NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 28 marzo 2012

Giovanni Paolo II

Relazione del Dr Gianluigi Chiaserotti al Circolo Rex


JOANNES PAULUS P. P. II BEATUS:
UN PAPA NELLA STORIA

Signor Presidente,
Signore e Signori,

ancora una volta, ed è la quarta, un appassionato di quella Signora che viene denominata Storia, ha l’onore di parlare a Voi nel nostro benemerito Circolo.
Ringrazio, innanzitutto, il Presidente ed insigne Collega, avvocato Benito Panariti, tutti indistintamente i membri del Consiglio Direttivo, di cui mi onoro fare parte, e con particolare riferimento all’amico, ing. Domenico Giglio, che mi hanno, indegnamente, ma nuovamente voluto qui quest’oggi per cercar di ricordare, preciso “cercar di ricordare”, e come al solito senza alcuna pretesa,  la figura e l’opera del Beato Giovanni Paolo II, un Papa, un personaggio storico (seppur di storia recente, ma storico) che ho, nel corso dei suoi quasi ventisette anni di pontificato, veramente apprezzato e valutato in ogni istante ed in ogni occasione.
Tra i tanti motivi che mi hanno condotto a codesta “conversazione”, tre sono, senza dubbio, quelli che ritengo da evidenziare.
Innanzitutto, abbiamo assistito, lo scorso 1 maggio 2011, alla Sua veloce Beatificazione. Ma cosa rappresenta ciò?
Un secondo motivo è il L anniversario dell’inizio, il prossimo 11 ottobre, del Concilio Ecumenico Vaticano II, di cui il Nostro, avendovi attivamente partecipato, ha cercato di porre in essere i suoi insegnamenti.
Ma, sicuramente, l’illuminazione più bella, più profonda l’ho avuta nel corso dell’estate 2011, quando, nel tradizionale periodo di riposo, ho letto ed apprezzato il libro “Giovanni Paolo II la biografia” del professor Andrea Riccardi. Libro che mi ha fatto ulteriormente rivivere il suo pontificato, in quanto l’insigne autore traccia un limpido e completo quadro della figura del Pontefice come una grande figura del Secolo XX di cui ne ha espresso appieno la storia.  
Le linee della presente “conversazione” saranno: un breve cenno biografico antecedente l’ascesa al Pontificato; il Pontificato ed i suoi motivi fondamentali, ma anche innovativi, e delle considerazioni finali.

§ 1. Cenni biografici
Karol Jósef Wojtyla nacque a Wadowice, città a cinquanta chilometri da Kraków, Cracovia (Polonia), il 18 maggio 1920.
Era l’ultimo dei tre figli di Karol Wojtyla e di Emila Kaczorowska, che morì nel 1929. Suo fratello maggiore Edmund, medico, morì nel 1932, e suo padre,  sottufficiale dell’esercito, nel 1941. La sorella, Olga, era morta prima che egli nascesse.
Fu battezzato il 20 giugno 1920 nella Chiesa parrocchiale di Wadowice dal sacerdote Franciszek Zak; a nove anni ricevette la Prima Comunione ed a diciotto anni la Cresima.
Terminati gli studi nella Scuola Superiore Marcin Wadowita di Wadowice, nel 1938 Karol Wojtyla si iscrisse alla Università Jagellónica di Cracovia.
Quando le forze di occupazione naziste chiusero l’Università nel 1939, il giovane Karol lavorò (1940-1944) in una cava ed, in seguito, nella fabbrica chimica Solvay al fine di potersi guadagnare da vivere, ma soprattutto per evitare la deportazione in Germania.
A partire dal 1942, sentendosi chiamato al sacerdozio, il Nostro frequentò i corsi di formazione del seminario maggiore clandestino di Cracovia, diretto dall’Arcivescovo [futuro Cardinale (creato il 18 febbraio 1946)]  Adam Stefan Stanislaw Bonifacy Jósef Sapieha (1867-1951).
Nel contempo,  Karol Wojtyla fu uno dei promotori del “Teatro Rapsodico”, anch’esso clandestino.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, continuò i suoi studi nel Seminario Maggiore di Cracovia, nuovamente aperto, e nella facoltà di Teologia dell’Università Jagellónica, fino alla sua ordinazione sacerdotale avvenuta a Cracovia il giorno 1 novembre 1946, proprio per le mani dell’Arcivescovo, cardinale Sapieha.
Successivamente don Karol fu inviato a Roma, dove, sotto la guida del domenicano francese padre Réginald Garrigou-Lagrange (1877-1964), conseguì, nel 1948, il dottorato in teologia, con una tesi sul tema della fede e delle opere di San Giovanni della Croce (“Doctrina de fide apud Sanctum Iannem a Cruce”)  (Juan de la Cruz, 1542-1591), il fondatore dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, beatificato nel 1675, canonizzato nel 1726 e dichiarato Dottore della Chiesa nel 1926.
In quel periodo, nel corso delle sue vacanze, il Nostro esercitò il ministero pastorale tra gli emigranti polacchi in Francia, Belgio ed Olanda.
Nel 1948 il Wojtyla ritornò in Polonia e fu coadiutore, dapprima, della parrocchia di Niegović, vicino a Cracovia, eppoi in quella di San Floriano, in città.
Divenne quindi cappellano degli universitari fino al 1951, anno in cui riprese i suoi studi filosofici e teologici.
Nel 1953 il Nostro presentò all’Università Cattolica di Lublino la tesi: “Valutazioni sulla possibilità di costruire l’etica cristiana sulle basi del sistema di Max Scheler”.
Più tardi, Egli divenne docente di teologia morale ed etica nel Seminario Maggiore di Cracovia e quindi nella Facoltà di Teologia di Lublino.
Il 4 luglio 1958, il Papa Pio XII [Eugenio Pacelli (nato nel 1876), 1939-1958] lo nominò Vescovo titolare di Ombi ed Ausiliare di Cracovia.
Il Nostro ricevette l’ordinazione episcopale il 28 settembre 1958 nella cattedrale di Wawel (Cracovia), dalle mani dell’arcivescovo Eugenisz Baziak (1890-1962).
Il 13 gennaio 1964 il Wojtyla fu nominato Arcivescovo di Cracovia dal Papa Paolo VI [Giovanni Battista Montini (nato nel 1897), 1963-1978] che, in seguito, lo creò e lo pubblicò anche Cardinale nel Concistoro del 26 giugno 1967, del Titolo di San Cesareo in Palatio, Diaconia “pro illa vice” elevata a Titolo Presbiteriale.
L’Arcivescovo Wojtyla partecipò al Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), di cui quest’anno cade il mezzo secolo dal suo inizio, come si diceva poc’anzi. Concilio che fu fortemente voluto dal beato Giovanni XXIII [Angelo Giuseppe Roncalli (nato nel 1881), 1958-1963] con il suo famoso, vibrante e pieno di commozione discorso pronunciato nella Basilica di San Paolo il 25 gennaio 1959. Concilio quindi inaugurato il giorno 11 ottobre 1962, con il celeberrimo discorso “Gaudet Mater Ecclesiae”. E fu proprio il Nostro a giustamente beatificare Giovanni XXIII il 3 settembre 2000.
Il Wojtyla, in questo contesto, dette un validissimo ed importante contributo nell’elaborazione delle costituzioni “Gaudium et Spes” e della “Dignitatis Humanae”, due dei documenti storici più importanti ed influenti pubblicati dal Concilio.
In particolare, nel settembre 1964, intervenne allo schema preparatorio sulla libertà religiosa, evidenziando che nel testo veniva meno di dire che “solo la verità rende liberi”. Nel 1965 diede quindi ulteriormente il suo contributo allo schema preparatorio della “Gaudium et Spes”, pronunciando, il 28 settembre, un ulteriore importante discorso in difesa dell’antropologia personalistica.
Fu nel corso dei lavori delle sessioni conciliari che il futuro Papa conobbe, apprezzò e divenne sincero amico di un giovane teologo bavarese: Josef Ratzinger (1927- ), suo futuro prezioso collaboratore quale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nonché suo naturale Successore al Soglio Petrino.
Il Cardinale Wojtyla prese parte anche alle cinque assemblee del Sinodo dei Vescovi anteriori al suo Pontificato.
Ma la grossa svolta della sua missione pastorale si ebbe nel 1978. I Cardinali, riuniti in Conclave, lo elessero Papa il 16 ottobre 1978, nel giorno della Santa polacca Edvige.
Qualcuno pensa che la sua elezione, come quella del suo predecessore, sia stata frutto di un compromesso. Il Conclave infatti, secondo quanto emerso dai racconti di alcuni cardinali, vide una netta divisione tra due candidati particolarmente forti quali il Cardinale Giuseppe Siri (1906-1989), Arcivescovo di Genova, votato dalla parte dell’ala conservatrice, ed il Cardinale Giovanni Benelli (1921-1982), Arcivescovo di Firenze, molto vicino al Papa Giovanni Paolo I [Albino Luciani (nato nel 1912), 26 agosto-28 settembre 1978] e sorretto dall’ala più riformista del Collegio dei Cardinali.
Sembra che nei primi ballottaggi il Benelli sia arrivato a nove voti dall’elezione, ma il Nostro, in parte grazie al supporto ottenuto da cardinali come Franz König (1905-2004), Arcivescovo di Vienna, ed altri che avevano in precedenza appoggiato il cardinale Siri, venne eletto con grande stupore di tutto il mondo, e ciò con 99 voti su 111 (Giovanni Paolo I ne aveva ottenuti 98).
Quindi, come si diceva poc’anzi, il 16 ottobre 1978, all’età di cinquantotto anni, Karol Wojtyla succedette a Papa Giovanni Paolo I.
Al momento dell’elezione il Nostro avrebbe voluto assumere il nome di Stanislao I in onore del Santo Patrono della Polonia. Tuttavia, poiché i cardinali gli fecero notare che era un nome  non rientrante nella tradizione romana, Wojtyla scelse quello di Giovanni Paolo, in ricordo del suo insigne predecessore, ed al fine di tener viva la sua memoria. Al riguardo disse: “Scelsi gli stessi nomi, che aveva scelto il mio amatissimo predecessore Giovanni Paolo I. (…) un binomio di questo genere era senza precedenti nella storia del papato – ravvisai in esso un chiaro auspicio della grazia sul nuovo pontificato. (…)” e “Scegliondoli” (i due nomi) “(…) desidero esprimere il mio amore per la singolare eredità lasciata alla Chiesa dai Pontefici Giovanni XXIII e Paolo VI, e insieme la personale mia disponibilità a svilupparla con l’aiuto di Dio”.
L’annuncio della sua elezione (l’”Habemus papam”) fu dato dall’allora cardinale protodiacono Pericle Felici (1911-1982).
Pochi minuti dopo il neo-Papa si presentò alla folla riunita in piazza San Pietro, affacciandosi dalla loggia che sovrasta l’ingresso della Basilica. Nel suo breve discorso egli si definì come “il nuovo Papa chiamato di un paese lontano” e superò immediatamente le diffidenze degli italiani, che vedevano, per la prima volta da lungo tempo, un pontefice straniero, e ciò dai tempi in cui ascese al pontificato l’olandese Adriano Florensz, Adriano VI (nato nel 1459), che fu papa dal 1522 al 1523.
Prese, come abbiamo detto, il nome di Giovanni Paolo II, ed il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero Petrino, quale CCLXII Successore dell’Apostolo.
Egli, devoto alla Madonna, iscrisse la cifra mariana nella sua vita e nel suo pontificato. “Totus tuus”, fu il motto dell’Arcivescovo di Cracovia e del Papa (unitamente allo stemma con una “M” sotto la croce, che fece scandalo tra gli araldisti vaticani), proveniente dalla formula di affidamento a Maria di San Luigi Maria (Louis-Marie) Grignion de Montfort (1673-1716) (beatificato nel 1888 e canonizzato nel 1947), che inizia con le seguenti parole: “Totus tuus ego sum et omnia mea Tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor Tuum, Maria”.    
Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato quasi ventisette anni. Comunque è il terzo pontificato in assoluto più lungo dopo quelli di San Pietro (martirizzato nel 67), del beato Pio IX  [Giovanni Battista Mastai Ferretti (nato nel 1792), 1846-1878],  quasi trentadue anni (beatificato, tra l’altro, dal Nostro il 3 settembre 2000), e prima di quello di Leone XIII [Vincenzo Gioacchino Pecci (nato nel 1810), 1878-1903] oltre venticinque anni. Al riguardo nel testamento di Giovanni Paolo II è riportato un vaticinio del cardinale Stefan Wyszyńsky (1901-1981), l’allora Primate di Polonia, e cioè: “Il compito del nuovo papa sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio”. E sappiamo che così è stato.
Il nuovo Papa fu immediatamente innovativo.
Infatti volle iniziare il suo pontificato rendendo omaggio ai due Patroni d’Italia. E così il 5 novembre 1978 visitò Assisi, per venerare San Francesco, e successivamente si recò anche nella Basilica romana di Santa Maria sopra Minerva, al fine di venerare la tomba di Santa Caterina da Siena.
Il 12 novembre Giovanni Paolo II prese possesso, come Vescovo di Roma, della Cattedra di San Giovanni in Laterano, ed, in codesta Sua veste, il 5 dicembre compì la prima, di una lunga serie di visite, alle parrocchie della Diocesi di Roma, iniziando con quella di San Francesco Saverio nel popolare quartiere della Garbatella.

§ 2. Il Pontificato ed i suoi motivi fondamentali
Il lungo, intenso, ma anche innovativo Pontificato di Giovanni Paolo II ha tanti motivi su cui riflettere sia per la personalità eclettica del Papa, sia per i momenti storici avvicendatisi attraverso gli anni, sia anche per la natura del Pontificato, tradizionale per certi aspetti e temi, ma in continua evoluzione per altri.
Vediamo quindi di cercar di analizzare alcuni dei motivi fondamentali che hanno caratterizzato, ma anche evidenziato l’opera pastorale del Nostro.
Ma codesti motivi fondamentali hanno, senza dubbio, il loro naturale prologo nel bellissimo pensiero che Giovanni Paolo II pronunciò nel Suo discorso di inizio del Pontificato il 22 ottobre 1978:
Non abbiate paura (…). Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!
Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati,
i sistemi economici, come quelli politici,
i vasti campi della cultura, di civiltà, di sviluppo.
Non abbiate paura!
Cristo sa cosa è dentro l’Uomo. Solo Lui lo sa!
Ed Egli fu fedele sino alla fine a detto pensiero.
Innanzitutto il Pontefice ribadì ripetutamente la dignità dell’uomo ed il diritto alla vita, come fondamento di tutte le posizioni assunte in tema di morale.
Ogni individuo è “unico e irripetibile” ed ogni persona, in quanto è ad “immagine e somiglianza di Dio”, ha una dignità che non è acquisita con meriti, ma è data fin dalla nascita.
 Il diritto naturale secondo San Tommaso d’Aquino (1225-1274) discende dal diritto divino, da un volere del creatore che ha imposto tali leggi alla natura creata.
La vita è un diritto in quanto dono di Dio, il Solo che può darla e toglierla.
Il diritto alla vita è per il pontefice il fondamento di ogni altro diritto: della persona, dell'esistenza di una giustizia e di un sistema di diritti a suo riguardo.
Il 10 gennaio 2005, nel corso dell’ultimo incontro di inizio d’anno con il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il Beato Giovanni Paolo II  antepose a tutti i problemi dell'umanità, compresa la fame, il tema della “sfida della vita” contro quella che definì come “cultura della morte”, rappresentata da aborto, fecondazione artificiale, clonazione, eutanasia, unioni civili e matrimoni omosessuali, dichiarando che “lo Stato ha come suo compito primario proprio la tutela e la promozione della vita umana”.
Il tema della “cultura della morte” e la condanna di essa ricorre in numerosi pronunciamenti del Nostro.
La sua dottrina ha difeso fortemente la vita umana dal concepimento fino alla morte naturale. Questa posizione è stata per qualcuno di stampo conservatore, mentre altri l'hanno considerata un baluardo nella difesa dei più deboli e della vita.
Nell'Enciclica “Evangelium vitae” del 25 marzo 1995 definì “democrazie totalitarie” gli stati democratici che consentono l'interruzione volontaria della gravidanza.
Il Papa si è espresso contro l'ordinazione al sacerdozio di donne e tale posizione fu ribadita con la lettera apostolica “Mulieris dignitatem” il 15 agosto 1988 e successivamente il 22 maggio 1994 nella lettera “Ordinatio sacerdotalis”.
Sull'ipotesi che per tale pronunciamento si fosse avvalso dell'infallibilità papale intervenne dapprima la Congregazione per la Dottrina della Fede, con il suo “Responsum” in data 28 ottobre 1995, a firma dell'allora Prefetto, cardinale Joseph Ratzinger.
In questo documento si afferma che la suddetta dottrina “proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale”, è proposta dalla Lettera Apostolica “Ordinatio Sacerdotalis” con una dichiarazione formale e deve essere considerata come appartenente al deposito della fede.
 In seguito lo stesso Giovanni Paolo II, nel discorso ai vescovi tedeschi del 20 novembre 1999 (n. 10), affermò: “l'insegnamento sul sacerdozio riservato agli uomini riveste il carattere di quella infallibilità che è legata al Magistero ordinario e universale della Chiesa”.
Come Papa Paolo VI, anche Giovanni Paolo II intervenne più volte in difesa del celibato ecclesiastico nel rito latino, dichiarando che mantenerlo sarebbe stato positiva soluzione al calo delle vocazioni. Tra i motivi elencati in favore del celibato, il Pontefice citò il maggior tempo da dedicare alla parrocchia/comunità, e il fatto che il sacerdote debba non pensare ai beni terreni.
Ha confermato la posizione della Chiesa contraria all'ammissione di cattolici divorziati risposati o conviventi con altri, al sacramento dell'eucaristia nell'esortazione apostolicaFamiliaris consortio” del 22 novembre 1982.
Il 22 novembre 2001 il Nostro ha nuovamente espresso tale posizione ai presuli dell’Oceania, dopo che erano stati sollevati dei dubbi nel corso del loro Sinodo, tenutosi nell’Urbe nel 1998, e nella Enciclica “Ecclesia de Eucarestia” del 2003.
Il 15 agosto 1997, con la lettera apostolica “Laetamur Magnopere”, il Papa approvò e promulgò in modo ufficiale il Catechismo della Chiesa Cattolica, e ciò alla luce della Tradizione, ma anche autorevolmente interpretata dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Il nuovo Catechismo fu però  accolto con diverso umore dai vari ambienti cattolici.
Uno dei temi più controversi riguardava la pena di morte. Pur essendovi una decisa condanna di tale pena, questa non è totale. Una successiva riscrittura ha eliminato molti dubbi, coniugando il rispetto della dottrina precedente (nello Stato Pontificio si praticava la pena di morte, così come in quasi tutti gli stati dell'epoca) con l'affermazione secondo cui al giorno d'oggi i casi in cui tale pena è lecita sono praticamente inesistenti.
Più volte il Sommo Pontefice si è espresso contro le sperimentazioni nella liturgia, in un chirografo del 22 novembre 2003 dichiarò che “il sacro ambito della celebrazione liturgica non deve mai diventare laboratorio di sperimentazioni o di pratiche compositive ed esecutive introdotte senza un'attenta verifica”, posizione ripetuta nella lettera apostolicaSpiritus et Sponsa” del 4 dicembre 2003 in occasione del quarantesimo anniversario della costituzione sulla liturgia del Concilio Ecumenico Vaticano II.
In precedenza il 24 maggio il cardinale Darío Castrillón Hoyos (1929- ) aveva celebrato, a nome del Papa, una messa con rito tridentino nella basilica di Santa Maria Maggiore in Roma.
Al riguardo desideriamo ricordare anche l’atteggiamento del Nostro nei confronti del vescovo Marcel Lefebvre (1905-1991), al quale il Papa concesse essenzialmente di poter celebrare la Santa Messa secondo il rito precedente al Concilio, quello tridentino appunto. Il vescovo, grazie anche alla mediazione dell’allora cardinale Ratzinger, sembrò accordarsi con la Santa Sede. Purtroppo il Lefebvre, incapace di ritornare nel quadro della Chiesa, nel 1988 ordinò quattro nuovi vescovi  senza l’autorizzazione di Roma, considerando, tra l’altro le concessioni fattegli scarse.
Per la Santa Sede fu un “atto scismatico”, che portò automaticamente alla scomunica.
Papa Giovanni Paolo II ha viaggiato estesamente ed è entrato in contatto con molte diverse fedi, senza mai cessare di ricercare con esse un terreno comune, etico, dottrinale o dogmatico. Ha stabilito contatti con Israele, ed inoltre è stato il primo pontefice romano, dopo San Pietro, a pregare in una sinagoga visitando il 13 aprile 1986 quella di Roma.
Giovanni Paolo II ha scritto e parlato molto sull'argomento delle relazioni della Chiesa con gli ebrei, ed ha spesso reso omaggio alle vittime dell'olocausto in molte nazioni.
È stato il primo Papa ad aver visitato il campo di concentramento di Auschwitz in Polonia, nel 1979. Fu uno dei pochi papi ad essere cresciuto in un clima di fiorente cultura ebraica, che era tra le componenti chiave della Cracovia dell'epoca pre-bellica. Il suo interesse per la cultura ebraica risaliva quindi alla prima gioventù, nella sua Wadowice, Karol infatti era, sin dall’infanzia, amico di molti ragazzi di religione ebraica in quanto considerava cattolici ed ebrei “tutti figli dello stesso Dio”.  Ed anche nel suo Testamento così ricorda il Rabbino Capo di Roma Elio Toaf (1915- ): “con grata memoria (…) anche tanti fratelli cristiani – non cattolici! E il rabbino capo di Roma (…)”.
Nel marzo 2000, il Nostro si recò nel memoriale dell'olocausto di Yad Vashem in Israele e toccò il Muro occidentale di Gerusalemme, uno dei luoghi più sacri del popolo ebraico, promuovendo la riconciliazione tra cristiani ed ebrei.
La Lega Anti-Diffamazione ha recentemente dichiarato: “La Lega Anti-Diffamazione si congratula con papa Giovanni Paolo II in occasione del 25º anniversario del suo pontificato. Il suo profondo impegno nella riconciliazione tra la Chiesa cattolica ed il popolo ebraico è stato fondamentale per il suo pontificato. Gli ebrei di tutto il mondo sono profondamente grati al Papa. Egli ha sempre difeso il popolo ebraico, come sacerdote nella sua natia Polonia e durante il suo pontificato... Preghiamo che rimanga in salute per molti anni a venire, e che ottenga molto successo nella sua opera santa e che le relazioni tra cattolici ed ebrei continuino a prosperare”.
Nel febbraio 2005, l'agenzia Reuters pubblicò estratti dal nuovo libro del pontefice, il suo quinto, “Memoria e identità”. In esso, il Papa sembra comparare l'aborto all'Olocausto, dicendo: “C'è ancora, tuttavia uno sterminio legale di esseri umani che sono stati concepiti ma non sono ancora nati. E questa volta stiamo parlando di uno sterminio che è stato permesso da, niente di meno, parlamenti scelti democraticamente dove normalmente si sentono appelli per il progresso civile della società e di tutta l'umanità”. Un dirigente del Consiglio centrale ebraico tedesco definì il confronto inaccettabile. Il cardinale Joseph Ratzinger mise da parte le sue cariche, dicendo che il papa “non stava provando a mettere l'Olocausto e l'aborto sullo stesso piano” ma soltanto stava avvertendo che la malvagità alligna dappertutto, “anche nei sistemi politici liberali”.
In codesto spirito di dialogo, anche il Dalai Lama, guida spirituale del Buddhismo tibetano, ha avuto incontri con Giovanni Paolo II, più di ogni altro singolo dignitario, trovandosi spesso di comune opinione.
Il 27 ottobre 1986 si svolse ad Assisi una giornata di incontro tra le grandi religioni, indetta da Giovanni Paolo II. In tale circostanza, le differenti religioni “si sono dichiarate concordi nel riconoscere che, per diverso che sia il nome di Dio da esse invocato, la ricerca della pace per le vie della nonviolenza è la pietra di paragone dell'obbedienza alla sua volontà”.
Ma sicuramente, una direttrice costante del pontificato del Nostro è la Sua non comune attenzione rivolta ai paesi dell’Europa Centrale ed Orientale, in quanto aveva anche una visione particolare e tradizionale dell’Europa medesima.
Il Nostro era una personalità non facilmente classificabile al momento dell’elezione. Oltre a non essere italiano, Egli era slavo in quel 1978, anno in cui l’Europa occidentale era più che lontana da quella Orientale.
Comunque se Egli non era italiano, era almeno europeo. Tra i papi del Secolo XX Giovanni Paolo II è quello che gode il più vasto interessamento sulle vicende dell’Europa non solo per la lunghezza del pontificato, ma anche per un Suo particolare interesse specifico. Sin dai primi Suoi discorsi (Polonia 1979) ha sempre insistito sulla dimensione naturalmente unitaria dell’Europa. Egli parla di una grande Europa, nonostante gli accordi di Jalta, come solo il generale Charles de Gaulle (1890-1970) aveva osato.
Il Nostro sogna una grande Europa e ne rivendica le naturali radici cristiane, fondamento della sua unità, quasi come quella Carolingia che Pio XII salutò con partecipazione. Il Wojtyla restò sempre convinto che l’unità del Vecchio Continente è un obiettivo epocale, che puo’ sostenere e non indebolire la medesima fede cristiana, anche nel confronto con i paesi extraeuropei.
Ma codesta Sua fede nell’Europa ha un retaggio antico. Infatti il padre del Sommo Pontefice, nativo della Galizia, fu un cittadino dell’impero absburgico e che lo servì quale militare. Al riguardo è bene ricordare che le reminiscenze papali absburgiche non sono negative. Infatti nel corso della visita in Vaticano dell’ultima imperatrice d’Austria e Regina d’Ungheria, Zita di Absburgo-Lorena (1892-1989), vedova dell’ultimo imperatore Carlo (1887-1922), il Papa, fuori dal rigido protocollo, accompagna per le stanze del Palazzo Apostolico la sovrana, confusa da tale cortesia, motivando appunto questo nobile gesto con il fatto che il padre del Papa aveva servito l’esercito absburgico.
E fu Giovanni Paolo II a proclamare beato, nel 2004, lo stesso Carlo I d’Absburgo-Lorena, e ciò nello stupore generale soprattutto per chi considerava non sopite le responsabilità di tale Dinastia nella Prima Guerra Mondiale.     
Ecco, quindi, come l’azione decisa dal Papa al fine di rafforzare la Chiesa ha fatto considerare di grande importanza il Suo contributo alle vicende, ormai storiche, che hanno portato nel 1989 alla caduta dei regimi comunisti, estranei alla tradizione europea, ed al ristabilimento in codesti paesi della gerarchia cattolica e del rispetto per la stessa.  Il papa chiaramente non ha mai approvato che il cristiano possa schierarsi con la sinistra (per una serie di motivi, tra cui l’uso della violenza, il marxismo, l’influenza sovietica), ma non fu anche mai disposto a fare della Chiesa un baluardo ed un sostegno dei regimi conservatori.
Ma questa polemica serrata contro il comunismo, seguì anche la critica della logica disumanizzante del capitalismo e della pura economia di mercato avviata alla globalizzazione.
Per queste Sue doti di grande democrazia e vocazione europeista, il Papa ha ricevuto il prestigioso Premio “Carlo Magno” in Acquisgrana il 24 marzo 2004.
Altra direttiva fondamentale del pontificato del Beato è senza dubbio la Sua particolare e spettacolare attenzione per i giovani, i c. d. “Papa Boys”. Il suo amore per i giovani lo ha spinto ad iniziare, nel 1985, le Giornate Mondiali della Gioventù. Le diciannove edizioni che si sono tenute nel corso del Suo Pontificato hanno visto riuniti milioni di giovani in ogni parte del Mondo, con il Papa, giovane fra i giovani. Infatti per il Lui, i giovani hanno il dovere di continuare “la missione messianica di Cristo”, come scrive nel suo “Carissimi giovani” (Milano 1995) in quanto saranno i cristiani di domani, a cui spetta di porre le basi per un mondo migliore.
E furono essenzialmente i c. d. “Papa Boys” che, nel corso delle esequie del Nostro, il giorno 8 aprile 2005, più volte lo invocarono come “Santo subito”.
Altro primato del Beato Giovanni Paolo II fu il 14 novembre 2002, in occasione della prima visita assoluta di un romano Pontefice al Parlamento Italiano riunito in seduta comune nell’Aula del Palazzo Montecitorio, con la Sua chiara e limpida presa di posizione in merito all’eventualità di un indulto per alleggerire la congestionata situazione delle carceri italiane.
Il 13 maggio 1981 il Nostro subì un attentato, quasi mortale, da parte di Mehmet Ali Ağca, un killer professionista turco, che gli sparò due colpi di pistola in piazza San Pietro, pochi minuti dopo che Egli era entrato nella piazza per un'udienza generale, colpendolo all'addome. Wojtyła fu immediatamente soccorso, e sopravvisse, ma ciò solo a seguito di un delicatissimo intervento chirurgico.
Due giorni dopo il Natale del 1983, il Papa volle andare in prigione per incontrare il suo attentatore e porgergli il suo perdono. Il Papa disse poi dell'incontro: “Ho parlato con lui come si parla con un fratello, al quale ho perdonato e che gode della mia fiducia. Quello che ci siamo detti è un segreto tra me e lui”. L'attentatore era stato condannato alla pena dell’ergastolo. Nel 2000 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli concesse la grazia: Ali Ağca, estradato dall'Italia, fu condotto nel carcere di massima sicurezza di Kartal (Turchia). Ali Ağca non ha mai voluto rivelare in modo chiaro la verità, ed ha ripetutamente cambiato versione sulla dinamica della preparazione dell'attentato, a volte suggerendo di aver avuto aiuti dall'interno del Vaticano. I documenti analizzati dalla commissione Mitrokhin dimostrerebbero che l'attentato fu progettato dal KGB in collaborazione con la polizia della Germania Orientale (Stasi) e con l'appoggio di un gruppo terroristico bulgaro a Roma, che a sua volta si sarebbe rivolto ad un gruppo turco di estrema destra, i Lupi grigi. Una relazione di minoranza della stessa commissione negò questa tesi; tuttavia, altri documenti scoperti negli archivi sovietici e resi pubblici nel marzo 2005 sostengono la tesi che l'attentato sia stato commissionato dall'Unione Sovietica.
Le motivazioni che avrebbero portato l'URSS a preparare l'attentato non sono state mai chiarite; probabilmente, l'Unione Sovietica temeva l'influenza che un Papa polacco poteva avere sulla stabilità dei loro Paesi satelliti dell'Europa Orientale, in special modo la Polonia.
Un'altra ipotesi (non necessariamente contraddittoria alla prima) è quella del coinvolgimento della mafia nell'attentato, suffragata dal memoriale di un pentito.
Tutte codeste informazioni vanno considerate alla stregua di ipotesi, perché ad oggi non sono state comprovate le circostanze e le motivazioni dell'attentato stesso.
Un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede analizza l'attentato, mettendolo in relazione con l'ultimo dei Segreti di Fatima. L'attentato è avvenuto nel giorno della ricorrenza della prima apparizione della Madonna ai pastorelli di Fatima, e Giovanni Paolo II, convinto che fu la mano della Madonna a deviare quel colpo ed a salvargli la vita, volle che il bossolo del proiettile fosse incastonato proprio nella corona della statua della Vergine. Ciò accadde appunto a Fatima il 13 maggio 1982, esattamente un anno dopo il vile attentato.
E fu nel corso di tale viaggio che il Re Umberto II di Savoia (1904-1983), di già sofferente, volle egualmente incontrare (come fu, nel 1967, con Paolo VI) il Papa nella Nunziatura Apostolica di Lisbona. In quell’occasione il Re decise di donare al Papa stesso la Sacra Sindone, di proprietà della sua Casa sin dal 1453.
Senza dubbio l’attentato fu anche il prologo dei problemi di salute del Nostro, il quale cominciò il suo pontificato in ottima forma fisica e morale.
Era un uomo relativamente giovane che, diversamente dai suoi predecessori, faceva abitualmente escursioni, nuotava e sciava. Tuttavia, dopo oltre venticinque anni trascorsi intensamente sul seggio papale, l’attentato appunto ed un gran numero di traumi fisici, la sua salute cominciò a declinare. Fu vittima di un tumore al colon che gli venne rimosso nel 1992, si slogò una spalla nel 1993, si ruppe il femore nel 1994 e subì l'appendicectomia nell'ottobre del 1996.
Nel 2001 venne stabilito, nel corso di una visita ortopedica, che, come alcuni osservatori internazionali sospettavano da tempo, Giovanni Paolo II soffriva del morbo di Parkinson. Ciò venne ufficialmente confermato dal Vaticano nel 2003. Oltre all'evidente tremore alla mano, cominciò a pronunciare con difficoltà più frasi di seguito, e vennero notati anche alcuni problemi uditivi. Soffriva anche di un'artrosi acuta al ginocchio destro, che aveva sviluppato in seguito all'applicazione di una protesi all'anca. Nonostante questi disagi, continuò a girare il mondo. Disse di accettare la volontà di Dio che lo faceva Papa, e così rimase determinato a mantenere la Sua missione fino alla morte, o finché non sarebbe diventato mentalmente inabile in maniera irreversibile. Coloro che lo hanno incontrato dicono che, sebbene provato fisicamente, sia sempre stato perfettamente lucido.
Nel settembre 2003, il cardinale Joseph Ratzinger disse “dovremmo pregare per il Papa”, sollevando serie preoccupazioni circa lo stato di salute del Pontefice.
Il giorno 1 febbraio 2005 fu ricoverato all'Ospedale Gemelli di Roma, e ciò fino al 10 febbraio; successivamente fu costretto a saltare gran parte degli impegni previsti per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute.
Il 27 marzo, giorno di Pasqua, apparve alla finestra su piazza San Pietro, ma per poco tempo.
L’allora Segretario di Stato, cardinale Angelo Sodano (1927- ), attuale Decano del Sacro Collegio Cardinalizio, lesse il messaggio “Urbi et Orbi” ed il Papa benedisse la folla di mano sua. Tentò di parlare, ma, fra la commozione generale, non vi riuscì.
Il 30 marzo, mercoledì, il Papa apparve alla finestra su piazza San Pietro nuovamente per poco tempo. Tentò inutilmente di parlare. Fu l'ultima volta che si mostrò in pubblico prima di morire.
Il Papa morì in Vaticano il 2 aprile 2005, alle ore 21,37, mentre volgeva al termine il sabato e si era di già entrati nel giorno del Signore, Ottava di Pasqua, la Domenica della Divina Misericordia  (quella che era denominata “in Albis”), da Lui stesso istituita (2000), e ciò secondo il messaggio della Suora polacca Faustina Kowalska (1905-1938), che Egli beatificò (1993) e canonizzò (2000). Il messaggio testualmente dice: “Voglio che l’immagine (…) venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua: questa domenica deve essere la festa della Divina Misericordia”.
Da quella sera e fino al 8 aprile, giorno in cui ha avuto luogo il rito delle Esequie del Sommo Pontefice, più di tre milioni di pellegrini sono confluiti a Roma per rendere omaggio alle sue Spoglie Mortali, attendendo in fila fino a ventiquattro ore pur di poter accedere alla Basilica di San Pietro. E’ morto, senza dubbio, un grande della storia nell’accezione corrente e, quindi, i grandi del mondo non poterono mancare alle sue esequie, e ciò per un totale di centosettantadue paesi ed organizzazioni internazionali.
Scrive al riguardo il professor Riccardi: “(…) Il funerale cattolico di Wojtyla raccoglie tanti mondi diversi, pur divisi dai conflitti. Riunisce i grandi del mondo con i rappresentanti delle religioni. Ma anche commuove tanta gente, cattolici e non. L’evento è, in un certo senso, l’epifania della sua vita. (…).”  
Il 28 aprile successivo, il Santo Padre Benedetto XVI ha concesso la dispensa dal tempo di cinque anni di attesa dopo la morte, per l’inizio della causa di beatificazione e canonizzazione del Suo Predecessore.
La causa è stata aperta ufficialmente il 28 giugno 2005 dal cardinale Camillo Ruini (1931-), allora Vicario Generale per la Diocesi di Roma, il quale, il 2 aprile 2007, a due anni dalla morte del Pontefice, ne ha dichiarata conclusa la prima fase diocesana del processo di beatificazione. Il miracolo attribuito al Papa, necessario per il riconoscimento di qualunque beato, è stata la guarigione dal morbo di Parkinson (di cui, come ho poc’anzi ricordato, lui stesso soffriva) della religiosa francese suor Marie-Simon-Pierre Normand (1961- ), della Congregazione delle Piccole Suore della Maternità.

§ 3. Considerazioni finali
Il secolo scorso ha assistito al trionfo ed alla caduta di grandi speranze e di grandi ideologie che, nel nome di radicali trasformazioni dell’assetto sociale e con l’appoggio degli armamenti offerti dai progressi dell’industria bellica, avevano promesso paradisi terrestri. Nel nuovo ordine sociale sarebbero stati completamente eliminati mali reali, come la miseria o la fame, e nemici immaginari, uomini e donne appartenenti ad altre etnie e ad altre nazioni, ad altri partiti e ad altre confessioni. Ma il ‘900 è anche il secolo che ha visto, accanto ad abissi d’infamia (l’Olocausto!) ed accanto a slanci di grande generosità individuale e sociale, la graduale affermazione della democrazia e dei diritti degli uomini e dei popoli, senza altri aggettivi, in buona parte dei paesi del mondo.
E’ a codesti uomini che, nell’ultimo quarto del XX Secolo ed agli inizi del nuovo millennio, ha parlato il Beato Giovanni Paolo II. Ha parlato “in nomine Patris”, da uomo del secolo, ad altri uomini suoi contemporanei.  
Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all’umanità intera.
I suoi viaggi apostolici nel mondo sono stati ben centoquattro, di cui numerosi, ed anche ripetuti, nella sua Europa.
Più di ogni Predecessore ha incontrato il Popolo di Dio ed i responsabili delle Nazioni: alle udienze generali del mercoledì (millecentosessantasei nel corso del Pontificato) hanno partecipato più di diciassettemilioni e seicentomila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di ottomilioni di pellegrini solo nel Grande Giubileo del 2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel Mondo. Numerosissime anche le personalità governative ricevute in udienza.
Sotto la sua illuminata guida la Chiesa si è avvicinata al Terzo Millennio dell’Era Cristiana ed ha celebrato il Grande Giubileo del 2000, secondo le linee indicate dalla Lettera Apostolica “Tertio millennio adveniente”. La Chiesa stessa poi si è affacciata al nuovo evo, ricevendone indicazioni nella Lettera Apostolica “Novo millennio ineunte”, nella quale si  mostrava ai fedeli il cammino del tempo futuro.
Il Papa, con l’Anno della Redenzione (1983-1984), l’Anno Mariano (1987-1988) e l’Anno dell’Eucarestia (2004-2005), ha promosso intensamente il rinnovamento spirituale della Chiesa. L’Anno Mariano ha avuto un ulteriore seguito nel 2002, inizio del venticinquesimo anno del Suo Pontificato, in cui il Papa si impegnò a rilanciare la pratica della recita del Santo Rosario, che considerò “un tesoro da riscoprire” nella Lettera Apostolica “Rosarium Virginis Mariae” del 16 ottobre 2002. 
Egli ha dato impulso straordinario alle canonizzazioni ed alle beatificazioni, al fine di mostrare innumerevoli esempi di santità di oggi, che fossero di incitamento agli uomini del nostro tempo.
Ha notevolmente allargato il Collegio dei Cardinali, creandone ben duecentotrentuno in nove Concistori.
Al Papa Giovanni Paolo II, come privato Dottore, si ascrivono anche cinque libri: “Varcare la soglia della speranza” (ottobre 1994); “Dono e mistero: nel cinquantesimo anniversario del mio sacerdozio” (novembre 1996); “Trittico romano”, meditazioni in forma di poesia (marzo 2003); “Alzatevi, andiamo!” (maggio 2004), e “Memoria e Identità” (febbraio 2005).
Tra i suoi documenti principali si annoverano quattordici Lettere Encicliche, tredici Esortazioni Apostoliche, undici Costituzioni Apostoliche e quarantacinque Lettere Apostoliche.
Il Beato Giovanni Paolo II è stato, senza dubbio, il Pontefice dei records, se vogliamo usare una parola sportiva. Ma non poteva non essere così, perché tutto ciò era insito nella sua personalità, come l’innovazione di nominare, quale Direttore della Sala Stampa Vaticana, un laico nella persona di Joaquín Navarro y Valls (1936- ).  
Una personalità che è si è manifestata immediatamente, cioè appena eletto. Disse di Lui ai giornalisti all’inizio del Pontificato: “Il papa non puo’ rimanere prigioniero del Vaticano. Io voglio andare da tutti (…) dai nomadi delle steppe ai monaci e alle suore nei conventi (…) voglio attraversare la soglia di ogni casa”.
Sulla figura e sull’opera di Giovanni Paolo II non è sufficiente una “conversazione” come la nostra odierna in quanto svariati sono i temi di cui si è occupato direttamente ed indirettamente come anche di cultura, di poesia, e, soprattutto, di pace. Al riguardo celeberrimo è l’assioma in cui definì la guerra nel discorso del Santo Natale 1990, e ciò alla vigilia della prima guerra del Golfo: “La guerra è un’avventura senza ritorno. Eppoi “Con la ragione, con la pazienza e con il dialogo, e nel rispetto dei diritti inalienabili dei popoli e della genti, è possibile individuare e percorrere le strade dell’intesa e della pace”.  
Nell’avviarmi alla conclusione di questa mia, desidero leggerVi qualcuno dei Suoi numerosissimi pensieri e qualcuno di quelli che hanno detto di lui.
[***]
Prima di concludere veramente, molti sarebbero, sicuramente, i momenti e le situazioni che affiorano alla memoria come ricordi personali del Beato su cui Vi potrei intrattenere. Ma la mia memoria va’ immediatamente al 16 ottobre 1978, giorno dell’elezione, in cui ero in Piazza San Pietro ed assistetti al Suo primo discorso e ricevetti la prima benedizione. Non avevo ancora 18 anni. Sedici anni prima, la sera del giorno 11 ottobre 1962, ero nel medesimo luogo,  in braccio a mio padre, e ricevetti, come tutti i bambini, “una carezza (…). la carezza del Papa”. Di un altro grandissimo Papa, il Beato Giovanni XXIII.
Con il Nobile Collegio Nazareno dei padri Scolopi, mia scuola, ci recavamo annualmente in udienza del Papa. In una di codeste (era forse il primo anno di Pontificato) volle venire con noi anche mia madre (scomparsa come il Papa nel 2005), la quale disse al Santo Padre: “Ella è trainante”.  Fu profetica?
Altro ricordo è senza dubbio quando il Papa, nel corso di una visita ad una Parrocchia Romana, volle fermarsi all’Istituto San Giuseppe Calasanzio della via Cortina d’Ampezzo, istituto anch’esso scolopico e, grazie all’allora Rettore, ebbi l’onore di salutare il Papa unitamente alla Comunità Religiosa. Fu come parlare con uno di noi. 
Ha detto di Lui il Suo Successore al Soglio Petrino, papa Benedetto XVI: “Veniva da un popolo sofferente, quello polacco, sottoposto a tante prove nella storia. Da questo popolo sofferente, dopo tante persecuzioni, si sviluppò la forza di sperare (…). L’ho visto sofferente, ma mai triste. Egli, fin dall’inizio del suo pontificato, parlava di un nuovo Avvento. Sperava che, nella storia, si affermasse un tempo di gioia e di cristianesimo”.
Ed ora, richiamando, come è mia tradizione, i versi di Virgilio (70 a. C.- 19 a. C.) (Georg. III, 284), nella loro perenne e duratura validità: “fugit interea, fugit inreparabile tempus (…)”, taccio e chiudo questa mia sommaria e forzatamente molto incompleta esposizione, ma permettetemi di tacere con due pensieri ancora del Beato Giovanni Paolo II:
il primo “Quando il 22 Ottobre 1978 pronunciai in Piazza San Pietro le parole «Non abbiate paura!», non potevo rendermi del tutto conto di quanto lontano avrebbero portato me e la Chiesa intera”,
ed il secondo, conclusivo del Suo Testamento: “(…) A misura che si avvicina il limite della mia vita  terrena ritorno con la memoria all’inizio, ai miei Genitori, al Fratello e alla Sorella (che non ho conosciuto, perché morì prima della mia nascita), alla parrocchia di Wadowice, dove sono stato battezzato, a quella città della mia giovinezza, ai coetanei, compagne e compagni della scuola elementare, del ginnasio, dell’università, fino ai tempi dell’occupazione, quando lavorai come operaio, e in seguito alla parrocchia di Niegowić, a quella cracoviana di San Floriano, alla pastorale universitaria, all’ambiente… a tutti gli ambienti… a Cracovia e a Roma…
alle persone che in modo speciale mi sono state affidate dal Signore.
A tutti voglio dire una sola cosa: «Dio vi ricompensi»!
«In manus Tuas, Domine commendo spiritum meum» A. D. 17.III.2000”.

Gianluigi Chiaserotti

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