NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 21 maggio 2022

Le ragione della Monarchia - III

 

METAFISICA E MISTICA DELLA MONARCHIA

Nel dare le giustificazioni della Monarchia e nell'evidenziare i valori che essa esprime, stabiliremo tra essi una gerarchia. È evidente che, secondo il pensiero tradizionale, le ragioni più alte ed importanti sono quelle di carattere metafisico. Nel mondo moderno esse sono offuscate e sono presenti solo inconsciamente, ma ciò non toglie nulla alla loro validità.

Sulla metafisica della Monarchia, Julius Evola ha scritto pagine credo insuperate tra i pensatori contemporanei:"... Se noi cerchiamo la più alta giustificazione tradizionale della regalità, noi la troviamo in una concezione, secondo la quale lo Stato (e ancor più l'Impero) ha un suo significato e una sua finalità trascendente, appare come un trionfo del cosmos sul caos, come una formazione efficace operata da una forza dall'alto -- gli antichi dicevano: da una forza del 'sopramondo' — in seno all'elemento naturalistico del demos e, in genere, a tutto ciò che è semplicemente etnico, biologico e, in senso ristretto, 'umano'... Ora, il punto in cui si manifesta eminentemente, si raccoglie e si fa efficace questa forza dall'alto conferente allo Stato l'anzidetto significato trascendente è appunto il Re, il Monarca" (6).

Stesso concetto esprimeva Goffredo Pistoni sulla rivista dell'U.M.I.:"Il Re aveva una funzione mediatrice fra il divino (visto, soprattutto, sotto l'aspetto cosmico) e l'umano. Tutti i suoi gesti, tutte le sue azioni erano simboliche, nel senso in cui si è detto, e la sua funzione superiore era quella della giustizia vista appunto sotto l'aspetto di un tradurre - e far rispettare - l'ordine cosmico; di portare ciascuno a riconoscere ed accettare il posto assegnatogli nel mondo secondo un tale ordine" (7).

Questa funzione del Monarca di collegamento tra il divino e l'umano, presente nelle religioni pre-cristiane, è mantenuta dal Cristianesimo: "Indubbiamente il Cristianesimo ad incominciare dal nome di Cristo            - che vuol dire l'Unto, il Re - e dal vanto della sua discendenza dal Re Davide, venne a costituire una riaffermazione del valore della regalità in opposizione alla mera funzione sacerdotale distaccatasi da quella regale ed anche se volle appoggiare l'accento sul fine ultimo, ossia sulla regalità che nasce e si sviluppa nelle anime, non venne certamente esclusa l'azione mediatrice esercitata dal Cristo come presenza mistica che tuttavia può anzi deve trovare il suo punto d'appoggio su chi lo rappresenti - ed azione mediatrice nei confronti del cosmo" (8).

Così nel Medioevo alcuni teologi considerarono l'unzione regale come un sacramento; richiamandosi alla figura biblica di Melchisedek si parlò di "religio regalis" e di "sacramentum fidelitatis".

Esamineremo in seguito che cosa significa, alla luce della dottrina cattolica, l'espressione "Re per Grazia di Dio", per ora basti dire che: "In tempi non lontani il 'per grazia di Dio', la sovranità di diritto divino non implicò, nei sudditi, considerazioni teologiche specifiche; essa valeva, per così dire, in termini esistenziali, corrispondeva ap­punto al disegno di un punto superiore di riferimento, punto che viene assolutamente meno quando il Re è tale unicamente per 'volontà della nazione' o dei 'popolo'. D'altra parte, solo in quel presupposto potevano svilupparsi, nei sudditi, nel segno del lealismo, quelle disposizioni, quelle forme di comportamento e di costume di un superiore valore etico..." (9). 

Sia chiaro fin d'ora che se si distrugge la nozione di "diritto divino" si distrugge la giustificazione più alta della Monarchia. Non a caso la "Grazia di Dio" è ancora oggi invocata da, credo, tutte le monarchie.

Tutto ciò comporta una mistica della Monarchia, che il popolo, ove sia libero dalla corruzione delle ideologie, desidera e sente pro­fondamente. Sempre Evola ha scritto parole definitive sul senso di "servire il Re", "combattere per il proprio Re" e sul significato paro­distico e declassato che tali espressioni assumono quando devono essere riferite ad un presidente in cui non si potrà mai riconoscere altro che un "funzionario", un "borghese" (10).

Questo mistico collegamento tra Re e popolo richiede una ascesi e una liturgia della potenza, in cui hanno parte sia quella bonomia e naturale semplicità che era propria dei sovrani medioevali sia, quan­do necessario, tutta la pompa e il "pathos della distanza" che devono dare il senso della sacralità del potere regale. Ciò ha ben compreso la Monarchia britannica, così popolare proprio perché assolutamente anti-populista; ciò non comprendono coloro che confondono la po­po
larità con l'umiltà ostentata, l'imborghesimento e l'abbandono de­magogico dello sfarzo nelle cerimonie.

 

6)        In Citazioni sulla Monarchia, ed. Thule.1978, p. 13.

7)        In Sull'antico simbolo della regalità, in Monarchia, anno I, f. 1, aprile 1956 p. 55.

8)        Ibidem, p. 57.

9)        Op. cit, p. 13.

10)      In Significato e funzione della Monarchia, in appendice a K. Loewenstein, La Monarchia nello stato moderno, ed. Volpe, 1969, pp. 184-5.

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