La chiusura delle celebrazioni di « Italia '61 » ha posto fine ad uno stridente contrasto: quello tra il clima morale, gli uomini, gli ideali di un secolo fa, magistralmente rievocati nella mostra storica a Palazzo Carignano, e gran parte della realtà odierna, particolarmente nei suoi aspetti politici così lontani dagli insegnamenti e dalla tradizione del Risorgimento, mentre il calore patriottico fortissimo raggiunto nei raduni nazionali, tenuti quest'anno a Torino, da alpini, bersaglieri, artiglieri, fanti e marinai d'Italia ha invece dimostrato che, fortunatamente, nell'anima popolare il Risorgimento non è passato invano e che le forze armate sono state effettiva scuola di unità in un popolo, come il nostro, per millequattrocento anni diviso, smembrato, invaso per la sua estrinseca debolezza e spesso per le sue interne inimicizie, funzione questa delle forze armate che già sessant'anni or sono riconosceva Giustino Fortunato, uomo di destra, ma non certo militarista scrivendo: « ... (l'Esercito) in Italia è scuola di civiltà, è l'unità medesima se è vero, come io credo che niente abbia (dell'esercito) giovato e niente giovi più ad inspirarne il concetto nei cuori e nelle volontà delle moltitudini... »
Abbiamo detto diversità di clima specie nel mondo politico e ancor più nel mondo della cultura, tra gli intellettuali, che furono invece nell'ottocento alla avanguardia del movimento di riscossa nazionale, chi con la parola, e chi anche, e furono i più, con l'azione: oggi a parte le interpretazioni e deformazioni che del Risorgimento hanno dato e danno continuamente i marxisti, solo pochi esponenti qualificati di questo mondo, e cioè alcuni storici di chiara fama hanno trovato nelle loro rievocazioni e commenti alle vicende risorgimentali accenti di nobile fierezza nazionale, di vibrante sentimento unitario ed hanno saputo con obiettività, parliamo qui di quelli di notori sentimenti repubblicani, riconoscere il peso determinante avuto dalla Monarchia nel processo formativo dello Stato unitario. Questo silenzio, quando non poi l'irosa negazione dei più, potrebbe farei ritenere ormai sorpassata e non più valida la lezione del Risorgimento e ciò potrebbe anche essere vero se il nostro Risorgimento fosse stato un fatto puramente diplomatico e militare, quale fu pochi anni dopo in Germania la nascita del primo Reich, opera degli junker prussiani Bismark e Moltke. Ma il Risorgimento italiano fu qualcosa di diverso, diciamo pure qualcosa di più del fatto diplomatico e militare, fu un fatto di profondo significato civile che affondò le sue radici nel pensiero e nella cultura di almeno un secolo, per non risalire ai vaticinii di Dante, ed a quelli di Machiavelli ebbe poi una altissima carica ideale, tale da riunire ad un unico scopo e sotto un'unica bandiera gli uomini dalle ideologie e dalle provenienze geografiche e sociali più disparate, ed una sua profonda moralità, costituendo per molti il riscatto e l'Indipendenza della Patria una seconda religione e per altri addirittura l'unica: fu la porta per il progresso economico e sociale aperta da un regime liberale, giovane d'anni, ma maturo di pensiero, fu la strada per la modernizzazione di secolari e decrepite strutture tracciata senza sconvolgimenti da e in una democrazia progressivamente allargatasi nelle coscienze e nel suffragio. Lo stesso « primato degli italiani » che grandi spiriti come Gioberti e Mazzini, sia pure in forme diverse avevano auspicato e propugnato, era primato, era missione (« la Terza Roma ») di rinnovata civiltà e non di predominio egemonico ed a tale primato la nuova Italia mirò, sia pure non con quella costanza ed immediatezza che molti speravano, nei campi Più vari, dalle scienze alle generose esplorazioni.
Lo stesso, sviluppo e potenziamento dell'Esercito e della Marina, oltre a sconsigliare e scongiurare i persistenti timori di gelosie francesi e di rivincite austriache (von Conrad, capo di stato maggiore dell'esercito austriaco, ancora nel 1908, malgrado la Triplice Alleanza e mentre l'Italia era in lutto per il terremoto di Reggio e Messina pensava ad una spedizione punitiva contro di noi) servì, particolarmente nel caso della flotta, a far conoscere, rispettare e se del caso temere la nuova Nazione (vedi le riparazioni e le scuse degli Stati Uniti per il linciaggio di undici nostri connazionali avvenuto nel 1891 a New Orleans, riparazioni che oggi non siamo ancora riusciti ad ottenere dal Congo per il massacro di Kindu!), perchè i profeti e le nazioni disarmate, finchè nel mondo la forza varrà purtroppo più del diritto, sono destinati ad essere sconfitti!
Dunque dal moto risorgimentale uscì uno Stato ed una Nazione, nazione e stato che hanno già retto per un secolo, malgrado il diverso avviso e l'iniziale sabotaggio, degli ambienti temporalisti e legittimistici italiani (usiamo questo ternimie in senso puramente geografico, come oggi parliamo di partito comunista « italiano »). Fulcro di questo Stato e di questa Nazione fu la Monarchia Sabauda: la sua caduta nel 1946 ha ridato vigore alle forze antirisorgimentali e logicamente antiunitarie ed antinazionali, ed alle peggiori tendenze dell'Ita, lia pre-unitaria, ha tolto al popolo quel centro ideale ed allo stesso tempo reale, visibile che umanizzava lo Stato, che riassumeva in sè quei valori spirituali e morali, che nobilitano la vita ed i doveri del cittadino verso lo Stato, ne fortificano la fedeltà, ne consacarno i diritti.
A questo punto non ripeteremo la sacrosanta ma sterile querela di tanti benpensanti contro l'attuale malcostume, facendo i monotoni laudatores temporis acti e respingendo il presente in attesa, di un futuro migliore che, non si sa per opera di chi e come dovrebbe venire, ma ribadiremo l'impegno di operare politicamente, nel presente, in questo momento storico con i mezzi, gli strumenti che i tempi richiedono, perchè questo mutamento avvenga, attenti a non dimenticare i problemi di oggi, a non apparire negatori delle conquiste di ordine materiale cui anche in questi anni si è faticosamente pervenuti, convinti del dovere di dare al presente un'anima, uno scopo non unicamente utilitaristico una serietà, un senso delle cose non particolaristico, una mentalità non settaria, regolandoci insomma come si regolarono Vittorio Emanuele II e Cavour. E ciò significa dinamismo, duttilità elasticità mentale -precedente i tempi, non farsi prendere da alcun problema mettersi alla testa e mai in coda per non essere distaccati o trascinati in movimenti di pensiero, ai movimenti di massa indirizzandoli e risolvendoli nella legge e nella ordinata libertà che favorisce, non nega qualsiasi conquista di democrazia politica economica sociale, ma respinge la demagogia e la violenza sovvertitrice
che dalla forza e sulle piazze crede di imporre la sua volontà.
Risorgimentali quindi e questo spieghi la nostra avversione storica ed attuale a quei movimenti che il Risorgimento negano, o peggio ancora rinnegano, ed anche a quelli che credettero o credono far grande e rispettata l'Italia, dimenticando come l'Italia nacque e prosperò cioè, per voto di plebisciti, confermato nel Parlamento, per l'adesione crescente del popolo alla Monarchia Costituzionale dei Savoia, adesione che si ridusse, ma non, disparve nemmeno il 2 giugno 1946 nell'ora triste del «tolle, tolle », e che noi dobbiamo ricreare, folta e copiosa.
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