NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 29 maggio 2022

Capitolo VIII La pesca miracolosa +

 


di Emilio Del Bel Belluz

 

 Avevo da qualche giorno la possibilità di usare una rete che avevo acquistato da Elena ed apparteneva a suo padre. Nel momento in cui la portai a casa compresi che quella rete mi avrebbe portato di sicuro a catturare più pesce, essendo la più grande di tutte quelle che possedevo.  Elena mi aveva fatto vedere un tratto del fiume che era particolarmente pescoso, e in cui suo padre aveva sempre avuto fortuna, gettando le reti proprio in quel posto. L’acqua era particolarmente calma e pulita, quasi trasparente, e si vedeva dalla riva il fondale. Una mattina alzatomi di buon’ ora andai a pescare proprio lì, avevo messo la rete nuova e speravo nel miracolo; tra l’altro avevo bisogno di guadagnare dei soldi. Alla mattina la nebbiolina era sempre presente, sembrava che il fiume stesse fumando. L’aria era pulita, udivo solo il rumore che faceva il remo entrando nell’acqua, quasi ad accarezzarla. Quando si va a tirare fuori dall’acqua le reti, si ha sempre una strana sensazione di attesa, perché la fortuna non è mai la stessa. Giunto nel posto indicato mi accorsi che l’acqua stranamente aveva un colore torbido, non si vedeva il fondo, la rete che avevo calato era molto grande e pensai d’averla perduta; e questo fu per me come un tuffo al cuore.  Mi avvicinai con la barca, la intravidi e l’afferrai. Mi accorsi che qualcosa di grosso si era impigliato, e lottava per liberarsi. Avevo il cuore in gola, tanta era l’emozione, la barca traballava e non riuscivo a tirare su la rete. Passai dei momenti molto difficili, poi presi una fiocina e colpii il pesce che non mi dava nessuna tregua e si dimenava. Vidi il sangue che usciva dalla ferita, e con molta difficoltà lo issai nella barca. Si trattava di uno storione, non ne avevo mai visto di così grandi, avrà pesato almeno una cinquantina di chili. Per me quella preda rappresentava una somma di denaro importante. Pensai di venderlo all’osteria del paese che, di solito, pagava bene. Quando ormai avevo catturato la preda, mi volli direzionare verso la casa di Elena. La sua casa lungo il fiume non era molto distante dal posto dove mi trovavo, e decisi che l’avrei svegliata per farle vedere il grosso esemplare. Giunto davanti alla sua casa attraccai la barca, e bussai. La mamma di Elena venne ad aprirmi e mi accolse con un sorriso, che ricambiai. Le dissi che avevo catturato un grosso pesce, e nel frattempo, giunse Elena i cui occhi erano ancora assonnati. Era tanto bella, pensai. Mostrai loro la mia preda, che occupava parte della mia barca, che si dimenava ancora, ma per il pesce più pregiato del Livenza la sua marcia era finita. Le due donne di pesci come questo ne avevano visto molti, ma per me era la prima cattura così importante e significativa. Rientrammo in casa, le due donne vollero che mi fermassi a fare colazione con loro. La mamma aveva comprato dell’ottimo caffè alla bottega e voleva farmelo assaggiare. Quei momenti passarono con una velocità indicibile, come ogni momento quando si è felici e ne avevo veramente bisogno. Passai un’ora con loro, incrociavo gli sguardi di Elena e se fossimo stati soli l’avrei di sicuro abbracciata e baciata.  In quella casa avvertivo la sensazione che ci fosse anche la presenza del pescatore che era morto da tempo. Ogni tanto guardavo la sua foto che era stata messa in cucina, in una mensola, dove una candela si consumava vicino ad una croce. Il suo ricordo persisteva ancora in quella casa e nei cuori dei suoi cari.  Lasciai la casa felice, e non vedevo l’ora di vendere la preda. Ogni volta che lasciavo Elena mi piaceva che mi accompagnasse alla barca e mi salutasse mentre mi allontanavo dalla piccola rada; quel saluto mi riempiva di gioia. Avevo letto in un libro la storia di un soldato che andava al fronte, e la sua donna che lo salutava alla stazione. Costui non era più tornato, la morte lo aveva colto in guerra. La donna per anni la si vedeva nel luogo dove aveva accompagnato il suo uomo assieme ad un bambino, che era nato dopo la morte del soldato. Questa donna per anni andava alla stazione e aspettava il ritorno del suo eroe. Nel romanzo si diceva che la donna era rimasta talmente sconvolta dalla morte del suo uomo che era impazzita dal dolore. Viveva nella casa della mamma, incapace di fare qualsiasi lavoro, ma quel bambino che aveva avuto, diventando uomo, era riuscito a guarirla dalla malattia che la divorava.  Dopo molti anni aveva ripreso una vita normale, non si era più sposata, viveva nel ricordo di quell’uomo. Per un attimo mentre la barca si allontanava, pensai a quella giovane sposa. Quel giorno realizzai una bella sommetta con la vendita dello storione che fu pesato dall’oste, erano circa settanta chili, una vera manna dal cielo. L’oste mi volle festeggiare anche con del buon vino accompagnato da un piatto di pane e fette di salame. Quella sera davanti al fuoco parlai a lungo con Genoveffa di come la fortuna stesse girando dalla parte giusta. Il momento propizio mi permetteva di affrontare i giorni che seguirono con più convinzione nelle mie capacità, e Genoveffa condivideva questa mia gioia, come era solita partecipare alla felicità di suo marito. Spesso nei nostri discorsi nominava Elena e lo faceva con la stessa dolcezza con cui avrebbe parlato di suo marito. La vita che aveva fatto era dura, ma mi diceva spesso che stare in casa con me le procurava tanta felicità; era un modo per non sentirsi sola. Genoveffa spesso mi confessava che suo marito le mancava, era stato un uomo molto buono, non le aveva mai fatto mancare nulla, era molto innamorato di lei e questo la ricompensava di tutto. Anche quando stavano in casa, alla domenica, era contenta nel vederlo mentre si metteva a leggere qualcosa, di solito si trattava di libri che parlavano del fiume e del mondo della pesca.  Nella sua casa aveva ancora i suoi libri, che volle portarmeli. Genoveffa non era mai stata una lettrice, come molte donne si era sacrificata per la famiglia, rinunciando a proseguire gli studi. Il marito aveva comperato quei libri da un rigattiere che andava di paese in paese. Un giorno con il suo carretto era passato per il paese di Villanova, conoscendo il marito di Genoveffa, e gli aveva venduto alcuni libri rilegati con una copertina marrone e i fregi in oro.  Questi libri li aveva trovati nella soffitta della casa di un vecchio che era morto. Erano libri che trattavano della pesca. Il marito di Genoveffa li aveva acquistati per una bottiglia di vino rosso. Nei libri c’era il nome di quello che li aveva posseduti prima. Quando li aveva portati a casa, Genoveffa non era stata molto felice, ma poi aveva capito che quei libri avrebbero permesso al marito di passare qualche ora davanti al caminetto nelle sere quando la pioggia e il freddo facevano da padrone. Solitamente li leggeva ad alta voce per permettere anche alla moglie di ascoltare mentre lavorava a maglia o stirava. Il marito aveva un carattere che si adattava facilmente alle difficoltà che la vita gli presentava.  Gli piaceva fumare la pipa, con il suo cappello da marinaio, ricordo di gioventù. Riusciva a trovare la bellezza della vita nelle piccole cose, come l’osservare dalla finestra la pioggia che cadeva. Quando si ha la quiete nel cuore si va lontano, ripeteva spesso il marito di Genoveffa. Dalla mattina alla sera usciva con la sua barca, armeggiava con le reti, come un personaggio dei romanzi di grandi scrittori. Nutriva un grande amore per tutto quello che il fiume poteva offrire ed era come una strada percorsa da viandanti in cerca di pace, da uomini che giungevano con le loro barche cariche di merci da vendere in paese. La vita lungo il fiume non era solitaria, c’era sempre qualche barca che solcava le sue acque e dalla sponda c’era sempre qualcuno pronto a salutare. Si sentivano i rintocchi delle campane che scandivano le ore della giornata che passava velocemente. Il fiume era sempre stato generoso, bastava rispettarlo. Quelli che abitavano lungo le sue sponde, dopo la loro morte, erano ancora presenti nei cuori di coloro che li avevano conosciuti; la loro anima continuava a vivere grazie al fiume.  Anche coloro che avevano deciso di lasciarsi travolgere dalla corrente del fiume, continuavano a vivere per sempre.

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