allontanamento dell'estrema sinistra dal potere.
Nel 1948 il gruppo parlamentare del Partito Nazionale
Monarchico votò gli accordi internazionali che davano vita al Patto Atlantico e
ribadì la sua posizione di fedeltà alla comunità occidentale.
Nel giugno 1950 il gruppo parlamentare del Partito Nazionale
Monarchico presentava alla Camera una mozione sul problema di Trieste e del
Territorio Libero invitando il Governo:
a) ad astenersi da trattative dirette con Belgrado;
b) a fare appello all'O.N.U. affinché, accertate le iniquità
jugoslave nella zona B, venisse tolto a Tito il mandato su tale territorio;
c) a chiedere agli Alleati occidentali l'esecuzione della
Dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948 (che prometteva l'integrale
restituzione all'Italia del Territorio Libero) riservandosi, in caso contrario,
di denunciare il Trattato di pace. Era una proposta conforme alla ortodossia
diplomatica e senza dubbio abile. Lo stesso Ministro degli Esteri Sforza la giudicò
interessante. Tuttavia la maggioranza della Ca mera non approvò la mozione.
Nel marzo 1951 il gruppo del Partito Nazionale Monarchico
nella Camera dei Deputati fu protagonista di una nuova clamorosa vicenda
parlamentare, originata da un ordine del giorno - presentato dai deputati del
Partito Nazionale Monarchico - che suonava sfiducia nel Ministro della Difesa
on. Pacciardi. Sull'ordine del giorno monarchico si sarebbe potuta determinare,
forse, una maggioranza; certo una condizione delicata avrebbe potuto crearsi, e
ciò alla vigilia di una difficile missione diplomatica del Presidente del
Consiglio e del Ministro degli Esteri a Londra.
L'on De Gasperi fece presenti le difficoltà internazionali
del momento e fece appello al patriottismo dei monarchici. Rispose l'on.
Covelli: «La buona fede e il patriottismo dei monarchici non possono essere
messi in dubbio e l'on Presidente del Consiglio lo ha or ora riconosciuto.
Questo orgoglio non ci è nuovo: non vi è mai stata occasione, nella quale il
governo della Repubblica abbia voluto mostrare tra gli Italiani unità di
intenti nella difesa della civiltà, dell'integrità nazionale, e nella quale
esso non abbia dovuto appellarsi a quelle tradizioni del nostro Paese delle
quali noi monarchici siamo partecipi e siamo testimoni responsabili perlomeno
quanto lo siete voi ».
L'on. Covelli ritirava l'ordine del giorno tra i vivissimi
applausi del Centro e della Destra.
Nel 1953 lineare e coraggiosa fu l'opposizione dei monarchici
alla nuova legge elettorale politica maggioritaria: nel Parlamento e nel Paese.
La Democrazia cristiana era stata plebiscitata nel 1948, il
18 aprile. Voler negare quale fosse stato il mandato che il corpo elettorale le
aveva conferito non è possibile. La indicazione chiara, estremamente chiara non era stata
raccolta. Che l'on. De Gasperi volendo tener in vita malgrado la sua maggioranza
un governo non monocolore, possa essersi urato al proposito di non stravincere
- dopo il responso del 18 aprile può darsi e non si vuole negare quello che
sarebbe stata una determinazione con la luce ideale del «fuggire la tentazione
dello strapotere »; peraltro la verità è questa che, per la decisione dell'on.
De Gasperi, la Democrazia Cristiana si sottrasse al compito che le era stato
assegnato dalla maggioranza assoluta - in senso e per destinazione
anticomunista - del 18 aprile: compito assegnatole dai mezzi della borghesia
non sempre illuminata, come insegna recente e recentissima storia.
CONTRO DE GASPERI
Sta di fatto che, insorto il suffragio universale nel Paese,
contro la legge maggioritaria negatrice di proporzionale, il Partito Nazionale
Monarchico che aveva decisivamente contribuito a che non scattasse la trappola
della legge che i suoi parlamentari avevano combattuto nel Parlamento, non
poteva rinnegare la investitura ricevuta dagli elettori anche quando avesse
potuto dimenticare l'asprezza della lotta fatta dalla D.C. dell'on. De Gasperi
durante la campagna elettorale, con singolare predilezione, contro il P.N.M. La
politica ha una sua onesta elasticità, ma non poteva consentirsi l'adesione
immediata ad un esperimento quale quello che l'on. De Gasperi col suo ottavo
ministero confusamente annunciava, dove l'espressione più cortese nei confronti
del gruppo monarchico fu quello che egli «non lo conosceva »!
Un deputato monarchico, chi scrive, nell'annunziare il voto
contrario del gruppo ebbe allora ad esprimersi così:
« Il 7 giugno ha rappresentato una data fondamentale per il
costume civile e sia consentito a questa parte della Camera di rivendicare, nei
confronti della parte opposta, questa benemerenza della quale dovrebbero
esserci grati - nel profondo - coloro che siedono sui banchi della maggioranza,
perché per merito nostro l'estrema sinistra non ha avuto la
"esclusiva" di una giusta battaglia di legittimità ». Ed aggiungeva:
« Occorre passare oltre il fatto elettorale per dire della interpretazione che
ha dato luogo all'investitura dell'on. De Gasperi. Io ricordo le giornate
tempestose che prepararono un grande evento. Fu allora che 300 deputati della
Camera Italiana ebbero ad esprimere la loro solidarietà con un grande statista,
che si va dicendo si sia rinnovato qua dentro; il che non credo e non se ne
offenda alcuno. Giovanni Giolitti, dicevo, ebbe a ricevere allora da
parlamentari italiani 300 biglietti da visita mentre il popolo gridava, nelle
piazze, la guerra. Fu allora criticato il Sovrano (bestemmiato e pianto) perché
aveva conferito l'investitura ad Antonio Salandra! Il 7 giugno non vi furono
biglietti da visita di parlamentari, ma milioni di cittadini sono insorti
contro chi aveva voluto ad ogni costo una legge ingiusta e dannosa a quelli
stessi che se ne volevano servire! Se questo è avvenuto e se questo è certo,
ella, onorevole De Gasperi (del quale ricordo nei miei confronti un atto
incancellabile, in quanto fu l'unico a mostrar comprensione nelle giornate che
videro il mio esodo dalla Democrazia cristiana), come non ha avvertito che non
poteva essere lei l'indicato dall'esito elettorale a ricevere per il primo
l'investitura? lo assumo non che non si potesse ritornare a lei ma che
l'investitura non potesse esserle data immediatamente perché il 7 giugno non
poteva essere interpretato cosi come è stato interpretato. Le interpretazioni
che si potevano dare all'esito del 7 giugno erano due: sinistra o destra. Che
significhino esattamente sinistra e destra non è dato, in verità, di stabilire.
Passi ancora per la sinistra: lo si intuisce guardando i banchi che ci stanno
di fronte. Ma quanto alla destra - magari estrema - non se ne dolga l'onorevole
De Marsanich se dirò che non v'è una stretta parentela tra lui e il Conte
Solaro della Margherita. Come non vi è molta parentela tra me, i miei colleghi
e il Conte Camillo Benso di Cavour, ministro del Re. Come non vi è neppure
parentela fra lui e l'onorevole Villabruna tanto è vero che questi ha lasciato
i banchi della destra per lanciarsi su quelli del centro (naturalmente sinistro)
perché il centro è posizione per più facili spostamenti».
Doveva, quindi, anche per una evidente ragione di carattere
costituzionale rifiutarsi la fiducia alla investitura dell'on. De Gasperi. Né
questo rifiuto determinino in fatto alcun danno (checché abbiano affermato poi,
col consueto ritardo i tentati frantumatori 11 Partito Nazionale Monarchico)
se, negata la fiducia a De Gasperi, la successione fu all'on. Pella, il quale, personalmente,
non gravavano né le antiche responsabilità istituzionali né le recenti
costituzionali che gravavano sull'on. De Gasperi!
A FAVORE DI PELLA
E sembra incredibile ma vero per gli obliosi (che peraltro
non obliano affatto ma si fingono smemorati credendo che tutti, proprio tutti
gli altri lo siano; il che è calcolo tra il torbido e l'ingenuo) sembra
incredibile che si ignori, dai critici del voto contrario al Ministero dell'on.
De Gasperi, che da tale voto contrario sorse il Governo dell'on. Pella, al quale
il Partito Nazionale Monarchico diede il suo pieno appoggio: disinteressato e
determinante. Il che prova che non spirito fazioso di opposizione preconcetta
anche nei confronti della Democrazia cristiana, ma valutazioni concrete
nazionalmente ispirate (l'acme della crisi per Trieste si determinò durante il
Governo Pella) determinarono la condotta dei parlamentari dei Partito Nazionale
Monarchico.
Che se il Governo Pella - che aveva suscitato nel Paese la più
viva simpatia (proprio anche nelle larghe schiere di quella Democrazia
cristiana che aveva attratto a sé i voti dei borghesi d'Italia il 18 aprile
1948) - non durò, anche per la eccessiva preoccupazione dell'on. Pella di
definire transitorio il suo governo (una specie di Ministero balneare), ciò fu
dovuto al siluro lanciatogli da Novara dall'on. Scelba e, forse, alla scarsa
esperienza del Presidente del Consiglio, il quale evidentemente ignorava che il
modo migliore per evitare crisi di governo è quello di non volersene andare!
Verissimo è che successivamente alla crisi Pella il Partito Nazionale
Monarchico non consentì ad altro esperimento monocolore, quello dell'on. Fanfani,
ma a taluni autori e complici della sottrazione all'unità politica parlamentare
monarchica che era in atto ritardatari della critica al «secondo autobus
perduto», dimentichi, per finta malattia della memoria, che sull'autobus Pella
i monarchici erano saliti senza compiti servili ma come graditi passeggeri sarà
giusto ricordare che essi, i ritardatari patiti del Ministero Fanfani non
assunsero affatto l'atteggiamento a favore del monocolore dell'attuale
Segretario della Democrazia Cristiana, essendo, se mai, identificati - fuori di
loro coloro che non opposero sdegnosi accenti al tentativo, che peraltro
coincise con la estromissione dal Senato del Sindaco di Napoli!
Né storia antica e recente dell'unità democratica cristiana,
dalle correnti che la fanno assomigliare ad un tripartito (se non tenesse pi'
che il tessuto connettivo cattolico la protezione altissima che la ritiene, o
la lascia ritenere, con tutti i pericoli inerenti, il Partito dei cattolici
italiani) autorizzava, in quel momento, a definire che il monocolore di Fanfani
si sarebbe, sostanzialmente, determinato in direzione diversa da quella che,
per i cosiddetti orientamenti della socialità, fu la direzione del quadri o
tripartito che sorresse gli esperimenti Scelba e Segni.
CONTRO SCELBA E SEGNI
Di necessaria evidenza la opposizione al Ministero Scelba
sorto in funzione anti-Pella, epperò chiaramente polemico contro la Destra: che
significava comunque il ritorno al quadripartito ed al suo spirito. Il
Ministero Segni - senza i repubblicani, con i liberali e, va da sé, coi
socialdemocratici - non poteva avere l'appoggio del Partito Nazionale
Monarchico: e le battaglie che il gruppo del Partito Nazionale Monarchico
combatte (basterebbe richiamarsi alla tenace opposizione alla legge di
perequazione tributaria e, particolarmente, al famigerato articolo 17, sul
quale provocò l'appello nominale) furono aperte, leali, coraggiose. Se, nei
confronti del Governo presieduto dall'on. Segni - che decise lo sganciamento
dell'I.R.I. dalla Confindustria così come la "irizzazione" dei
telefoni, che i liberali avallarono, per tacere di altri provvedimenti
legislativi - l'opposizione del Partito Nazionale Monarchico fu costante là
dove erano in gioco provvedimenti legislativi di ispirazione illiberale,
dannosi alla economia dello Stato proprio per la voluta soggezione allo stato
della libera iniziativa, anche nei confronti del Gabinetto dell'on. Segni,
l'opposizione non fu preconcetta ed irosa, ispirata al « tanto peggio tanto
meglio » o obliosa del fronte unico nazionale nelle questioni di natura
internazionale. Non mancò il voto favorevole del Partito Nazionale Monarchico
agli accordi di Parigi, istitutivi dell'Unione Europea Occidentale, come poi al
Trattato per il Mercato Comune anche se sempre, per la voce particolarmente
dell'on. Cantalupo, vennero precisate le necessarie riserve e vennero
coraggiosamente riaffermati i principi di una politica estera ferma e avveduta,
che mai ha dimenticato la visione nazionale della Patria tradizionale inserita
nel divenire del problema europeo e nella realtà della difesa dei regimi
liberi, della civiltà occidentale.
Ma per i riflessi politici del Governo tripartito dove gli
addendi del meno peggio, nella politica interna ed economica, concludevano
sistematicamente al peggio appena si profilò, nella umiliante gara dei
mercanteggiamenti, la possibilità di sottrarre il Paese al palleggiamento delle
responsabilità tra i sodali del Governo che realizzando la politica del'
mercato delle vacche concludeva alle vacche magre, senza nemmeno la possibilità
di una chiara individuazione di responsabilità, il Partito Nazionale Monarchico
si schierò per un Governo monocolore. E fu chiara - per la chiarissima
dichiarazione dell'on. Covelli - la presa di posizione del Partito Nazionale
Monarchico.
ZOLI
I monarchici in Parlamento perspicuamente motivarono il loro
voto favorevole al Governo Zoli con le seguenti fondamentali ragioni:
I.
Il
monocolore di Zoli significava la fine dell'equivoco tripartitico e se anche
non furono gradite talune affermazioni, peraltro non riferite particolarmente
ai Monarchici - nel settore toponomasticamente di destra - ben più
sostanzialmente gravi furono le affermazioni in certo senso vere e proprie
denunce precisate nei confronti degli ex sodali degli esperimenti tri-partitici
dalle quali scattarono le furenti reazioni vuoi (lei social-democratici vuoi
dei liberali.
II.
Col
monocolore di Zoli avviandosi la legislatura alla sua fine - era opportuno,
oltre che doveroso che la Democrazia Cristiana assumesse - partito di
maggioranza relativa - la sua precisa responsabilità ad evitare che, nella
imminenza della lotta elettorale, le fosse possibile ancora destreggiarsi da
sinistra a destra, prendendo pretesto dalla commistione governativa per rendere
impossibile la individuazione delle precise responsabilità di ciascuno e,
quindi, soprattutto del partito di maggioranza relativa.
La fine della legislatura non ne è manifestamente l'inizio.
L'ora della convocazione dei comizi è molto più impegnativa che non quella
dalla quale si può, lungo cinque anni, evadere. E anche sotto il profilo della
logica più stretta e della più stretta coerenza, non varrebbe stabilire
paralleli tra situazioni diverse per pretendere di raffigurare anche
crepuscolari incoerenze.
Un fatto è certo: oggi il governo Zoli opera a seguito di una
investitura parlamentare, nella quale operò decisivamente il Partito Nazionale
Monarchico.
Ma questo - ad onore, più che per la tranquillità del Partito
Nazionale Monarchico - è altrettanto certo: il Partito Nazionale Monarchico non
avendo assunta alcuna responsabilità di governo né avendo assunto impegno a
sostenerlo (avendo, anzi, rivendicata la sua libertà nei confronti delle
singole determinazioni legislative del Governo) ha determinato una
chiarificazione almeno in partenza continuando a camminare per le tappe della
sua costante chiarezza. Non voti sottobanco: voti-bandiera!
Dirà qualcuno, ha detto qualcuno che, con riferimento alla
legge in corso di discussione sui patti agrari. un peggioramento si sarebbe
verificato nei testi; ed è vero che, nel buio delle urne a scrutinio segreto,
si sono determinate contro il parere del Governo delle variazioni peggiorative.
Ma è anche vero che qualche emendamento recentemente votato era già stato
annunciato dal cosiddetti sindacalisti della Democrazia Cristiana prima
dell'avvento del Ministero Zoli, a bandiere spiegate; il che preannunciava
quello che oggi si è determinato. Né si dica che, se si fosse verificato
allora, tra gli auguri del tripartito, quello che oggi si è verificato, avrebbe
funzionato la solidarietà ministeriale. Che cosa avrebbe questo significato? La
crisi? Ogni dubbio è., su questo punto, autorizzato alla luce delle abdicazioni
successive e progressive dei liberali al governò. Ma se anche questo fosse
avvenuto, o sarebbe stata la crisi (quindi il nulla di fatto), o sarebbe stata
la soggezione. Questa sarebbe stata anticipata sull'orologio (di qui la legge
peggiorata). Se fosse stata la crisi forse che il tempo guadagnato contro
l'approvazione della legge sarebbe stato determinante nei giorni? Perché,
ancora, proprio in relazione al calendario sembra estremamente improbabile,
proprio in conseguenza degli introdotti emendamenti contro il parere del
governo, soprattutto per la natura e la portata dell'emendamento Miceli, che la
legge sui patti agrari sia pure a tappe forzate possa giungere, dal Senato, di
ritorno alla Camera prima della fine della legislatura. Che se anche la legge
sui patti agrari (date per ammesse le inammissibili ipotesi di interessata e
meschina formulazione liberale) dovesse passare con qualche peggioramento, è
chiaro che si verificherebbe precisamente la condizione risolutiva
dell'equivoco democristiano nell'ora delle decisioni elettorali (1).
La verità è questa: che almeno sino a questo momento non
risponde ad esattezza che il governo Zoli sia stato più nocivo alle
impostazioni liberali - e del Partito Nazionale Monarchico - di quello che
certamente è stata la successione dei governi quadri e tripartiti: di
derivazione ed osservanza ciellenista. Chi vivrà vedrà. E voterà. Nel frattempo
la battaglia in corso intorno alla legge sul patti agrari vede le scrupolo
attento, la critica vigile particolarmente di un deputato di nostra parte:
l'on. Daniele.
(1) Alla data della pubblicazione del presente opuscolo non è piú campo alle ipotesi: il fatto sta a smentire la polemica «liberale»: la legge sui patti agrari non è passata nemmeno nella tollerante edizione « liberale »!
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