NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 28 maggio 2022

Le ragioni della Monarchia IV


MONARCHIA E SOCIETA' TRADIZIONALI

 

Descriviamo la Monarchia e la società tradizionali. Anticipiamo subito che la Tradizione deve sempre avere un aggancio metafisico e religioso e poiché uno solo è il vero Dio, una sola è la vera Tradizione a cui dobbiamo rifarci. Ciò richiede un chiarimento preliminare con i tradizionalisti non cattolici. Come dimostra il fatto che ci siamo valsi dell'insegnamento di Evola, è possibile, in sede di dottrina monarchi­ca, una larga parte di cammino in comune tra tradizionalisti cattolici e non cattolici. Poiché il Cristianesimo ha recepito in sé, nella dottrina, si pensi a S. Tommaso che si serve della metafisica classica greca, e nelle istituzioni, nel Medioevo romano-germanico, parecchi elemen­ti del mondo tradizionale pre-cristiano, molti caratteri della Monar­chia tradizionale sono ugualmente rivendicati da cattolici e da paga­ni. A questi ultima manca però l'aggancio finale e più alto, la roccia saldissima che solo possiede chi, abbracciando la dottrina e la fede cattolica, può arrivare alla dimostrazione razionale, data in maniera insuperata dalla filosofia scolastica e neo-scolastica, dell'esistenza di un Dio Persona e Creatore.


I costanti richiami che farò alla dottrina cattolica vogliono fornire alla dottrina monarchica la base più solida e vera; in una certa misura, il discorso generale può essere accettato anche dai tradizio­nalisti che tale base rifiutino, ma perde la più inattaccabile delle di­fese.

 

Ulteriore chiarimento richiede l'esistenza, attuale o potenziale, di monarchie, tradizionali e non, cristiane non cattoliche o di altre religioni non cristiane. Quanto a queste ultime, in esse possono sussistere, accanto ad elementi barbarici (la Tradizione non ha nulla a che vedere con il mantenimento acritico di usanze primitive), caratteri tradizionali affini al nostro modello, e comunque sarà sempre da preferire, nell'ambito di una stessa confessione religiosa, una Monarchia ad una repubblica. Il problema di una conversione alla vera religione di tali popolazioni non si vede come potrebbe essere posto direttamente dai monarchici.

 

Una critica apparentemente fondata è quella di chi osserva che oggi esistono più monarchie protestanti che cattoliche. Ma, a parte che è stata appena restaurata la Monarchia nella Spagna cattolica, tra le non schiacciante prevalenza dipende in molti casi più da ragioni storiche particolari che dalla religione della nazione. Il caso della Gran Bretagna, la più splendida delle monarchie esistenti, conferma che non si può generalizzare. Infatti, a parte che evidentemente le basi della Monarchia erano già saldamente poste quando il paese era cattolico, ciò che dà un contributo, ma non certo l'unico, importan­te alla solidità della Corona può essere certo la religione anglicana (es­sa è però in piena crisi ed ha recentemente compiuto scelte politiche di "sinistra"), ma più per il fatto di essere religione di stato con a ca­po la Regina che per il suo contenuto protestante, che, oltre tutto, tra le varie sette, è il meno lontano dal Cattolicesimo.

 

Ma il discorso di fondo è un altro. Se i monarchici vogliono vivacchiare cercando di salvare le monarchie esistenti a prezzo di qua­lunque concessione e sperando nella buona sorte per restaurarne qualcuna, possono benissimo trascurare tutto il discorso che segue e rifiutare di aderire alla vera religione. Se invece vogliono operare per una inversione del ciclo rivoluzionario degli ultimi secoli, convinti che ciò sia possibile o comunque debba essere tentato, e che solo in tal modo si possa avere un ritorno generale delle monarchie, allora evidentemente di tale discorso di restaurazione globale la vera religio­ne è il pilastro.

 

Descriveremo un modello meta-storico di Monarchia e società tradizionali e cattoliche; modello che si realizzò però largamente nel Medioevo. Dobbiamo chiederci: tutta la società nel Medioevo è tradizionale? Non è esistito nulla di tradizionale al di fuori di esso? Non potrà di nuovo esistere una società tradizionale? Vediamo l'insegna mento della Chiesa. Papa Pio XII ha detto: "Si pretende, sovente, identificare Medioevo e civilizzazione cattolica. La fusione non è del tutto esatta. La vita di un popolo, di una nazione, si svolge in un ambito molto vario che oltrepassa i limiti dell'attività propriamente religiosa. Quando una società rispetta, in tutta l'estensione del termine, i diritti di Dio e si interdice di varcare le frontiere poste dalla dottrina e dalla morale della Chiesa, a buon diritto può dirsi cristiana e cattolica.

 

Nessuna civiltà può vantarsi di essere tale, così totalitariamente, nemmeno la civiltà medioevale, per non dire che essa era in continua evoluzione e che, in quell'epoca, andava arricchendosi di una nuova corrente di civiltà antica" (11).

 

D'altro canto S. Pio X scrive che: "La civiltà cristiana non è più

 

da inventare, e neppure la nuova città da erigere nelle nuove. Essa è stata, essa è: è la civiltà cristiana, è la città cattolica" (12).

 

Il concetto di Civiltà Cristiana deriva dal dogma della Regalità Sociale di N.S.G.C. Il Papa Leone XIII afferma, riferendosi al Medio­evo, che "Fu già tempo che la filosofia del Vangelo governava gli Stati, quando la forza e la sovrana influenza dello spirito cristiano era entrata bene addentro nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in tutti gli ordini e ragioni dello Stato, quando la religio­ne di Gesù Cristo, posta solidamente in quell'onorevole grado, che le conveniva, traeva su fiorente all'ombra del favore dei Principi e della dovuta protezione dei magistrati, quando procedevano concordi il Sacerdozio e l'Impero, stretti avventurosamente tra loro per amiche­vole reciprocanza di servizi. Ordinata in tal modo la società, recò frutti che più preziosi non si potrebbe pensare, dei quali dura e dure­rà la memoria, affidata ad innumerevoli monumenti storici, che niuno artifizio di nemici potrà falsare od oscurare" (13).

 

Cosa concludere? Il Regno di Dio non è di questo mondo e quindi non potrà mai su questa terra realizzarsi nella sua forma per­fetta. "Ciò che non bisogna però dimenticare è che in un mondo cri­stiano (come la cristianità medioevale, ad esempio) il mondo, inteso nel senso delle tre concupiscenze e del rifiuto di Dio, ha una impor­tanza ben reale e fa sentire la sua influenza nefasta... le istituzioni, bene o male, erano conformi alla giustizia e permeate di spirito cri­stiano. Che cosa faceva allora il demonio? Tentava di distogliere i re e gli uomini dall'ideale di giustizia cristiana che era quello della cit­tà. Tuttavia, finché la citta, nell'insieme, rimaneva cristiana, non dive­niva in quanto tale uno strumento del demonio..." (14). Così il modello di Monarchia tradizionale non potrà mai realizzarsi compiutamente (ciò vale anche per tutti i progetti derivanti puramente da ideologie terrene, che non si realizzano mai in forma pura).

 

Però il Medioevo è la civiltà più cristiana che sia mai esistita, tanto che si parla, per quel periodo, di "Cristianità", intesa come

 

"l'universalità dei Principi e dei popoli cristiani obbedienti alla stessa

 

dottrina, animati dalla stessa fede, soggetti allo stesso magistero spi­rituale" (15). Il fine della nostra milizia di monarchici contro-rivoluzionari è la restaurazione della società tradizionale. Ciò sarà tanto più possibile quanto più sapremo in primo luogo esserne degni noi stessi. "Società tradizionale è ogni società fondata sul principio della Contemplazione, o del Sacro, o del Metafisico. In essa l'uomo ha due ordini di rapporti. Un primo con il Principio che lo trascende, ed è un rapporto metafisico, e quindi verticale, perché presuppone il salto qualitativo tra Creatore e creatura. Esso determina il posto dell'uo­mo nell'Universo. Un secondo con tutti gli altri uomini, ed è un rap­porto sociale, e quindi orizzontale, perché presuppone la eguaglianza metafisica tra le creature. Esso determina il posto dell'uomo nella società. E come ciò che è imperfetto deve riflettere ciò che è           perfetto, come l'opera dell'uomo deve imitare l'opera di Dio, così l'oriz­zontale deve modellarsi sul verticale, l'ordine sociale deve rispecchia­re l'ordine cosmico" (16).

 

In una società tradizionale, quindi, "Dio è misura" e vi è una ge­rarchia di valori, religiosi e metafisici, spirituali, morali, politici, eco­nomici.

 

La pietra angolare che garantisce l'esistenza e la sopravvivenza di tale società è la Tradizione, cioè "un insieme di principi aventi una immutata validità normativa e un carattere metafisico"(17). Ha scritto il grande Francisco Elias de Tejada: "La Tradizione si filtra due volte: in un primo passaggio sociologico, in un secondo etico. Nel primo, il suo contenuto va depurandosi naturalmente nel corso della storia. Nel secondo, la Tradizione si depura metafisicamente nella pie­tra di paragone assoluta che è la legge di Cristo" (18).

 

La Tradizione può dunque essere definita come il giudizio che il naturale senso morale formula sugli avvenimenti storici.

 

Mentre lo storicismo sottomette i valori al giudizio della storia, rimanendo privo di qualunque aggancio che possa salvarli dalla dissoluzione rivoluzionaria, il tradizionalismo giudica i fatti storici alla lu­ce della Verità, che è sovra temporale. Perciò il tradizionalismo sot­tintende una metafisica dell'essere quale quella della tradizione tomistica e una concezione della verità quale "Adaequatio intellectus ad rem", che è propria del realismo critico di S. Tommaso.

 

Il filosofo Luigi Pareyson ha scritto che "Il senso profondo di tradizione, quello che direi metafisico-ontologico, è proprio questo: sentire, pensare, volere e agire nell'infinito dell'essere" (19). Un atteggiamento filosofico che rifiuti una metafisica dell'essere porta, ol­tre che alla dissoluzione della filosofia stessa, al rifiuto del reale, ad una concezione prometeica della ragione umana, ritenuta capace di creare essa la realtà, alla utopia rivoluzionaria (20).

 

Dopo Hegel, viene necessariamente Marx.

 

La società tradizionale non nasce da un ipotetico contratto, ma è il naturale sviluppo della famiglia, delle comunità naturali, dei corpi intermedi; si fonda sulle tradizioni ed i costumi, senza necessariamen­te avere bisogno di una costituzione scritta (21); è organica, cioè si organizza attorno ad un centro, ad un'idea che tutta la informa.

 

La fonte del potere è Dio: "Per me reges regnant" (Prov. VIII, 15). Insegna Papa Leone XI I I:"Moltissimi dicono che ogni potere vie­ne dal popolo: per cui coloro che esercitano questo potere, non lo esercitano come proprio ma come dato loro dal popolo, e altresì con la condizione che dalla volontà dello stesso popolo, da cui il po­tere fu dato, possa venir revocato. Da costoro però dissentono i cat­tolici, i quali il diritto di comandare derivano da Dio, come dal suo naturale e necessario principio" (22 ).

 

È stato scritto che "Il Cattolicesimo consacrò l'autorità e san­tificò l'obbedienza". Va però precisato chiaramente che può invocare per il suo potere la "Grazia di Dio" solo l'autorità legittima l'autorità che, con la fedeltà quotidiana alla vera religione, unisca la legittimità di esercizio alla legittimità di origine. Altrimenti qualunque tiranno, interpretando erroneamente il "Non est postestas nisi a Deo" (Rom. XII,1 (22 bis) potrebbe proclamare di essere l'unto del Signore. La "Grazia di Dio" deve essere ad un tempo segno di privilegio e di umil­tà: il Re cattolico davanti al confessore è uguale al più modesto dei suoi sudditi.

 

Sia detto per inciso che unire alla "Grazia di Dio" la "volontà della nazione" è un ibrido ed un assurdo. O la "volontà della nazio­ne" è intesa nel senso che la Provvidenza divina che agisce nella sto­ria dei popoli consente che il Re continui a regnare, e allora essa è già compresa nella "Grazia di Dio". Oppure si vuole intendere, ed è questo il senso corrente, che l'autorità deriva a mezzadria da Dio e dal popolo, e allora ciò è in netto contrasto con l'insegnamento di Leone XIII, testé ricordato, e della Chiesa.

 

Si pone evidentemente il problema dei rapporti tra potere reli­gioso e potere politico. È chiaro che il primo è superiore, per la ge­rarchia di valori sopra accennata e per il fatto che il Papa, dotato a certe condizioni di infallibilità, è il custode del dogma, che costitui­sce la pietra di paragone ultima della Tradizione. Naturalmente l'au­torità religiosa deve lasciare la giusta autonomia al potere politico nelle questioni temporali. Si ricordi comunque che in una società  tradizionale i due poteri devono collaborare per la salvezza celeste ed il benessere terreno dei sudditi. L'artificioso separatismo liberale, che vorrebbe scindere in una stessa persona il cittadino dal credente, non è concepibile. Le lotte tra Papato ed Impero nel Medioevo riguarda­vano i limiti delle rispettive zone di influenza, ma non fu mai messo in dubbio che i due poteri dovessero collaborare a maggior gloria di Dio ed a beneficio della Cristianità.

 

Bene sintetizza il Papa Gregorio X, dicendo: "Se è dovere di co­loro che reggono gli stati salvaguardare i diritti e l'indipendenza della Chiesa, è anche dovere di coloro che hanno il governo ecclesiastico di adoperarsi affinché i Re ed i Principi abbiano la pienezza della loro autorità" (23).

 

Il potere del Sovrano è limitato dalle leggi divine e dalle tradi­zioni, non dagli uomini: "Quod rex non habet hominem qui sua facta dijudicet". Il giurista inglese Sir Edward Coke, in polemica con le tendenze assolutiste di Giacomo 1 Stuart, gli ricordò queste parole di Henry Bracton, giureconsulto dell'epoca medioevale: "Quod Rex non debet esse sub homine sed sub Deo et lege". Naturalmente la legge di cui qui si parla è la common law del diritto anglo-sassone, cioè ap­punto i costumi e le tradizioni, non certo la legge intesa quale norma impersonale e generalizzata emanante da un parlamento democratico. Se qualcuno pensa che il potere del Re non sia in tal modo efficace­mente condizionato, ricordi che "I secoli sono piú forti dei Re". No­nostante l'assolutismo abbia rappresentato una degenerazione della Monarchia tradizionale, aprendo la strada, specialmente con l'assolu­tismo illuminato, alla Rivoluzione, non è affatto vero che nell'Ancien Régime immediatamente prima della Rivoluzione francese il potere del Sovrano fosse così illimitato come si vuol far credere. Alla vigilia del 1789 vi erano in Francia 4 Consigli Superiori e 13 Parlamenti (come è noto i Parlamenti nell'Ancien Régime erano corti di giustizia che avevano il compito di vegliare sul mantenimento e sulla applica­zione delle leggi, unendo in una certa misura il potere giudiziario a quello legislativo). Molto più illimitato ed assoluto è il potere delle odierne democrazie totalitarie (24).

 

 16)      R. de Mattei, La società tradizionale, ed. Volpe, 1972, P. 5

17)      Cit. in Trono e Altare, scritti inediti del Principe di Canosa, Ist. ed. del Mediterraneo, 1973, p. 5.

18)      In La Monarchia tradizionale, ed dell'Albero, 1966.

19)     Nel volume di AA. VV., Eternità e storia, ed. Vallecchi, 1970, p. 29.

20)     Sulle conseguenze della "ragione impazzita", cfr. M. De Corte, L'intelligen­za in pericolo di morte, ed. Volpe, 1973.

21)     De Maistre ha scritto che non ha senso chiedere in che libro sia scritta la legge Salica, perché essa è scritta nel cuore dei francesi (op. cit., p. 33).

22)     Enciclica Diuturnum, 29-6-1881, in Tutte le encicliche dei Sommi Ponte­fici, ed. Dall'Oglio, 1964, p. 364.

22 bis) Vedere sul tema: G. Torti, Non est potestas nisi a Deo, Ed. Thule, 1977.

23)     Cit. in Pernoud, op. cit., p. 100.

24)     Sull'ancien régime, cfr. i primi capitoli di P. Gaxotte, La Rivoluzione fran­cese, ed. Rizzoli, 1949. Sul concetto di "democrazia totalitaria", cfr. J.L. Talmon, Le origini della democrazia totalitaria, ed. Il Mulino, 1967.

 


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