di Julius Evola
Tratto da “Il Borghese”, n. 43, Roma, 24 ottobre
1968.

Circa il partito monarchico, vi è da rilevare una
incongruenza fra il suo peso numerico, contando esso oggi, rispetto agli altri
qui considerati, il minor numero di membri, e il peso che potrebbe invece avere
la corrispondente idea. È abbastanza enigmatico il declino numerico dei fautori
della monarchia in Italia. Infatti si sa che nel referendum istituzionale la
repubblica ebbe il sopravvento di stretta misura, sembra perfino con
manipolazione dei risultati e non aspettando, a ragion veduta, il ritorno di un
gran numero di prigionieri di guerra che avrebbero votato quasi tutti per la
monarchia. Dove è dunque andata a finire quella minoranza considerevole, di
molti milioni, che anche in regime repubblicano avrebbe potuto fornire una
fortissima base ad un partito monarchico unitario?
Alcuni vorrebbero che la dispersione sia dovuta ad un
supino assuefarsi al clima sfaldato e materialistico generale, venuto subito a
prevalere nell’Italia «libera». Altri vedono la causa nell’incapacità e nella
divisione dei partiti monarchici, il che, peraltro, farebbe ricadere buona
parte della responsabilità sul sovrano in esilio, il quale avrebbe avuto il
dovere di rimettere risolutamente le cose a posto e di affidare la sua causa a
uomini qualificati e coraggiosi. In fatto di mancanza di coraggio, è
caratteristico che si era perfino giunti a sopprimere la denominazione di
«monarchico» al partito, mentre, in un servile omaggio al nuovo idolo, il
«democratico» è stato sottolineato.
Ma quel che forse è ancor peggio, non vi è stato
nessuno, in Italia, che si sia presa la pena di formulare una dottrina precisa
della monarchia e dello Stato monarchico. Come eccezione, abbiamo ascoltato
alcuni discorsi di propaganda di dirigenti monarchici nelle ultime elezioni
politiche. Ebbene, se sono state avanzate critiche contro il regime di
centrosinistra al governo (analoghe più o meno a quelle dei liberali e del
MSI), della monarchia non si è affatto parlato, non è stato detto, cioè, in che
termini l’esistenza di un regime monarchico porterebbe ad una modificazione
essenziale dello Stato attuale, in che modo la monarchia dovrebbe essere
concepita, quali dovrebbero essere la sua forma e la sua funzione, il resto
essendo, in fondo, secondario, consequenziale e contingente.
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