Fantastiche le elezioni in Sicilia.
Il PDL ha operso 650.000 voti. Il PD ne ha persi soltanto 250.000.
Adesso in Italia la gara sarà a chi perde di meno.

NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.
mercoledì 31 ottobre 2012
Il Partito Nazionale Monarchico - VII parte
I fatti contrastarono
mai con le parole?
Nel 1947 quando De Gasperi - sul quale pure pesava la vigilia
del 2 giugno, cullate ingenue illusioni e preparato l'epilogo amarissimo
(alternate equivoche espressioni, consentito il voto per la Monarchia nell'atto
di disporre gli eletti repubblicani) - quando De Gasperi - sul quale pure
pesava l'11 giugno e il triste e tristo poi – estromise, con qualche nota alla
Mossadeq, i socialcomunisti dal Governo, i parlamentari del Partito Nazionale
Monarchico non esitarono a concedere al Ministero quella fiducia che persino i
socialdemocratici (appena separati dal P.S.I. di Nenni) avevano negato. Fu
merito allora anche dei pochi deputati dell'ancor giovanissimo Partito
Nazionale Monarchico - che apparivano illusi e sperduti - se venne reso
possibile l'allontanamento dell'estrema sinistra dal potere.
Nel 1948 il gruppo parlamentare del Partito Nazionale
Monarchico votò gli accordi internazionali che davano vita al Patto Atlantico e
ribadì la sua posizione di fedeltà alla comunità occidentale.
Nel giugno 1950 il gruppo parlamentare del Partito Nazionale
Monarchico presentava alla Camera una mozione sul problema di Trieste e del
Territorio Libero invitando il Governo:
a) ad astenersi da trattative dirette con Belgrado;
b) a fare appello all'O.N.U. affinché, accertate le iniquità
jugoslave nella zona B, venisse tolto a Tito il mandato su tale territorio;
c) a chiedere agli Alleati occidentali l'esecuzione della
Dichiarazione tripartita del 20 marzo 1948 (che prometteva l'integrale
restituzione all'Italia del Territorio Libero) riservandosi, in caso contrario,
di denunciare il Trattato di pace. Era una proposta conforme alla ortodossia
diplomatica e senza dubbio abile. Lo stesso Ministro degli Esteri Sforza la giudicò
interessante. Tuttavia la maggioranza della Ca mera non approvò la mozione.
Nel marzo 1951 il gruppo del Partito Nazionale Monarchico
nella Camera dei Deputati fu protagonista di una nuova clamorosa vicenda
parlamentare, originata da un ordine del giorno - presentato dai deputati del
Partito Nazionale Monarchico - che suonava sfiducia nel Ministro della Difesa
on. Pacciardi. Sull'ordine del giorno monarchico si sarebbe potuta determinare,
forse, una maggioranza; certo una condizione delicata avrebbe potuto crearsi, e
ciò alla vigilia di una difficile missione diplomatica del Presidente del
Consiglio e del Ministro degli Esteri a Londra.
L'on De Gasperi fece presenti le difficoltà internazionali
del momento e fece appello al patriottismo dei monarchici. Rispose l'on.
Covelli: «La buona fede e il patriottismo dei monarchici non possono essere
messi in dubbio e l'on Presidente del Consiglio lo ha or ora riconosciuto.
Questo orgoglio non ci è nuovo: non vi è mai stata occasione, nella quale il
governo della Repubblica abbia voluto mostrare tra gli Italiani unità di
intenti nella difesa della civiltà, dell'integrità nazionale, e nella quale
esso non abbia dovuto appellarsi a quelle tradizioni del nostro Paese delle
quali noi monarchici siamo partecipi e siamo testimoni responsabili perlomeno
quanto lo siete voi ».
L'on. Covelli ritirava l'ordine del giorno tra i vivissimi
applausi del Centro e della Destra.
Nel 1953 lineare e coraggiosa fu l'opposizione dei monarchici
alla nuova legge elettorale politica maggioritaria: nel Parlamento e nel Paese.
La Democrazia cristiana era stata plebiscitata nel 1948, il
18 aprile. Voler negare quale fosse stato il mandato che il corpo elettorale le
aveva conferito non è possibile. La indicazione chiara, estremamente chiara non era stata
raccolta. Che l'on. De Gasperi volendo tener in vita malgrado la sua maggioranza
un governo non monocolore, possa essersi urato al proposito di non stravincere
- dopo il responso del 18 aprile può darsi e non si vuole negare quello che
sarebbe stata una determinazione con la luce ideale del «fuggire la tentazione
dello strapotere »; peraltro la verità è questa che, per la decisione dell'on.
De Gasperi, la Democrazia Cristiana si sottrasse al compito che le era stato
assegnato dalla maggioranza assoluta - in senso e per destinazione
anticomunista - del 18 aprile: compito assegnatole dai mezzi della borghesia
non sempre illuminata, come insegna recente e recentissima storia.
CONTRO DE GASPERI
Sta di fatto che, insorto il suffragio universale nel Paese,
contro la legge maggioritaria negatrice di proporzionale, il Partito Nazionale
Monarchico che aveva decisivamente contribuito a che non scattasse la trappola
della legge che i suoi parlamentari avevano combattuto nel Parlamento, non
poteva rinnegare la investitura ricevuta dagli elettori anche quando avesse
potuto dimenticare l'asprezza della lotta fatta dalla D.C. dell'on. De Gasperi
durante la campagna elettorale, con singolare predilezione, contro il P.N.M. La
politica ha una sua onesta elasticità, ma non poteva consentirsi l'adesione
immediata ad un esperimento quale quello che l'on. De Gasperi col suo ottavo
ministero confusamente annunciava, dove l'espressione più cortese nei confronti
del gruppo monarchico fu quello che egli «non lo conosceva »!
Un deputato monarchico, chi scrive, nell'annunziare il voto
contrario del gruppo ebbe allora ad esprimersi così:
« Il 7 giugno ha rappresentato una data fondamentale per il
costume civile e sia consentito a questa parte della Camera di rivendicare, nei
confronti della parte opposta, questa benemerenza della quale dovrebbero
esserci grati - nel profondo - coloro che siedono sui banchi della maggioranza,
perché per merito nostro l'estrema sinistra non ha avuto la
"esclusiva" di una giusta battaglia di legittimità ». Ed aggiungeva:
« Occorre passare oltre il fatto elettorale per dire della interpretazione che
ha dato luogo all'investitura dell'on. De Gasperi. Io ricordo le giornate
tempestose che prepararono un grande evento. Fu allora che 300 deputati della
Camera Italiana ebbero ad esprimere la loro solidarietà con un grande statista,
che si va dicendo si sia rinnovato qua dentro; il che non credo e non se ne
offenda alcuno. Giovanni Giolitti, dicevo, ebbe a ricevere allora da
parlamentari italiani 300 biglietti da visita mentre il popolo gridava, nelle
piazze, la guerra. Fu allora criticato il Sovrano (bestemmiato e pianto) perché
aveva conferito l'investitura ad Antonio Salandra! Il 7 giugno non vi furono
biglietti da visita di parlamentari, ma milioni di cittadini sono insorti
contro chi aveva voluto ad ogni costo una legge ingiusta e dannosa a quelli
stessi che se ne volevano servire! Se questo è avvenuto e se questo è certo,
ella, onorevole De Gasperi (del quale ricordo nei miei confronti un atto
incancellabile, in quanto fu l'unico a mostrar comprensione nelle giornate che
videro il mio esodo dalla Democrazia cristiana), come non ha avvertito che non
poteva essere lei l'indicato dall'esito elettorale a ricevere per il primo
l'investitura? lo assumo non che non si potesse ritornare a lei ma che
l'investitura non potesse esserle data immediatamente perché il 7 giugno non
poteva essere interpretato cosi come è stato interpretato. Le interpretazioni
che si potevano dare all'esito del 7 giugno erano due: sinistra o destra. Che
significhino esattamente sinistra e destra non è dato, in verità, di stabilire.
Passi ancora per la sinistra: lo si intuisce guardando i banchi che ci stanno
di fronte. Ma quanto alla destra - magari estrema - non se ne dolga l'onorevole
De Marsanich se dirò che non v'è una stretta parentela tra lui e il Conte
Solaro della Margherita. Come non vi è molta parentela tra me, i miei colleghi
e il Conte Camillo Benso di Cavour, ministro del Re. Come non vi è neppure
parentela fra lui e l'onorevole Villabruna tanto è vero che questi ha lasciato
i banchi della destra per lanciarsi su quelli del centro (naturalmente sinistro)
perché il centro è posizione per più facili spostamenti».
Doveva, quindi, anche per una evidente ragione di carattere
costituzionale rifiutarsi la fiducia alla investitura dell'on. De Gasperi. Né
questo rifiuto determinino in fatto alcun danno (checché abbiano affermato poi,
col consueto ritardo i tentati frantumatori 11 Partito Nazionale Monarchico)
se, negata la fiducia a De Gasperi, la successione fu all'on. Pella, il quale, personalmente,
non gravavano né le antiche responsabilità istituzionali né le recenti
costituzionali che gravavano sull'on. De Gasperi!
A FAVORE DI PELLA
E sembra incredibile ma vero per gli obliosi (che peraltro
non obliano affatto ma si fingono smemorati credendo che tutti, proprio tutti
gli altri lo siano; il che è calcolo tra il torbido e l'ingenuo) sembra
incredibile che si ignori, dai critici del voto contrario al Ministero dell'on.
De Gasperi, che da tale voto contrario sorse il Governo dell'on. Pella, al quale
il Partito Nazionale Monarchico diede il suo pieno appoggio: disinteressato e
determinante. Il che prova che non spirito fazioso di opposizione preconcetta
anche nei confronti della Democrazia cristiana, ma valutazioni concrete
nazionalmente ispirate (l'acme della crisi per Trieste si determinò durante il
Governo Pella) determinarono la condotta dei parlamentari dei Partito Nazionale
Monarchico.
Che se il Governo Pella - che aveva suscitato nel Paese la più
viva simpatia (proprio anche nelle larghe schiere di quella Democrazia
cristiana che aveva attratto a sé i voti dei borghesi d'Italia il 18 aprile
1948) - non durò, anche per la eccessiva preoccupazione dell'on. Pella di
definire transitorio il suo governo (una specie di Ministero balneare), ciò fu
dovuto al siluro lanciatogli da Novara dall'on. Scelba e, forse, alla scarsa
esperienza del Presidente del Consiglio, il quale evidentemente ignorava che il
modo migliore per evitare crisi di governo è quello di non volersene andare!
Verissimo è che successivamente alla crisi Pella il Partito Nazionale
Monarchico non consentì ad altro esperimento monocolore, quello dell'on. Fanfani,
ma a taluni autori e complici della sottrazione all'unità politica parlamentare
monarchica che era in atto ritardatari della critica al «secondo autobus
perduto», dimentichi, per finta malattia della memoria, che sull'autobus Pella
i monarchici erano saliti senza compiti servili ma come graditi passeggeri sarà
giusto ricordare che essi, i ritardatari patiti del Ministero Fanfani non
assunsero affatto l'atteggiamento a favore del monocolore dell'attuale
Segretario della Democrazia Cristiana, essendo, se mai, identificati - fuori di
loro coloro che non opposero sdegnosi accenti al tentativo, che peraltro
coincise con la estromissione dal Senato del Sindaco di Napoli!
Né storia antica e recente dell'unità democratica cristiana,
dalle correnti che la fanno assomigliare ad un tripartito (se non tenesse pi'
che il tessuto connettivo cattolico la protezione altissima che la ritiene, o
la lascia ritenere, con tutti i pericoli inerenti, il Partito dei cattolici
italiani) autorizzava, in quel momento, a definire che il monocolore di Fanfani
si sarebbe, sostanzialmente, determinato in direzione diversa da quella che,
per i cosiddetti orientamenti della socialità, fu la direzione del quadri o
tripartito che sorresse gli esperimenti Scelba e Segni.
CONTRO SCELBA E SEGNI
Di necessaria evidenza la opposizione al Ministero Scelba
sorto in funzione anti-Pella, epperò chiaramente polemico contro la Destra: che
significava comunque il ritorno al quadripartito ed al suo spirito. Il
Ministero Segni - senza i repubblicani, con i liberali e, va da sé, coi
socialdemocratici - non poteva avere l'appoggio del Partito Nazionale
Monarchico: e le battaglie che il gruppo del Partito Nazionale Monarchico
combatte (basterebbe richiamarsi alla tenace opposizione alla legge di
perequazione tributaria e, particolarmente, al famigerato articolo 17, sul
quale provocò l'appello nominale) furono aperte, leali, coraggiose. Se, nei
confronti del Governo presieduto dall'on. Segni - che decise lo sganciamento
dell'I.R.I. dalla Confindustria così come la "irizzazione" dei
telefoni, che i liberali avallarono, per tacere di altri provvedimenti
legislativi - l'opposizione del Partito Nazionale Monarchico fu costante là
dove erano in gioco provvedimenti legislativi di ispirazione illiberale,
dannosi alla economia dello Stato proprio per la voluta soggezione allo stato
della libera iniziativa, anche nei confronti del Gabinetto dell'on. Segni,
l'opposizione non fu preconcetta ed irosa, ispirata al « tanto peggio tanto
meglio » o obliosa del fronte unico nazionale nelle questioni di natura
internazionale. Non mancò il voto favorevole del Partito Nazionale Monarchico
agli accordi di Parigi, istitutivi dell'Unione Europea Occidentale, come poi al
Trattato per il Mercato Comune anche se sempre, per la voce particolarmente
dell'on. Cantalupo, vennero precisate le necessarie riserve e vennero
coraggiosamente riaffermati i principi di una politica estera ferma e avveduta,
che mai ha dimenticato la visione nazionale della Patria tradizionale inserita
nel divenire del problema europeo e nella realtà della difesa dei regimi
liberi, della civiltà occidentale.
Ma per i riflessi politici del Governo tripartito dove gli
addendi del meno peggio, nella politica interna ed economica, concludevano
sistematicamente al peggio appena si profilò, nella umiliante gara dei
mercanteggiamenti, la possibilità di sottrarre il Paese al palleggiamento delle
responsabilità tra i sodali del Governo che realizzando la politica del'
mercato delle vacche concludeva alle vacche magre, senza nemmeno la possibilità
di una chiara individuazione di responsabilità, il Partito Nazionale Monarchico
si schierò per un Governo monocolore. E fu chiara - per la chiarissima
dichiarazione dell'on. Covelli - la presa di posizione del Partito Nazionale
Monarchico.
ZOLI
I monarchici in Parlamento perspicuamente motivarono il loro
voto favorevole al Governo Zoli con le seguenti fondamentali ragioni:
I.
Il
monocolore di Zoli significava la fine dell'equivoco tripartitico e se anche
non furono gradite talune affermazioni, peraltro non riferite particolarmente
ai Monarchici - nel settore toponomasticamente di destra - ben più
sostanzialmente gravi furono le affermazioni in certo senso vere e proprie
denunce precisate nei confronti degli ex sodali degli esperimenti tri-partitici
dalle quali scattarono le furenti reazioni vuoi (lei social-democratici vuoi
dei liberali.
II.
Col
monocolore di Zoli avviandosi la legislatura alla sua fine - era opportuno,
oltre che doveroso che la Democrazia Cristiana assumesse - partito di
maggioranza relativa - la sua precisa responsabilità ad evitare che, nella
imminenza della lotta elettorale, le fosse possibile ancora destreggiarsi da
sinistra a destra, prendendo pretesto dalla commistione governativa per rendere
impossibile la individuazione delle precise responsabilità di ciascuno e,
quindi, soprattutto del partito di maggioranza relativa.
La fine della legislatura non ne è manifestamente l'inizio.
L'ora della convocazione dei comizi è molto più impegnativa che non quella
dalla quale si può, lungo cinque anni, evadere. E anche sotto il profilo della
logica più stretta e della più stretta coerenza, non varrebbe stabilire
paralleli tra situazioni diverse per pretendere di raffigurare anche
crepuscolari incoerenze.
Un fatto è certo: oggi il governo Zoli opera a seguito di una
investitura parlamentare, nella quale operò decisivamente il Partito Nazionale
Monarchico.
Ma questo - ad onore, più che per la tranquillità del Partito
Nazionale Monarchico - è altrettanto certo: il Partito Nazionale Monarchico non
avendo assunta alcuna responsabilità di governo né avendo assunto impegno a
sostenerlo (avendo, anzi, rivendicata la sua libertà nei confronti delle
singole determinazioni legislative del Governo) ha determinato una
chiarificazione almeno in partenza continuando a camminare per le tappe della
sua costante chiarezza. Non voti sottobanco: voti-bandiera!
Dirà qualcuno, ha detto qualcuno che, con riferimento alla
legge in corso di discussione sui patti agrari. un peggioramento si sarebbe
verificato nei testi; ed è vero che, nel buio delle urne a scrutinio segreto,
si sono determinate contro il parere del Governo delle variazioni peggiorative.
Ma è anche vero che qualche emendamento recentemente votato era già stato
annunciato dal cosiddetti sindacalisti della Democrazia Cristiana prima
dell'avvento del Ministero Zoli, a bandiere spiegate; il che preannunciava
quello che oggi si è determinato. Né si dica che, se si fosse verificato
allora, tra gli auguri del tripartito, quello che oggi si è verificato, avrebbe
funzionato la solidarietà ministeriale. Che cosa avrebbe questo significato? La
crisi? Ogni dubbio è., su questo punto, autorizzato alla luce delle abdicazioni
successive e progressive dei liberali al governò. Ma se anche questo fosse
avvenuto, o sarebbe stata la crisi (quindi il nulla di fatto), o sarebbe stata
la soggezione. Questa sarebbe stata anticipata sull'orologio (di qui la legge
peggiorata). Se fosse stata la crisi forse che il tempo guadagnato contro
l'approvazione della legge sarebbe stato determinante nei giorni? Perché,
ancora, proprio in relazione al calendario sembra estremamente improbabile,
proprio in conseguenza degli introdotti emendamenti contro il parere del
governo, soprattutto per la natura e la portata dell'emendamento Miceli, che la
legge sui patti agrari sia pure a tappe forzate possa giungere, dal Senato, di
ritorno alla Camera prima della fine della legislatura. Che se anche la legge
sui patti agrari (date per ammesse le inammissibili ipotesi di interessata e
meschina formulazione liberale) dovesse passare con qualche peggioramento, è
chiaro che si verificherebbe precisamente la condizione risolutiva
dell'equivoco democristiano nell'ora delle decisioni elettorali (1).
La verità è questa: che almeno sino a questo momento non
risponde ad esattezza che il governo Zoli sia stato più nocivo alle
impostazioni liberali - e del Partito Nazionale Monarchico - di quello che
certamente è stata la successione dei governi quadri e tripartiti: di
derivazione ed osservanza ciellenista. Chi vivrà vedrà. E voterà. Nel frattempo
la battaglia in corso intorno alla legge sul patti agrari vede le scrupolo
attento, la critica vigile particolarmente di un deputato di nostra parte:
l'on. Daniele.
(1) Alla data della pubblicazione del presente opuscolo non è piú campo alle ipotesi: il fatto sta a smentire la polemica «liberale»: la legge sui patti agrari non è passata nemmeno nella tollerante edizione « liberale »!
martedì 30 ottobre 2012
E' successo un fatto nuovo

Il, misero, 30% dei VOTANTI è stato sufficiente ad eleggere un presidente che non ha nessuna maggioranza nel numeroso parlamento siciliano e che quindi o sarà costretto a un indecoroso prostituirsi politico, o, se ha, come speriamo dignità ed onore politico, diciamola pure questa desueta parola, sarà costretto a ridare la parola agli elettori, nella speranza che una nuova tornata elettorale determini situazioni di maggiore "governabilità".
Ma c'è un problema più profondo, più cattivo: la maggioranza dei siciliani ha scelto di non votare e quel parlamento che comunque sarà composto di ben 90 persone legifererà non in nome di una maggioranza ma nel nome di una minoranza assoluta dei siciliani.
In poche parole i siciliani hanno sfiduciato completamente la loro istituzione regionale la cui autonomia era stata opera di Re Umberto II. Un qualsiasi presidente che non fosse espressione di una maggioranza di elettori dovrebbe porsi il problema: "a nome di chi opero?". Del 30% di un 47%? Cioè approssimativamente del 14% per cento dei siciliani?
Ci si chiedono tasse e sacrifici inenarrabili per alimentare non una classe di dirigenti all'altezza della situazione ma una classe di autentici parassiti capaci di usare il danaro pubblico per le cose più vergognose. Ed il popolo ha dato una risposta per la prima volta chiara.
Le istituzioni democratiche in Sicilia non sono più tali in quanto non rappresentative della maggioranza dei siciliani ma di una quota inferiore alla metà degli aventi diritto.
Una democrazia esautorata e sconfessata dai propri vertici e dai prori cittadini.
Che scenari si aprono?
Un nuovo biennio rosso come nel 1919? Una nuova repubblica di Weimar?
Un potere che sarà fuggito come nel 1922 e raccolto da qualche uomo forte qualsiasi?
Staremo a vedere. Manca poco. Ma forse è il caso di incominciare a pensare ad una "rivoluzione", pacifica ed incruenta ovviamente, non sia mai!, ma ad una rivoluzione che ricostituisca quel legame, ovvio, tra Popolo e Stato, tra Nazione e Stato.
Ciò che è stato distrutto dal 13 giugno del 1946 in poi.
"Una Repubblica fondata sul disordine". Se ne accorgono, infine.
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso è incominciato un processo di destrutturazione delle istituzioni
di Francesco Alberoni
A partire dagli anni Sessanta del secolo scorso è incominciato un processo di destrutturazione delle istituzioni. Si è formata quella che Bauman ha chiamato la società liquida, in cui tutte le relazioni sono deboli, prive di consistenza e di durata: la fede politica, quella religiosa, l’adesione a un partito, i rapporti di lavoro, le amicizie, la famiglia. Scompare la capacita di tener fede alla parola data, il senso del dovere, la fiducia negli altri, l’impegno civico e politico, mentre aumenta la corruzione in tutte le sue forme.
Sul piano economico è stata l’epoca delle «deregulation» con invasione dei prodotti cinesi a cui è seguita la speculazione finanziaria selvaggia,che ha messo in crisi la comunità europea e l’Euro. Un disordine che si è ripercosso in Italia dove ha aumentato il marasma politico e sociale.
Ma come sempre accade, dopo le fasi di profondo disordine avviene la reazione e incomincia la ricostruzione. Io sono convinto che l’epoca della società liquida sia al tramonto e stia per iniziare una nuova epoca di ricostruzione. A livello europeo i governi stanno dando nuova efficienza alle istituzioni comunitarie e in Italia abbiamo costituito un governo tecnico di grande prestigio internazionale mentre per la prima volta sugli schermi televisivi appaiono delle cifre e la gente si abitua a discutere di numeri e non di chiacchiere. Si è diffusa una seria volontà di combattere l’evasione fiscale, la corruzione, il malaffare, gli imbrogli. Tutti chiedono rapporti sociali e professionali seri, solidi, fondati su valori.
Purtroppo l’apparato dello Stato fondato sulla Costituzione è arcaico e impedisce vere riforme.
[...]
"Democratici" a corrente alternata
SABATO L'INTITOLAZIONE DI DUE VIALI A RE UMBERTO II E MARIA JOSÈ
Villa Ada, drappi neri sulle targhe dei Savoia
Protesta di alcuni militanti dell'associazione «RomaFutura»: siamo antifascisti e antimonarchici, amiamo la Costituzione
ROMA - Un drappo nero sulle targhe inaugurate sabato scorso per dedicare due viali di Villa Ada, a Roma, all'ultimo re d'Italia, Umberto II, e sua moglie Maria Josè: è il blitz compiuto lunedì pomeriggio, fa sapere un comunicato, da RomaFutura, associazione vicina a Sel, i cui militanti hanno anche esposto manifesti con scritto «RomaFutura è antifascista, antimonarchica e ama la Costituzione!».
[...]
lunedì 29 ottobre 2012
Arieccolo, il Guerri!
Si vede che al
Giornale, quel giornale fondato dal monarchicissimo mai pentito che era Indro
Montanelli, proprio non trovano di meglio. E' pur vero che di storici dalle
nostre parti non abbonda, tutti uniformati al dogma/feticcio della trinità
laica di resistenza, referendum e costituzione, ma insomma... E' ancora il
giornale di Mario Cervi. Ci sarebbe Perfetti.
E
invece sempre con questo Giordano Bruno Guerri che addirittura concede con sussiego che
Umberto II e Maria José meritino dei viali sperduti in un parco (già di loro
proprietà) in quanto non furono traditori.
Ma
complimentoni! Ma grazie! Ma troppo onore fa costui alla storia d'Italia.
Ci
scusi, Signor Guerri, e quando mai qualcuno ha potuto muovere a Re Umberto II
l'accusa di essere un traditore? Forse qualche repubblichino invasato (i quali
peraltro non ci stanno antipatici) che magari le sarà anche più simpatico perché
repubblicano come lei?
E chi altri muove questa accusa che le consente di
titolare in siffatto modo un articolo come il suo?
"Un bel posto insomma, che non verrà molto turbato dall'intitolazione
di un largo e di un viale (senza case) al re Umberto II e a sua moglie, la
regina Maria José."
Infatti no. Qui l'unico turbato ci pare che sia lei che si
erge, non richiesto, ad avvocato difensore del nulla.
"La stessa strada che fecero i Savoia per fuggire
indecorosamente e indegnamente da Roma l'8 settembre 1943. È proprio per l'8
settembre, più che per la lunga alleanza con il fascismo, che i Savoia non sono
ancora stati perdonati del tutto dagli italiani."
Errore, caro il mio STORICO. Errore. La "teoria delle auto che
salvò la continuità dello Stato" nel momento del disastro prese la Via Tiburtina
e infatti si fermarono al castello di Crecchio.
Che c'è? Non c'è scritto negli archivi del Vittoriale? O è
solo l'ennesima svista quando si parla di Re Umberto II?
"E lì il 25 luglio 1943 fece arrestare - con stile
affatto regale, in casa propria - il capo del governo Benito Mussolini, andato
a conferire."
Le cronache dei tempi sono concordi nel dire che il 25 luglio trascorse senza che un solo colpo di pistola fosse sparato. Forse il Re non agì così male, nel supremo interesse della Nazione, che travalicava i suoi doveri di ospitalità ed anche quelli di padre nei confronti della figlia Mafalda che, per non avere avuto adeguate informazioni l'8 settembre cadde nelle mani dei nazisti e vi morì.
Ella avrebbe saputo fare di meglio, Signor Guerri? Certo a 70
anni di distanza sicuramente si possono fare delle belle pensate. Intanto la
traumatica successione di Mussolini dopo 21 anni non fu un disastro. Anzi fu
festa di popolo.
"Siamo pure comprensivi verso sua moglie Maria
José".
Ma
Lei è davvero troppo buono, Signor Guerri, cosa ha mangiato stamane? Pane e nutella,
che ha messo da parte la sua consueta acidità?
Ne
mangi più spesso.
Ma
non lo faccia prima di scrivere del Re.
Lo
faccia invece.
Ps il "capolavoro" del signore con il basso ph è leggibile al seguente link:
Ps il "capolavoro" del signore con il basso ph è leggibile al seguente link:
http://www.ilgiornale.it/news/interni/umberto-ii-e-maria-jos-se-meritano-non-furono-traditori-850633.html
sabato 27 ottobre 2012
Roma, intitolati due viali a Re Umberto II di Savoia e a sua moglie Maria José
Rassegna web
ROMA - A Roma da sabato due viali all'interno di Villa Ada sono intitolati
a Umberto II di Savoia, l'ultimo re d'Italia, e alla regina Maria Josè. Ad
inaugurare le targhe dedicate al «re di maggio» e a sua moglie è stato il
sindaco di Roma Gianni Alemanno. «L'Italia ha avuto una storia lunga e
difficile» ha detto Alemanno prima di scoprire le due targhe a pochi metri da
via Salaria. «Casa Savoia ha unificato l'Italia, con grandi sforzi ed esempi -
ha aggiunto - Ed è proprio l'amore per la nostra Patria quello che oggi ci
unifica tutti e che ci fa dare un tributo per Maria Josè e Umberto II, due
figure controverse che, però, hanno fatto un grande gesto quando, dopo il
referendum, preferirono l'esilio a una possibile spaccatura o guerra civile nel
Paese». Era presente all'evento anche l'assessore alla Cultura, Dino Gasperini,
che ha ricordato come la «decisione di apporre queste targhe è stata presa
all'unanimità dall'Assemblea capitolina come momento di approfondimento a
favore soprattutto delle giovani generazioni».
[...]
I viali dedicati ai Savoia sono all'interno del Parco
di Villa Ada. Alemanno: "Figure controverse che hanno compiuto un
atto di amore verso l'Italia. Umberto II poteva spaccare il Paese dopo il
referendum, ma non l'ha fatto".
Ad inaugurare le targhe dedicate al ‘re di maggio’ e a sua moglie, due
personaggi che hanno avuto un posto importante nella storia d’Italia, è
stato il sindaco di Roma Gianni Alemanno. "Sono due figure sicuramente
controverse", ha detto il primo cittadino. Così come "controversi"
sono stati i risultati del referendum che ha sancito la fine della
monarchia.
"Hanno compiuto un atto
d’amore nei confronti del nostro Paese - ha aggiunto - evitando uno scontro civile dopo il referendum. Umberto II
poteva spaccare l’Italia e non l’ha fatto. Io confermo tutta la fedeltà alle
istituzioni repubblicane, convinto che questo sia il giusto assetto per
l’Italia ma dobbiamo riconoscere a
casa Savoia un ruolo fondamentale dell’unificazione dell’Italia e del Risorgimento".
ROMA - A Roma da sabato due viali all'interno di Villa Ada sono intitolati
a Umberto II di Savoia, l'ultimo re d'Italia, e alla regina Maria Josè. Ad
inaugurare le targhe dedicate al «re di maggio» e a sua moglie è stato il
sindaco di Roma Gianni Alemanno. «L'Italia ha avuto una storia lunga e
difficile» ha detto Alemanno prima di scoprire le due targhe a pochi metri da
via Salaria. «Casa Savoia ha unificato l'Italia, con grandi sforzi ed esempi -
ha aggiunto - Ed è proprio l'amore per la nostra Patria quello che oggi ci
unifica tutti e che ci fa dare un tributo per Maria Josè e Umberto II, due
figure controverse che, però, hanno fatto un grande gesto quando, dopo il
referendum, preferirono l'esilio a una possibile spaccatura o guerra civile nel
Paese». Era presente all'evento anche l'assessore alla Cultura, Dino Gasperini,
che ha ricordato come la «decisione di apporre queste targhe è stata presa
all'unanimità dall'Assemblea capitolina come momento di approfondimento a
favore soprattutto delle giovani generazioni».
http://qn.quotidiano.net/cronaca/2012/10/27/793414-roma-viale-savoia-umberto-maria-jose-alemanno.shtml
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2012/10/27/Roma-viale-dedicato-re-Umberto-II_7703515.html
http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Cronache_e_politica/Roma-viali-Umberto-Jose/27-10-2012/1-A_003226255.shtml
http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-0da72571-f8d3-4127-b710-d03529058176.html
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/lazio/articoli/1066267/roma-intitolata-via-a-umberto-ii.shtml
http://www.romacapitalenews.com/villa-ada-sindaco-scopre-targhe-per-umberto-ii-e-maria-jose/
http://www.youreporter.it/video_Intitolazione_al_Re_Umberto_II_e_alla_Regina_Maria_Jose
http://www.huffingtonpost.it/2012/10/27/umberto-mariajose-viali-intitolati-roma_n_2029424.html
http://www.youreporter.it/gallerie/Intitolazione_al_Re_Umberto_II_e_alla_Regina_Maria_Jose/pag-1
http://notizie.it.msn.com/topnews/a-roma-2-viali-per-umberto-ii-e-mjose-1
http://www.larena.it/stories/Italia_e_Mondo/426146_roma_una_via_a_re_umberto_ii_il_figlio_salme_al_pantheon/
http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Italia_e_Mondo/426193_roma_una_via_a_re_umberto_ii_il_figlio_salme_al_pantheon/
http://roma.repubblica.it/cronaca/2012/10/28/foto/savoia-45446942/1/
http://www.liberaroma.it/word/roma-antifa/avanti-savoia-spinge-alemanno/
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2012/10/27/Roma-viale-dedicato-re-Umberto-II_7703515.html
http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Cronache_e_politica/Roma-viali-Umberto-Jose/27-10-2012/1-A_003226255.shtml
http://www.tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/ContentItem-0da72571-f8d3-4127-b710-d03529058176.html
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/lazio/articoli/1066267/roma-intitolata-via-a-umberto-ii.shtml
http://www.romacapitalenews.com/villa-ada-sindaco-scopre-targhe-per-umberto-ii-e-maria-jose/
http://www.youreporter.it/video_Intitolazione_al_Re_Umberto_II_e_alla_Regina_Maria_Jose
http://www.huffingtonpost.it/2012/10/27/umberto-mariajose-viali-intitolati-roma_n_2029424.html
http://www.youreporter.it/gallerie/Intitolazione_al_Re_Umberto_II_e_alla_Regina_Maria_Jose/pag-1
http://notizie.it.msn.com/topnews/a-roma-2-viali-per-umberto-ii-e-mjose-1
http://www.larena.it/stories/Italia_e_Mondo/426146_roma_una_via_a_re_umberto_ii_il_figlio_salme_al_pantheon/
http://www.ilgiornaledivicenza.it/stories/Italia_e_Mondo/426193_roma_una_via_a_re_umberto_ii_il_figlio_salme_al_pantheon/
http://roma.repubblica.it/cronaca/2012/10/28/foto/savoia-45446942/1/
http://www.liberaroma.it/word/roma-antifa/avanti-savoia-spinge-alemanno/
mercoledì 24 ottobre 2012
Nuovo aggiornamento del sito dedicato a Re Umberto II
Sul sito dedicato a Re Umberto II il messaggio inviato ai giovani del Fronte Monarchico Giovanile nel 1951 per il loro Congresso Nazionale a Firenze.
L'occasione è anche ottima per pubblicare la foto della (mia) Bandiera del Fronte di cui in Rete non si trova alcuna traccia. Affinché la nostra memoria non si perda.
http://www.reumberto.it/fmg51.htm
L'occasione è anche ottima per pubblicare la foto della (mia) Bandiera del Fronte di cui in Rete non si trova alcuna traccia. Affinché la nostra memoria non si perda.
http://www.reumberto.it/fmg51.htm
domenica 21 ottobre 2012
Il partito Nazionale Monarchico - VI parte
L'AZIONE POLITICO-PARLAMENTARE DEL PARTITO
NAZIONALE MONARCHICO
Parallelamente e
in conseguenza delle battaglie elettorali si svolgeva l'azione
politico-parlamentare del Partito Nazionale Monarchico.
Le linee
fondamentali dell'azione politica del Partito sono state fissate dal primo
Congresso Nazionale che, come abbiamo richiamato, si è svolto in Roma nel
dicembre 1949; e dal secondo Congresso Nazionale che si è svolto in Milano nel
dicembre del 1954, successivamente allo sciagurato abbandono con successivi
stillicidi.
La mozione
unificata approvata dal I Congresso è del seguente tenore: « Il primo Congresso
Nazionale del Partito Nazionale Monarchico, udita ed appropriata la relazione
del Segretario Generale del Partito, riafferma la protesta solenne che i
monarchici italiani - in quanto cittadini e democratici - elevano contro il
Referendum del 2 giugno 1946 e l'istanza fondamentale del ritorno all'istituto
monarchico, essenziale per la tradizione italiana del Risorgimento, per la
garanzia dell'equilibrio dei poteri dello Stato, per quello della libertà dei
cittadini e per la pacificazione morale della Nazione, e pertanto afferma che
il problema istituzionale è basilare per ragioni storiche, morali, costituzionali
e politiche che si connettono alle stesse possibilità della vita, dell'unità e
dell'indipendenza del Paese e dichiara:
Per la linea
politica del Partito:
1) nella politica interna: la necessità di
riaffermare l'autorità dello Stato ed il suo dovere di tutelare la libertà in
un regime di diritto nel quale organi statuali e cittadini soggiacciano tutti
del pari all'impero della legge democraticamente stabilita e garantita da una
magistratura indipendente da ogni altro potere dello Stato; riconoscendo la
particolare importanza che ha la tutela della libertà delle minoranze, le quali
soprattutto dalla libertà possono essere vincolate all'osservanza delle leggi
nella fiducia dell'avvicendamento democratico;
2) nella politica estera: la necessità di
una condotta politica fermamente indirizzata verso la revisione del Trattato di
pace nell'intento di tutelare, senza rinunce, ogni diritto italiano
nell'assoluta parità di dignità, di diritti, di doveri di tutte le potenze
unite nell'alleanza atlantica per la difesa comune della civiltà cristiana ed
occidentale, e di una particolare condotta politica intesa a garantire la
espansione e tutelare le condizioni onorevoli del lavoro italiano all'estero;
3) nella politica economica: la necessità
di un indirizzo che affidi la ricostruzione del Paese alle forze sane
dell'iniziativa privata, liberandone l'azione dalle pastoie di un dirigismo che
moltiplica il costo della ricostruzione stessa e ne scoraggia gli sviluppi; e
di una riforma tributaria che non sia vessatoria e quindi dannosa all'economia
nazionale;
4) nella politica sociale: la necessità
della più alta valutazione dei diritti morali e materiali di chiunque lavori,
fondando la collaborazione delle classi in un libero ordinamento sindacale
democraticamente e costituzionalmente articolato, il quale liberi le
organizzazioni sindacali dall'attuale loro soggezione ai partiti politici;
5) nella politica religiosa: la piena riaffermazione
delle convinzioni cattoliche del popolo italiano, nell'affermazione che Fede ed
Unità religiosa sono beni troppo alti perché possano servire a combinazioni
politiche;
6) nell'ordine morale della vita
nazionale: la esigenza di una pacificazione reale e totale che - nella
dimenticanza di ogni odio trascorso e nell'abrogazione per tutti di tutte le
leggi eccezionali e di ogni loro conseguenza penale ed amministrativa,
nonché nella resistenza ad ogni nuova suggestione di leggi eccezionali per
chiunque riconduca tra tutti gli italiani che amano soprattutto la Patria la
piena possibilità di operare insieme per la rinascita dell'Italia ».
I GIOVANI DEL PARTITO
Non certamente priva di interesse è anche,
ai fini dell'esame della traduzione in atto delle premesse ideali, politiche e
sociali del Partito Nazionale Monarchico, la riproduzione del testo della
Mozione approvata dal Congresso Nazionale Giovanile: « Il II Congresso
Nazionale del Movimento Giovanile del Partito Nazionale Monarchico riunito a
Napoli il 27, 28, 29 novembre 1954, constatato che dall'esame della situazione
politica italiana appare necessario iniziare un coraggioso processo di
chiarificazione al fine di determinare le altrui e le proprie responsabilità
storiche, richiama l'attenzione di tutti i cittadini ai loro doveri di
partecipazione totale alla vita dello Stato; indica nel Partito Nazionale
Monarchico, efficiente nel suo apparato e nei suoi quadri, lo strumento
politico più idoneo ad intraprendere quell'azione che il tempo storico
richiede, manifesta la necessità di intraprendere un'azione diretta a spezzare
ogni falso monopolio di democrazia, progresso e socialità ed a riformare un
malcostume che è morale e politico; addita alla Nazione la responsabilità di
una crisi che non è di società ma di metodo e di istituti e che ricade sui
partiti dell'attuale inorganica coalizione governativo – repubblicana, ritiene
che una progressiva azione destinata ad accogliere e risolvere il desiderio di
giustizia sociale del popolo, debba essere accompagnata da un'opera di
educazione politica e di recupero alla democrazia delle masse e nel contempo
debba dimostrare la propria intransigenza politica nei confronti di quelle
formazioni antinazionali e comuniste che speculano sulle necessità degli umili;
auspica un inserimento effettivo della Nazione italiana nella vita
internazionale in considerazione non solo della sua consistenza economica ma
anche della sua capacità di contribuire alla difesa del mondo e del valore
della civiltà occidentale; afferma la necessità della integrazione dei naturali
confini nazionali determinati per diritto storico e determinanti per la unità
morale e spirituale della Nazione ».
Ho voluto riprodurre anche nel suo testo
nobilmente ispirato, idealmente lucido anche se per qualche espressione...
grezza, la Mozione approvata in Napoli dopo la sciagurata secessione, per
onorare l'apporto delle giovani forze del Partito a consacrarne le ampie generose
visioni e per raffrontare ad esse quella che è stata l'azione
politico-parlamentare del P.N.M.
L'azione svolta dal Partito Nazionale
Monarchico nel Parlamento e nel Paese negli undici anni di sua vita ben può
riassumersi - secondo la felice espressione di A. D. Lo Faso - nella fedeltà al
carattere mediatore e moderatore dell'Istituto monarchico.
FEDELTA’ NELLA LEGALITA’
Da ciò ha origine il carattere
rigorosamente legalitario della battaglia monarchica, in tutte le Assemblee -
le amministrative e le politiche - dove il contributo delle competenze, come
dei voti, si è ispirato sempre all'interesse nazionale, non chiudendosi il
Partito Nazionale Monarchico in irose intransigenze, in cupe e cieche
negazioni, mai simulando, mai dissimulando, avvertendo - contro il girellismo -
le oneste elasticità della politica, nella sua significazione più alta e più
degna.
Contro le avventure, contro il
semplicismo, le facilonerie o le torbide insidie il Partito si è sempre
schierato né ha mai contrattato appoggi od operato e vendette in spirito
fazioso.
« Noi - così ebbe ad esprimersi l'ori.
Covelli nella sua relazione di Segretario del Partito nel Decennale della
formazione del Partito - ci siamo sempre comportati, fin dalle prime mosse da
noi compiute come partito politico, in modo -da non costituire il minimo
ostacolo per la formazione della più larga unità anticomunista, di
ricostruzione nazionale e di progresso sociale, per il conseguimento di tutte
quelle che potevano essere le più ragionevoli e legittime aspirazioni di una
politica di centro ». E proprio nel 1956 l'on.le Covelli in un discorso che ben
può considerarsi fondamentale - a spiegare il prima e ad illuminare il poi - si
esprimeva così: «Non c'è stato campo sul quale non siamo stati pronti ad andare
incontro alla Democrazia Cristiana... Noi non possiamo fare a meno di confidare
nella democrazia e negli elettori... Queste non sono da parte nostra delle
dichiarazioni demagogiche. Se non credessimo nella democrazia e negli elettori
non saremmo monarchici. Come potremmo spiegarci altrimenti la Monarchia Costituzionale?
Come potremmo esaltare e difendere l'operato di Vittorio Emanuele III e di
Umberto II? ».
venerdì 19 ottobre 2012
Noi siamo di più
di MASSIMO GRAMELLINI
Da oggi ho uno slogan nel cuore che vale più di tutti gli «Yes we can» del mondo. L’ho sentito fiorire sulle labbra di una ragazza napoletana, prostrata dall'assurdità di una sofferenza insostenibile. Si chiama Rosanna Ferrigno, fa la segretaria in uno studio medico e l’altra sera ha dovuto raccogliere sotto casa il cadavere del promesso sposo, crivellato dalla camorra con quattordici proiettili. I camorristi hanno confuso il suo Lino, che stava andando a giocare a calcetto, con uno di loro. La gratuità del crimine e l’estraneità della vittima hanno scosso l’abulia di una città che da troppi secoli sopporta la malavita organizzata come una forma endemica di malaria. Poi è arrivata Rosanna. Non ha pianto in pubblico, non ha insultato le istituzioni, non ha elargito finti e precoci perdoni. Ma l’amore e il dolore le hanno dettato parole decisive: «Non bisogna avere paura dei camorristi. Sono loro che devono avere paura di noi. Noi dobbiamo continuare a uscire per la strada a testa alta. Sono loro che si devono nascondere. Noi siamo di più».
Noi siamo di più. Non ci avevo mai pensato. Con tutti i nostri difetti - perché ne abbiamo a iosa, sia chiaro - noi siamo di più. Siamo di più dei mafiosi, dei corrotti, dei finanzieri senza scrupoli. Siamo più numerosi di qualunque minoranza coesa che cerchi di dominarci con le armi del potere e della paura. Averne consapevolezza, lo so bene, non basta. Ma è la premessa per svegliarsi dall'incubo e provare a trasformarlo in un sogno. Grazie, Rosanna, per avercelo ricordato.
giovedì 18 ottobre 2012
Umberto II chiese aiuto ai mafiosi? Un articolo di Storiainrete
Naturalmente noi pensiamo che questa sia un'enorme fesseria. Ma ci piace che i nostri lettori siano bene informati.
Scritto da: Dino Messina alle 21:04 del 15/10/2012
Si è sempre saputo e detto, a parte qualche eccezione, che nel referendum istituzionale del 2 giugno 1946 gli inglesi tifarono per la monarchia e gli americani per la repubblica. Ora il numero in edicola di Storia in rete, il mensile diretto da Fabio Andriola, con un articolo firmato da Michele Vaccaro, porta elementi a favore della tesi di un partito monarchico nelle file americane. Fonte dell'articolista sono le memorie del boss mafioso Nicola Gentile (1885-1966), detto Nick negli Stati Uniti, dove operava quale mediatore di Cosa Nostra tra i boss rivali, ed era per questo sotto stretta sorveglianza dell'Fbi, "zu Cola", "Cola l'Americano" in Sicilia.
Come tutte le fonti mafiose, siano esse interrogatori di pentiti o memoriali di boss, anche questo diario di Nick Gentile è da prendere con le molle, ma tuttavia è da leggere. Sostiene dunque il pezzo da novanta della mafia taloamericana che nel 1946, in vista del referendum istituzionale, fu invitato dal tenente americano Max Brod, dei servizi speciali, ad adoperasi "per appoggiare la monarchia in Sicilia". "Io gli promisi - scrive Zu Cola - che avrei dato tutto l'appoggio possibile, servendomi di tutti gli amici siciliani sui quali avrei potuto fare opera di persuasione". Successivamente Brod avrebbe chiesto a Gentile di coonvolgere anche il Gran Maestro della Massoneria, Pietro di Giunta, a sostenere i monarchici. Lo stesso Umberto II avrebbe chiesto l'intervento di Gentile e nella campagna per il referendum avrebbe interessato l'ammiraglio Garofalo.
[...]
La Bandiera d'Italia sul Kilimangiaro
La Bandiera d'Italia sulla cima del Kilimangiaro a coronare l'impresa di Manfredi Landi di Chiavenna e della sua gentile fidanzata Anna Relic. Le nostre congratulazioni per aver completato la scalata e per aver portato in alto, come merita, la Bandiera che ha fatto la Patria.
Un'impresa da prendere ad esempio!
Un'impresa da prendere ad esempio!
Grazie Anna e Manfredi!
IL MISTERO - FINI
di Tommaso Francavilla
Ripercorrendo la storia di un’improvvisa e totale metamorfosi di quello che stato per sedici anni la colonna più solida dell’alleanza berlusconiana, una sorta di numero 1/bis, cui arridevano ancor più alti destini, di una coalizione di cui aveva fino ad allora semmai interpretato l’anima più intransigente, mi sono tornate alla mente tante storie della Prima Repubblica, che hanno visto svoltare repentinamente a sinistra i personaggi più insospettabili, troppo spesso in concomitanza o in prossimità dell’emergere di qualche scheletruccio nei loro armadi, che la possente capacità manipolatoria della comunicazione comunista, fin da allora accompagnata da crescenti quinte colonne nella Magistratura, poteva seppellire sotto una montagna di oblio o disseminare di un oceano di fango, con conseguenze rispettivamente salvifiche o letali per l’interessato. L’ultimo caso era stato quello di un Presidente della Repubblica che, dopo avere trascorso un’intera vita in una condizione di quasi - isolamento all'estrema destra di una DC che scivolava sempre più a sinistra, all'improvviso - dopo un drammatico “non ci sto” a reti unificate - divenne un’icona tanto intoccabile quanto trombonesca della sinistra più chiusa e più rabbiosa.
Di qui un amaro sospetto su quali baratti, se non su quali ricatti, si siano in questi anni di sfascio italiano rette da un lato una svolta politica totalmente proditoria nei confronti del mandato dal Popolo Sovrano, dall'altro la permanenza al di là di ogni decenza sullo scranno della Terza Carica dello Stato di un occupante fazioso ed astioso che ha così comunque alacremente contribuito al discredito complessivo delle Istituzioni e della politica.
Peccato però per il povero signor Tulliani che egli - nella sua sostanziale ignoranza - non abbia letto un testo fondamentale per comprendere l’intero Novecento, che è il “che fare?” di Lenin del 1909, che ha insegnato ai suoi eredi a lusingare ed a retribuire anche generosamente finché servono gli “utili idioti” che si prestino alla causa del loro potere, a spremerli senza scrupoli finché non servono più ed a scaricarli senza pietà quando sono diventati inutili ed ingombranti, non senza lo sputo in faccia di un meritatissimo disprezzo. Abbiamo appreso che gli ‘ndranghetisti” li chiamano “pisciaturi”.
Io riuscirei ad essere anche più volgare.
martedì 16 ottobre 2012
Il Partito Nazionale Monarchico - V parte
LE PRIME BATTAGLIE
Il Partito Nazionale Monarchico nacque, come abbiamo visto, nel giugno del 1946, all'indomani del referendum istituzionale, in seguito ai nuovi orientamenti assunti dal Partito Democratico Italiano che fino allora aveva guidato la battaglia monarchica e che dopo qualche settimana si fondeva - come risulta dal Quaderno del Movimento Giovanile del Partito Nazionale Monarchico col Partito Liberale.
Segretario Generale fu subito nominato l'on. Alfredo Covelli, giovane parlamentare avellinese che già aveva partecipato alla battaglia politica per il referendum e per la Costituente nelle file della Concentrazione Democratico-Liberale del sen. Bergamini.
Pochi mesi dopo la sua costituzione il Partito Nazionale Monarchico ebbe «il battesimo del fuoco» in occasione delle elezioni amministrative di Napoli (autunno del 1946). Tredici Consiglieri eletti nelle liste di « Stella e Corona » rappresentavano il primo di una lunga serie di successi elettorali. Poco dopo l' elezione del monarchico Giuseppe Bonocore alla carica di Sindaco coronava la prima vittoriosa battaglia del giovane Partito.
Durante tutto il 1947 il Partito Nazionale Monarchico irrobustì la propria organizzazione, partecipò alle elezioni amministrative in vari Comuni tra i quali Roma, e parve particolarmente augurale il successo che poi segui in Fasano che voglio ricordare perché da quella affermazione nacque alla storia del Partito un Sindaco-donna: la on. Maria Chicco Bianchi, poi Deputato al Parlamento. Sempre nel 1947- giugno - il Partito Nazionale Monarchico riportò una netta affermazione nelle elezioni regionali siciliane.
La partecipazione alle elezioni politiche del 1948 segnò un nuovo successo del Partito Nazionale Monarchico. Le liste di Stella e Corona ottennero 14 seggi con quasi 800.000 voti, circa 100.000 in più di quelli riportati nel 1946 dal « Blocco Nazionale della Libertà » che raccoglieva allora tutte le forze monarchiche militanti.
Le elezioni sarde del 1949 rappresentarono una tappa memorabile nella cronaca della battaglia monarchica. Il Partito Nazionale Monarchico, infatti, conquistava 66.000 voti contro gli 8.000 delle politiche dell'anno precedente alla fine di una serrata e coraggiosa battaglia.
Le elezioni amministrative del 1951 segnarono nuovi successi: il Partito Nazionale Monarchico conquistava la maggioranza in un capoluogo di provincia (Lecce), aumentava il numero dei propri deputati regionali in Sicilia ed entrava in quella Giunta Regionale, triplicava in Milano i voti del 1948 assicurando due seggi ai suoi candidati. Buone affermazioni si registravano in parecchie città tra le quali Roma e Palermo.
IL 1953
La campagna elettorale politica del 1953 per l'elezione alla Camera e al Senato, vide il Partito Nazionale Monarchico impegnato in una grossa battaglia. Combattuto con ogni mezzo dal partiti della maggioranza governativa che contro di esso, più ancora che contro i socialcomunisti rivolsero tutti i grossi calibri della loro massiccia propaganda, il Partito Nazionale Monarchico riportava un grande successo. Coi voti di «Stella e Corona» entravano alla Camera quaranta deputati e in Senato sedici senatori. I voti raccolti furono oltre 1.800.000. E il Settentrione d'Italia - che sembrava e si voleva chiuso alla riscossa monarchica - mandava in Parlamento due Deputati ed un Senatore.
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