Ventimila uomini dell’esercito imperiale asburgico marciavano senza sosta verso Torino, capitale del Ducato di Savoia, guidati da Eugenio di Savoia, il Prinz Eugen. Correva l’anno 1706 e il Piemonte era invaso dalle truppe franco-spagnole, nostre nemiche durante la guerra di successione per il trono di Madrid.
Intorno alle mura della nostra città, chilometri di trincee erano stati scavati per permettere ai fanti del Re Sole di cingere d’assedio i difensori del ducato.
I giorni 6 e 7 settembre ci fu l’attacco rabbioso degli uomini del principe Eugenio con violenti assalti di fanteria prussiana e cariche di cavalleria che come fiumi in piena travolsero accampamenti e compagnie avversarie. Le baionette affondavano nelle pance francesi e le sciabole mozzavano teste spagnole, mentre il concerto malvagio dell’artiglieria faceva sentire i suoi tuoni.
Torino fu liberata dal cappio dell’assedio e i suoi eroi, il duca Vittorio Amedeo II e il Prinz Eugen entrarono in trionfo da Porta Palazzo e il Duomo ringraziava il cielo con le note del Te Deum.
La battaglia fu vinta dai sabaudi per varie ragioni; una di esse fu l’indiscutibile abilità bellica di Eugenio di Savoia, uno dei protagonisti più celebri e in gamba dei campi di battaglia europei a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, periodo di odi dinastici, scontri orientali con i sempre turbolenti turchi e lotte per l’egemonia sul continente mai in pace.
Eugenio è considerato da molti storici come l’ultimo grande capitano di ventura, un mercenario nobile, un condottiero fedele alla casata degli Asburgo (e generosamente ripagato per i suoi sforzi ) che dalla Vienna imperiale resisteva salda in Mitteleuropa alle dolorose spallate degli ottomani da meridione e da Louis XIV da occidente.
Nato nella Parigi del Re Sole, fu decisa per lui la carriera religiosa dall’indiscutibile volere dell’odiato monarca francese, suo tutore. Eugenio, che infine preferì la strada delle lame e del sangue ad una vita di Pater Noster e ostie, fuggì dalla Francia mascherato da donna per riparare presso la protezione
austriaca di Leopoldo d’Asburgo.
Per il giovane guerriero incominciarono i rulli di tamburo da guerra. Battezzò l’acciaio della spada con il sangue turco nella battaglia di Vienna, dove mostrò subito la propria concezione dell’arte bellica: in prima fila a spronare i suoi uomini alla carica e non come altri generali più oziosi che consideravano la guerra come una comoda partita a scacchi da condurre tra gli agi della propria tenda.
Pare che quando andava all’assalto, il suo volto si dipingesse di una smorfia feroce ipnotizzata dalla morte e che incitasse i suoi con grida e imprecazioni, seguito dai suoi sanguinari cani da caccia che si lanciavano eccitati nel macello.
Nelle sue discese in campo venne ferito più volte e in uno scontro coi francesi sul Reno si beccò persino una pallottola in testa che non gli fu però fatale. A Zenta, nel 1697, con un esercito di mercenari un po’ scalcagnato, riuscì a circondare i giannizzeri, che erano le truppe d’elite del Sultano Ottomano, e li massacrò a decine di migliaia. Freddo e risoluto, amava nei momenti di difficoltà in mezzo alla baraonda della lotta sniffare tabacco, di cui le sue narici erano ghiotte.
La sua capacità strategica dettò il corso della storia quando insieme all’amico inglese duca di Malborough affrontò i francesi nella vittoriosa battaglia di Blenheim che di fatto bloccò l’avanzata del nemico fino a Vienna. Una campagna militare che se fosse riuscita, avrebbe cambiato inesorabilmente i destini d’Europa e i suoi assetti di potere.
L’armata del principe fu un vero e proprio esercito internazionale, europeo. Tra i ranghi marciavano e combattevano italiani, tedeschi, spagnoli, svizzeri, francesi, slavi, ungheresi.
Terribile fu l’esperienza della carneficina di Malplaquet, o battaglia dei due re, in Belgio. Sul campo rimasero circa 30.000 uomini. La vittoria fu di nuovo dalla parte di Eugenio; però a quale prezzo! Le truppe imperiali erano ridotte così male che non riuscirono a inseguire i francesi perché semplicemente crollarono sul terreno, esauste dopo ore di botte da orbi senza tirar fiato. Un generale inglese, tale Lord Orkney, disse su quel giorno: “Prego Iddio che questa sia la mia ultima battaglia” .
Tra una ferita e una carica di cavalleria, il Prinz Eugen ebbe anche tempo per spendere parte delle immense ricchezze e bottini accumulati in anni di avventure. Si fece costruire un lussuosissimo castello a Vienna, il Belvedere, che riempì di opere d’arte e volumi preziosi che amava leggere. Nel parco volle pure un ricco giardino zoologico con più di cinquanta specie esotiche tra cui gli amatissimi leoni. Nonostante avesse scherzato con la morte in innumerevoli occasioni, morì in poltrona, addormentandosi per sempre una mattina di aprile del 1737.
Intorno alle mura della nostra città, chilometri di trincee erano stati scavati per permettere ai fanti del Re Sole di cingere d’assedio i difensori del ducato.
I giorni 6 e 7 settembre ci fu l’attacco rabbioso degli uomini del principe Eugenio con violenti assalti di fanteria prussiana e cariche di cavalleria che come fiumi in piena travolsero accampamenti e compagnie avversarie. Le baionette affondavano nelle pance francesi e le sciabole mozzavano teste spagnole, mentre il concerto malvagio dell’artiglieria faceva sentire i suoi tuoni.
Torino fu liberata dal cappio dell’assedio e i suoi eroi, il duca Vittorio Amedeo II e il Prinz Eugen entrarono in trionfo da Porta Palazzo e il Duomo ringraziava il cielo con le note del Te Deum.
La battaglia fu vinta dai sabaudi per varie ragioni; una di esse fu l’indiscutibile abilità bellica di Eugenio di Savoia, uno dei protagonisti più celebri e in gamba dei campi di battaglia europei a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo, periodo di odi dinastici, scontri orientali con i sempre turbolenti turchi e lotte per l’egemonia sul continente mai in pace.
Eugenio è considerato da molti storici come l’ultimo grande capitano di ventura, un mercenario nobile, un condottiero fedele alla casata degli Asburgo (e generosamente ripagato per i suoi sforzi ) che dalla Vienna imperiale resisteva salda in Mitteleuropa alle dolorose spallate degli ottomani da meridione e da Louis XIV da occidente.
Nato nella Parigi del Re Sole, fu decisa per lui la carriera religiosa dall’indiscutibile volere dell’odiato monarca francese, suo tutore. Eugenio, che infine preferì la strada delle lame e del sangue ad una vita di Pater Noster e ostie, fuggì dalla Francia mascherato da donna per riparare presso la protezione
austriaca di Leopoldo d’Asburgo.
Per il giovane guerriero incominciarono i rulli di tamburo da guerra. Battezzò l’acciaio della spada con il sangue turco nella battaglia di Vienna, dove mostrò subito la propria concezione dell’arte bellica: in prima fila a spronare i suoi uomini alla carica e non come altri generali più oziosi che consideravano la guerra come una comoda partita a scacchi da condurre tra gli agi della propria tenda.
Pare che quando andava all’assalto, il suo volto si dipingesse di una smorfia feroce ipnotizzata dalla morte e che incitasse i suoi con grida e imprecazioni, seguito dai suoi sanguinari cani da caccia che si lanciavano eccitati nel macello.
Nelle sue discese in campo venne ferito più volte e in uno scontro coi francesi sul Reno si beccò persino una pallottola in testa che non gli fu però fatale. A Zenta, nel 1697, con un esercito di mercenari un po’ scalcagnato, riuscì a circondare i giannizzeri, che erano le truppe d’elite del Sultano Ottomano, e li massacrò a decine di migliaia. Freddo e risoluto, amava nei momenti di difficoltà in mezzo alla baraonda della lotta sniffare tabacco, di cui le sue narici erano ghiotte.
La sua capacità strategica dettò il corso della storia quando insieme all’amico inglese duca di Malborough affrontò i francesi nella vittoriosa battaglia di Blenheim che di fatto bloccò l’avanzata del nemico fino a Vienna. Una campagna militare che se fosse riuscita, avrebbe cambiato inesorabilmente i destini d’Europa e i suoi assetti di potere.
L’armata del principe fu un vero e proprio esercito internazionale, europeo. Tra i ranghi marciavano e combattevano italiani, tedeschi, spagnoli, svizzeri, francesi, slavi, ungheresi.
Terribile fu l’esperienza della carneficina di Malplaquet, o battaglia dei due re, in Belgio. Sul campo rimasero circa 30.000 uomini. La vittoria fu di nuovo dalla parte di Eugenio; però a quale prezzo! Le truppe imperiali erano ridotte così male che non riuscirono a inseguire i francesi perché semplicemente crollarono sul terreno, esauste dopo ore di botte da orbi senza tirar fiato. Un generale inglese, tale Lord Orkney, disse su quel giorno: “Prego Iddio che questa sia la mia ultima battaglia” .
Tra una ferita e una carica di cavalleria, il Prinz Eugen ebbe anche tempo per spendere parte delle immense ricchezze e bottini accumulati in anni di avventure. Si fece costruire un lussuosissimo castello a Vienna, il Belvedere, che riempì di opere d’arte e volumi preziosi che amava leggere. Nel parco volle pure un ricco giardino zoologico con più di cinquanta specie esotiche tra cui gli amatissimi leoni. Nonostante avesse scherzato con la morte in innumerevoli occasioni, morì in poltrona, addormentandosi per sempre una mattina di aprile del 1737.
Una volta Eugenio di Savoia, il salvatore di Torino, così si rivolse alla giovane Maria Teresa, la futura imperatrice d’Austria: “La pace, mia cara bambina, è meglio di ogni altra cosa al mondo. Tuttavia per difenderla, occorre essere disposti anche a fare la guerra”.
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