NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 8 marzo 2012

Una nuova moda: il processo ai Savoia

Assistiamo da tempo ad un curioso fenomeno: quello dei processi ai Savoia. Ha incominciato qualcuno come Del Boca, è stato contagiato uno stravagante consigliere comunale di Gaeta ed adesso assistiamo a quest'altra  novità nella Romagna, che per lo meno, a sua discolpa, ha un'antica tradizione in fatto di diffusione delle idee repubblicane. Ci piacerebbe essere invitati una volta ad assistere a questi processi per poter dire la nostra e credo che saremmo ben documentati sull'argomento.
Documentazione che invece non sembra presa in considerazione da chi ha tenuto questo ennesimo "processo", o, perlomeno, da chi ne ha riportato  le motivazioni della sentenza nell'articolo che segue.
Lo staff



“Processo ai Savoia”, anche Pennabilli condanna la dinastia sabauda

PENNABILLI. Si è concluso con un verdetto di condanna il “Processo ai Savoia” celebrato domenica scorsa nella splendida cornice del teatrino della Vittoria. Il processo, organizzato da Pro loco e amministrazione comunale, ha visto alla presidenza della giuria l’avvocato Lorenzo Valenti, sindaco di Pennabilli. Il pubblico che ha votato a scrutinio ha condannato i Savoia senza possibilità: nel segreto dell’urna in 44 hanno bandito la dinastia sabauda mentre in sedici si sono espressi per l’assoluzione. Il pm della requisitoria che sosteneva l’accusa per la condanna dei Savoia è stato impersonato dal giornalista Pietro Caruso, redattore del Corriere Romagna e direttore della rivista di cultura “Il pensiero mazziniano”, mentre la toga della difesa l’ha rivestita Salvatore Di Grazia, avvocato riminese.
Il dibattimento non è stato privo di colpi di scena: Caruso ha portato tre principali motivazioni della condanna nei confronti di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia ma anche il mandante morale e politico del ferimento (con intenzione mortale) di Giuseppe Garibaldi il 29 agosto sull’Aspromonte, di Umberto I che consentì al generale regio Vincenzo Bava Beccaris di cannoneggiare, alzo zero, la folla del proletariato milanese durante l’autunno del 1898 provocando 80 morti, 450 feriti, 1.400 arresti e insignì il generale sanguinario delle alte onorificenze della dinastia e del merito civile. Infine, facile argomentazione, l’accusa contro Vittorio Emanuele III si è appuntata sulla sua condiscendenza verso la marcia su Roma, vero colpo di Stato che concesse immediatamente dopo il potere Mussolini senza neppure passare dalle elezioni, per includere la firma alle leggi razziali anti ebraiche e la vergognosa gestione dell’armistizio con gli alleati firmato il 3 settembre e comunicato l’8 settembre del 1943 non prima che il re d’Italia fosse al sicuro a Brindisi. Brillante la difesa dell’avvocato Di Grazia, abile la strategia difensiva verso Carlo Alberto, il re triste, forte la tutela della tradizione risorgimentale di Vittorio Emanuele II e richiami de amicisiani per Umberto I, ma Vittorio Emanuele III era indifendibile. E con ironia, a conclusione dei verdetti l’avvocato riminese ha commentato la sentenza predendo in prestito una celebre frase di Ettore Petrolini: «A me mi ha rovinato la guerra».

http://www.corriereromagna.it/rimini/valmarecchia/2012-03-06/%E2%80%9Cprocesso-ai-savoia%E2%80%9D-anche-pennabilli-condanna-la-dinastia-sabauda

1 commento:

  1. NOI PROCESSI A FAVORE NON NE SAPPIAMO ORGANIZZARE: SOLO MESSE FUNEBRI !!

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