Testo della conferenza tenuta dal Presidente Giglio per il circolo Rex il 27 Gennaio
Tutti conoscono o dovrebbero
conoscere il Bollettino della Vittoria, del 4 novembre 1918, firmato Diaz, dove
si ricorda “l’alta guida” del Re Vittorio Emanuele III,” Duce Supremo”,
concludendo con la frase dell’esercito austro-ungarico,”uno dei più potenti esercito
del mondo”, che risaliva “ in disordine e senza speranza le valli che aveva disceso
con orgogliosa sicurezza“. Il bollettino aggiunge e precisa altri elementi storici
ed è su questi che vorrei soffermarmi e particolarmente sulla elencazione delle
forze in campo dalle due parti.Il numero delle 51 divisioni italiane, contro le
73 avversarie, dimostra che lo sforzo fu sostenuto quasi totalmente dalle nostre
truppe, in quanto le divisioni alleate, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca
ed un reggimento americano, erano, salvo alcuni reggimenti, in una posizione di
riserva, come lo erano state anche in precedenza, dopo Caporetto, quando furono
fatte affluire sul fronte italiano, ma sia la battaglia d’arresto del novembre-dicembre
1917 e così pure quella del “Solstizio” del giugno 1918, che si concluse con il
fallimento dell’offensiva austro-tedesca, prodromica alla nostra offensiva finale
del 24 ottobre 1918,furono sostenute e vinte dal nostro esercito.
La data di inizio della battaglia finale, era poi particolarmente significativa, perché era lo stesso giorno, che un anno prima, aveva visto l’inizio dell’offensiva nemica che aveva portato alla nostra sconfitta ed alla ritirata sul Piave. Quindi se vi era stato un contributo degli alleati va a nostra volta ricordato che il Regno d’Italia contraccambiò con l’invio in Francia nel 1918,( dove già operavano con ruolo ausiliario, non combattenti, dal gennaio 1918, ben 60.000 nostri soldati, denominati “Truppe Ausiliari in Francia- T.A.I.F-. ”), di un Corpo d’Armata, composto da due divisioni,comandato dal generale Albricci, che ebbe un ruolo importante nella difesa vittoriosa del fronte francese in occasione dell’ultima spallata tedesca del giugno 1918 a Bligny e poi nell’offensiva alleata dell’ottobre riconquistando l’importante posizione dello Chemin des Dames, spingendosi fino alla Mosa. pagando un pesante contributo di caduti, (5.000 ), testimoniato dal grande Cimitero Militare Italiano, sulla collina di Bligny, che impressiona per la sua grandezza, e ricevendo riconoscimenti dai comandati francesi Foch e Petain e dallo stesso Presidente Poincarè..
La data di inizio della battaglia finale, era poi particolarmente significativa, perché era lo stesso giorno, che un anno prima, aveva visto l’inizio dell’offensiva nemica che aveva portato alla nostra sconfitta ed alla ritirata sul Piave. Quindi se vi era stato un contributo degli alleati va a nostra volta ricordato che il Regno d’Italia contraccambiò con l’invio in Francia nel 1918,( dove già operavano con ruolo ausiliario, non combattenti, dal gennaio 1918, ben 60.000 nostri soldati, denominati “Truppe Ausiliari in Francia- T.A.I.F-. ”), di un Corpo d’Armata, composto da due divisioni,comandato dal generale Albricci, che ebbe un ruolo importante nella difesa vittoriosa del fronte francese in occasione dell’ultima spallata tedesca del giugno 1918 a Bligny e poi nell’offensiva alleata dell’ottobre riconquistando l’importante posizione dello Chemin des Dames, spingendosi fino alla Mosa. pagando un pesante contributo di caduti, (5.000 ), testimoniato dal grande Cimitero Militare Italiano, sulla collina di Bligny, che impressiona per la sua grandezza, e ricevendo riconoscimenti dai comandati francesi Foch e Petain e dallo stesso Presidente Poincarè..
Quindi la nostra vittoriosa offensiva
che dal Grappa, al Montello ed al Piave ci portò, a Trento e Trieste,
impropriamente chiamata di Vittorio Veneto, fu merito esclusivo dei nostri soldati
che dovettero superare una accanita resistenza nei primi giorni in quanto l’esercito
austriaco, non era affatto in dissoluzione,( la dissoluzione dell’Impero era a Vienna),
per cui si battè con valore degno del suo passato. A chi, sedicente storico,
oggi parla di una battaglia “per modo di dire”, addirittura una “non battaglia”,
stanno a smentirlo le migliaia di morti da entrambe le parti e le decine di
migliaia di feriti. E sempre in merito al valore degli austriaci è da ricordare
l’ordine del giorno che il 26 ottobre,emanava alle sue truppe il
feldmaresciallo austriaco Boroevic: “Esprimo alle truppe uno speciale riconoscimento
ed il mio cordiale ringraziamento, con la sicurezza che esse potranno persuadere
il nemico, che il suo sangue è sparso invano”.
Vittoria quindi italiana e
l’armistizio di Villa Giusti, del 4 novembre, portava fatalmente a quello che dovette
frettolosamente concludere l’Impero Germanico, il successivo 11, in quanto ormai
le nostre truppe vittoriose avrebbero potuto attraversare l’Austria e piombare nel
territorio germanico praticamente indifeso. E va anche sottolineato che l’Austria
chiese l’armistizio indipendentemente, e non comunicandolo all’alleato germanico
senza che lo stesso l’abbia mai accusata di tradimento !Come pure, in
precedenza, il giovane Imperatore Carlo I, succeduto nel novembre del 1916, a Francesco
Giuseppe, aveva intrapreso autonomamente la strada di una trattativa di pace separata.
E come prima ho ricordato il nostro corpo d’armata in Francia, è bene ricordare
che altre nostre truppe, della forza di oltre cinquantamila uomini, inquadrati
in più divisioni, prendevano parte alle operazioni militari nei settori di
guerra della Albania e della Macedonia, insieme con le truppe alleate, per cui
un nostro reggimento, ad esempio, entrò vittorioso a Costantinopoli, il 30 ottobre
1918. Queste precisazioni sono necessarie perché anche all’epoca si cercò di sminuire
l’importanza del nostro intervento nella guerra, ed oggi, in questo periodo in
cui si ricorda il centenario della grande Guerra, in ponderosi testi di autori stranieri,
viene egualmente trascurato o sottovalutato, nel quadro generale del conflitto il
peso determinante avuto, invece, dal Regno d’Italia sul suo esito vittorioso. E
quindi, per rispetto della verità storica e non per un ritorno di sterile
nazionalismo, è doveroso ricordare l’andamento del conflitto, ed il ruolo importante
avuto dell’Italia, anche per respingere le consuete accuse di tradimento,
opportunismo, nonché di incapacità, impreparazione e simili.
Sull’accusa di tradimento la
risposta è semplice e precisa: la Triplice Alleanza con gli Imperi Germanico ed
Austro-Ungarico era una alleanza esclusivamente difensiva. La sua applicazione sarebbe
scattata se una delle tre nazioni fosse stata attaccata da altri, mentre in
questo caso fu l’Austria- Ungheria a dichiarare guerra al Regno di Serbia, non avendo
lo stesso accettato integralmente l’ultimatum inviatogli. Inoltre il Regno d’Italia
non fu informato di questa iniziativa, né fu richiesto il suo consenso, mentre nell’anno
precedente, 1913, quando egualmente l’Austria voleva attaccare la Serbia, la sua
richiesta al nostro governo, lo ricordò Giolitti, allora Presidente del
Consiglio, ricevette risposta decisamente contraria, il che, all’epoca, evitò una
guerra, che non aveva motivazione alcuna. Nel luglio 1914 l’Austria ebbe il “placet”
dal solo Impero Germanico ed imboccò così la strada senza ritorno del conflitto,
non valutando il rischio dell’espansione dello stesso, dimenticando che l’Impero
Russo, da decenni aveva assunto il ruolo di difensore e patrono degli ortodossi
slavi di cui i serbi rappresentavano il nucleo più importante insieme con i montenegrini.
A tale proposito possiamo ricordare il comportamento amichevole, quasi paterno,
dello Zar, con la Casa Reale Montenegrina, accogliendo nel prestigioso collegio
Smolny, a San Pietroburgo, per una educazione aristocratica, le figlie del Re Nicola,
fra cui Elena, che sarebbe divenuta prima principessa ereditaria e poi nostra Regina.
Perciò nessun tradimento fu la dichiarazione iniziale di neutralità da parte del
nostro governo ed anche successivamente, falliti tutti i tentativi diplomatici di
addivenire, a norma dell’articolo 7 del trattato di alleanza, ad una compensazione
territoriale, con la pacifica acquisizione di quei territori abitati da italiani,
fu pienamente legittimo il nostro rivolgersi alle potenze della cosiddetta “Intesa”
che erano scese in guerra contro Austria e Germania, per ottenere, questa volta
con le armi, quello che non avevamo ottenuto diplomaticamente. Cioè raggiungendo
i confini storici e geografici dell’Italia, che gli irredenti chiedevano fin dal
1866, quando Garibaldi, vittorioso sugli austriaci a Bezzecca, fu fermato sulla
strada di Trento, da un telegramma, al quale rispose con il famoso “Obbedisco”.
Salandra, capo del Governo, dal 1914, succeduto a Giolitti che lo aveva indicato
al Re quale suo successore, parlò di “sacro egoismo”, Bismarck avrebbe più cinicamente
detto che i trattati erano ”chiffon de papier “ !
E l’accusa di opportunismo di esserci schierati
dalla parte vincente? Ora nell’aprile del 1915 le sorti della guerra non erano affatto
favorevoli alle potenze dell’Intesa, Regno Unito, Francia e Russia, e la Francia
doveva già ringraziare la nostra neutralità che le aveva consentito di
sguarnire la frontiera alpina e spostare le truppe sul fronte dove i tedeschi avevano
conquistato importanti posizioni, giungendo a poche decine di chilometri da Parigi,
attestandosi sulla famosa Marna. Quanto poi al fronte orientale i tedeschi avevano
respinto l’esercito russo, battendolo nella celebre battaglia dei Laghi Masuri e
nel 1915, nella battaglia di Gorlice iniziata ai primi di maggio avevano ottenuto
un’altra clamorosa vittoria, tale da spingere la Zar ad esonerare dal Comando Supremo,
il cugino granduca Nicola. Quindi la discesa in campo dell’Italia distogliendo importanti
contingenti di truppe austro-ungariche dal fronte russo, che fino ad allora era
stato,insieme con quello serbo il loro fronte di guerra, faceva rifiatare l’esercito
zarista. Ed anche se i nostri progressi territoriali, fino alla triste data del
24 ottobre 1917, furono scarsi e pagati ad un prezzo altissimo di sangue,
questa nostra presenza nel conflitto, a fianco dell’Intesa, fu, ad esempio,determinante
nel salvataggio dei resti dello sconfitto esercito serbo, che, insieme con il vecchio
Re, Pietro I, Karageorgevich, avevano effettuato una delle ritirate più drammatiche
della storia, in pieno inverno, con neve e gelo,dal dicembre 1915 al gennaio 1916,
trasbordando con le nostre navi, attraverso l’Adriatico ben 113.000 fuggiaschi.Operazione
imponente di cui al momento i serbi ci furono grati, ( il Re Pietro fu poi anche
ospite del nostro Sovrano),salvo poi minimizzarla anni dopo e dimenticandola quando,alla
fine dell’ottobre 1918, cercarono di impadronirsi della flotta austriaca donata
loro, ignobilmente, dall’agonizzante impero austro-ungarico, evento sul quale ritorneremo.
Quindi nessuno opportunismo nella nostra scelta che, ripetiamo giovò alle potenze
dell’Intesa, che fino all’ottobre del 1917 non ci dettero alcuno aiuto. Scelta inoltre
che propiziò anche quella successiva ed analoga della Romania a favore
dell’Intesa e contro gli Imperi Centrali.
Sempre per sminuire la legittimità della nostra
decisione e la spontaneità della spinta dei giovani a favore dell’ l’intervento,
che pagarono in gran numero con il loro sangue, i fautori del neutralismo hanno
cercato di accreditare leggende sugli interventisti che eliminano i “triplicisti”,
che sarebbero stati i più lungimiranti, come nelle fantasie riguardanti un personaggio
estremamente importante, il generale Pollio, Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito,
morto per malattia ai primi di luglio del 1914.Si dice da questi sedicenti storici
essere stato, il Pollio, ucciso perché “triplicista”, come se ai primi di luglio
qualcuno già sapesse che alla fine del mese sarebbe scoppiata la guerra e che
l’Italia non vi doveva partecipare a fianco dell’Austria. Qui è bene chiarire un
punto basilare: nel Regno d’Italia i militari non facevano “politica”, ma da corretti
e fedeli servitori dello Stato erano doverosamente allineati a quella che era la
politica governativa, per cui se l’Italia era alleata degli imperi austriaco e
germanico un militare doveva tenere rapporti corretti, se non amicali, con i
colleghi austriaci e tedeschi, e questo era stato l’atteggiamento di Pollio.
Cosa poi pensasse nel suo intimo non lo sappiamo, ma è stato trovato, già decenni
or sono un suo appunto manoscritto, sia pure senza data, nel quale si esaminavano
tutti i pro ed i contro “in caso di guerra contro l’Austria-Ungheria”, redatto pensando
forse ad una aggressione da parte austriaca, dove personalità come il feld-maresciallo
Conrad von Hotzendorf, divenuto Capo di Stato Maggiore,( su segnalazione e per volontà
dell’Arciduca Ereditario Francesco Ferdinando, notoriamente non amico dell’Italia),era
capo di quella corrente che chiamava l’Italia sua nemica ereditaria, ed avrebbe
voluto una guerra “preventiva” contro di noi.
Altre fantasie riguardano il
triplicismo del marchese Antonino Paternò Castello di San Giuliano,già da anni ministro
degli esteri con Giolitti, che se non fosse venuto a mancare, per cause naturali,
dopo lunga malattia, il 16 ottobre del 1914 non avrebbe portato, secondo questi
storici, il Regno d’Italia alla guerra contro l’ Austria, per cui è valida anche
qui la stessa precisazione relativa a Pollio, sul senso dello stato,oltre a ricordare
la stima che il San Giuliano godeva presso Vittorio Emanuele, che lo riteneva il
miglior uomo politico che l’Italia avesse avuto dopo l’Unità. Ora,San Giuliano sapeva
bene come il Re, dopo l’ascesa al trono, aveva operato una politica personale di
amicizia anche con le nazioni esterne alla Triplice, scambiando visite con il
Presidente francese, Loubet, con il Re Edoardo VII e con la Zar Nicola II. Quindi,anche
se è logico che il nostro ministro fosse stato triplicista fino al 1914 perché riteneva
essere gli interessi dell’Italia meglio tutelati nell’ambito di questa alleanza
difensiva, già nel luglio aveva indirizzato l’Italia verso la neutralità e nel settembre
del 1914, pensava che i nostri interessi potessero, invece, essere coincidenti con
quelli della “Intesa”, predisponendo la linea che avrebbe seguito il suo successore,Sidney
Sonnino, forse con minore abilità diplomatica, malgrado la sua cultura e le sue
precedenti esperienze governative. A tale proposito è indicativa in una
intervista rilasciata da San Giuliano alla “Tribuna”, poco prima della scomparsa,
la frase,dove con l’ironia ed il fine umorismo quasi anglosassone e da gran
signore, relativamente all’eventuale prosecuzione della neutralità, diceva:
“L’Italia si troverà in una situazione eccellente: con tutto l’odio degli
Imperi Centrali che attribuiranno alla nostra defezione la loro sconfitta, e
tutta l’ingratitudine dell’altra parte che non avrà nessuna voglia di
ricordarsi del beneficio (avuto) della nostra neutralità “.
Quanto infine alla nostra incapacità
e impreparazione militare si sono anche qui, sempre dai neutralisti, lanciate accuse,
per cui è bene ricordare che l’Italia aveva da poco concluso la guerra contro l’Impero
Ottomano, che aveva portato alla acquisizione della Libia, e,a titolo provvisorio,
delle isole del Dodecanneso, guerra che si era rivelata più dispendiosa del previsto,
sia come mezzi che come numero di soldati, per cui si dovevano ricostituire adeguate
scorte e non era facile reperire i relativi mezzi finanziari. Il Regno d’Italia,eccettuate
le operazioni coloniali di cui parleremo,aveva avuto una politica
essenzialmente pacifista e l’esercito era dimensionato alle esigenze economiche
dello Stato e non in proporzione alla sua popolazione. E questo era dovuto agli
enormi problemi economici e sociali che aveva dovuto affrontare dopo l’ Unità,
per cui il Regno d’Italia non aveva potuto dedicare ai bilanci militare la quota
che agli stessi dedicavano le altre potenze europee, ed anche in questa circostanza,
nei mesi della neutralità, non largheggiò con integrazioni del bilancio. Il Re conosceva
ed aveva sempre seguito le problematiche militari, ma da corretto Sovrano costituzionale
non poteva non prendere atto delle decisioni governative in questo delicato
settore, approvate dal Parlamento. Inoltre vi erano le spese non indifferenti per
la Marina Militare, in quanto l’Italia aveva dovuto creare una flotta potente data
la sua posizione geografica che la vedeva circondata dal mare per migliaia di
chilometri e le sue coste esposte a possibili incursioni in caso di guerra con
potenze marittime.
Relativamente all’esercito vi
è una frase nel Bollettino della Vittoria che va meditata, dove è scritto, “
…L’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi-..”. Perché Diaz sottolinea
questa inferiorità iniziale, dal momento che fu l’Italia e non l’Austria a
dichiarare la guerra ? Questa frase scritta dopo l’esito vittorioso è una velata
polemica verso i governanti che nel 1914, dopo la neutralità avevano lesinato i
fondi all’esercito, e poi nel 1915 avevano tenuto all’oscuro l’allora Capo di
Stato Maggiore, Cadorna. delle trattative che portarono al Patto di Londra,
firmato il 26 aprile, accettando la richiesta dei nuovi alleati di entrare in
guerra entro un mese da tale data, senza dare quei tempi necessari per
preparare il piano di guerra e la mobilitazione generale. Segno tipico di
incomprensione e di non conoscenza dei politici nei confronti dei militari e
dei relativi problemi, che Cadorna contraccambiò dopo l’entrata in guerra. Per
cui il responsabile massimo della vicenda bellica, Diaz,quale Capo di Stato Maggiore
Generale, voleva sottolineare con questa frase le difficoltà superate grazie alla
tenacia del soldato italiano,al suo spirito di sacrificio,unito a quello di
tutta la nazione, ed allo sforzo delle nostre attività produttive, in primo luogo
l’industria bellica, che avevano saputo recuperare il distacco iniziale e raggiungere
la vittoria, malgrado anche la dolorosa e drammatica sconfitta avvenuta un anno
prima, a Caporetto. Di queste problematiche relative alle spese militari ed
alla preparazione dell’esercito, la migliore sintesi fu espressa proprio in
questo Circolo REX cinquant’anni or sono, in una conferenza tenuta dal col.
Enzo Avallone, stampata in un volume che è stato pubblicato nuovamente dal
nostro Circolo nel 2017, con il titolo “La Guerra 1915-18”, ( collana “i libri del
Borghese” – ed. Pagine s.r.l). Avallone ricorda e fa presente la nascita dell’Esercito
Italiano avvenuta poco più di cinquanta anni prima, in una nazione dove solo
due Stati, principalmente il Regno di Sardegna, ed in minor misura il Regno di
Napoli, nel periodo napoleonico e murattiano, avevano delle tradizioni militari
ed esperienze guerresche, per cui, anche in questo caso, come per le ferrovie,
strade, scuole, ospedali in molte zone d’Italia, specie meridionale, si era partiti
quasi da zero quanto ad attitudini militari, senso della disciplina, del dovere,
spirito di servizio e di corpo, ad eccezione dei carabinieri, bersaglieri ed
alpini. Quanto alle esperienze avute in precedenza dal nuovo Stato, dopo il
1866, le stesse erano state tutte in guerre coloniali, da quella etiopica degli
anni 1887-1896, coinvolgente un numero esiguo di militari, meno di 20.000, e che
aveva visto una dolorosa sconfitta ad Adua (il 1 marzo 1896 con ben due generali,Arimondi
e Dabormida morti in combattimento), ma contemporaneamente aveva mostrato il
valore ed il coraggio personale di soldati ed ufficiali,( da Dogali con il
colonnello De Cristoforis, caduto combattendo insieme il 26 gennaio 1887 con i
suoi 500 soldati, a Makallè, con Galliano, e all’Amba Alagi, con Toselli), alla
guerra di Libia del 1911-1912. Guerra, quest’ultima, preparata con cura, e il cui
corpo di spedizione aveva raggiunto le 100.000 unità,ma svoltasi in territori,
in parte sconosciuti, ben diversi da quelli europei e senza alcuna battaglia
campale, con prevalenza di imboscate e guerriglia, dove però i primi nostri
velivoli dimostrarono la necessità di una aviazione militare per l’osservazione
e successivamente il mitragliamento ed il bombardamento delle truppe nemiche.
Quindi la guerra iniziata il
24 maggio 1915 costituì il primo grande banco di prova per le nostre forze armate,
costituendo, come riconoscono oggi tutti i commentatori, storici, memorialisti,
giornalisti, la consacrazione della nostra unità come nazione e come popolo,
anche se pagata con un alto prezzo di caduti, prezzo che pagarono in misura molto
maggiore sia chi aveva scatenato il conflitto, gli imperi germanico ed
austroungarico, uscendone uno territorialmente ridimensionato e l’altro dissolto,
sia dall’altra parte la Francia, per l’acquisto dell’Alsazia e Lorena, sia la
Gran Bretagna, per l’aumento delle sue colonie africane, senza parlare dell’impero
russo,che si dissolse anch’esso e dove i morti furono milioni. E quanto allo
sforzo organizzativo ed economico relativo all’esercito sarà bene ricordare che
il Regno d’Italia mobilitò nel corso dei 41 mesi di guerra, 5.230.000 uomini,
cioè oltre il 14%, dei suoi 36.820.000 abitanti, cifra imponente, anche se
inferiore a quanto mobilitato dagli altri belligeranti,dove la Germania toccò
il massimo del 20,30% e la Francia il 20,08% di mobilitati rispetto alla popolazione
totale, dove si deve tenere presente la suddivisione quasi paritetica tra uomini
e donne.
Espresse queste doverose precisazioni
rimane il problema di fondo rilanciato in questo centenario se il nostro
intervento poteva essere evitato e sui costi gravosi dello stesso. Abbiamo già
precisato che l’Italia nessuna responsabilità aveva avuto per lo scoppio della
guerra, secondo la politica del nuovo Stato Unitario, che aveva altri problemi
che non si risolvevano con la guerra per cui per la sua tranquillità aveva
aderito nel 1882 ad una alleanza difensiva, la “Triplice”, ed aveva dovuto
frenare le spinte irredentiste. Per questa scelta necessaria la stessa Monarchia
Sabauda veniva accusata di essere rinunciataria e di aver tradito addirittura gli
ideali del Risorgimento, dimenticando che se, intanto vi era un Regno d’Italia,
comprendente quasi tutta l’Italia storica e geografica, il merito spettava a quella
Monarchia e non a certi teorici, di cui preferisco non parlare. Si gridò nel 1915
anche “o guerra o repubblica”, ma non fu per questo che entrammo poi in guerra,
ma quando le trattative diplomatiche dimostrarono che il “parecchio” si
riduceva a poco o nulla, vedi le ultima offerte del ministro austriaco,il
barone von Burian,( riportate nel “Libro verde” dei nostri documenti diplomatici),
specie nei tempi di realizzazione, ed era stato quasi imposto dai tedeschi all’Austria,
dove sia l’Imperatore Francesco Giuseppe,che il suo nuovo Principe Ereditario
Carlo, non volevano assolutamente rinunciare al Trentino. Più precisamente trattavasi
solo di parte del Trentino, ed era appunto frutto dell’azione di un uomo di
stato tedesco, il Principe Bernhard von Bulow, già Cancelliere dell’Impero Germanico,dal
1900 al1909, che mandato ambasciatore straordinario a Roma dove conosceva numerose
personalità, avendo anche sposato una nobildonna italiana, figlia della Principessa
di Camporeale, si era quasi sostituito nelle proposte agli uomini di stato austroungarici,
con una lungimiranza alla quale la storia avrebbe dato ragione, senza però concludere
nulla di veramente soddisfacente territorialmente per cui non ci rimaneva che la
scelta delle armi. La neutralità ad oltranza “inconsistente ed ininfluente”,
come definita da Fisichella in un suo saggio,non avrebbe pagato qualunque fosse
stato la schieramento vincente,mentre non erano da escludere al nostro interno rivolte,
scontri violenti, scioperi e sommosse, quasi una guerra civile fra neutralisti ed
interventisti, sentitesi traditi, per non parlare anche di problemi alimentari,
al limite di carestia, e di altri approvvigionamenti di materie prime, in primo
luogo del carbone, indispensabile motore, all’epoca, di ogni attività, che ci
dovevano pervenire tutti via mare, dove la navigazione commerciale era a
rischio. Problemi non considerati all’epoca dai neutralisti ed oggi dai “neoneutralisti”
del “senno del poi”. “Conoscere per deliberare” scriveva Einaudi nelle sue “prediche
Inutili” e questa sintesi è sempre più valida ancor oggi, dove meno si conosce e
più si delibera !
Stranezze della storia e
della politica: un tedesco, von Bulow, nel 1915 decide la possibile cessione di
territori appartenenti ad un altro stato sovrano, ed anni dopo nel 1917, un
austriaco, l’Imperatore Carlo, nel tentativo di impostare una trattativa di
pace mette sul piatto della bilancia per facilitare ai francesi la accettazione
della sua proposta, la restituzione delle due regioni dell’Impero Germanico,
Alsazia e Lorena, acquisite dallo stesso dopo la vittoria sulla Francia del
1870, senza consultare il collega ed alleato Guglielmo II, e dimenticando volutamente
l’Italia, per la quale non era previsto nessun compenso territoriale. Dimenticanza
che fu uno degli elementi che fecero fallire la trattativa, perchè le potenze
dell’Intesa non potevano non tenere conto di quanto da loro accordatoci con il
“Patto di Londra”.
Le ombre.
Abbiamo quindi esaminato le luci,
ma già nei primi del 1918 erano cominciate ad addensarsi delle nubi. Il 18 gennaio,
parlando al Congresso, il Presidente degli Stati Uniti, Thomas Woodrow Wilson, del
partito democratico, aveva enunciato 14 punti per addivenire ad una pace giusta
e tra questi vi era un preciso riferimento alla Serbia e ad un suo sbocco sul
mare Adriatico ed un altro punto non favorevole all’Italia ed ai suoi nuovi
possibili confini, anche per una abile azione propagandistica di esponenti
slavi a favore delle loro tesi espansionistiche. Gli Stati Uniti erano infatti
entrati da alcuni mesi in guerra a fianco delle potenze della Intesa, il 6
aprile 1917 contro la Germania ed il 7 dicembre contro l’Austria,ed i soldati americani
stavano sbarcando sempre più numerosi in Francia, dove si sarebbero rivelati indispensabili
nel rafforzamento dello schieramento difensivo,che avrebbe arrestato l’ultima
grande offensiva germanica. Quindi Wilson era diventato un elemento determinante
dell’alleanza di cui facevamo parte ed i suoi “punti”, una nuova base di
discussione in vista della conclusione della guerra, e, per quanto ci riguarda non
era legato al “patto di Londra”, non essendone stato sottoscrittore. Inoltre,
proprio nei giorni immediatamente precedenti l’armistizio, era avvenuto un
fatto incredibile, fortunatamente subito bloccato, che riguardava l’ancora imponente
flotta austroungarica. Il 31 ottobre, l’Austria-Ungheria, con documento
formale, conformemente al rescritto dell’Imperatore Carlo, redatto il 30,
mentre l’impero si dissolveva, come un ultimo atto, cedeva l’intera flotta,con i
suoi servizi a terra e tutti i materiali, ad un Consiglio Nazionale Serbo,
Croato e Sloveno, costituitosi il precedente 29 ottobre a Zagabria!
Trasferimento avvenuto alle 9 del mattino del 31 ottobre alle Bocche di Cattaro,
per cui i marinai mutarono già i berretti con i distintivi jugoslavi. Abbiamo detto
“fortunatamente bloccato” perché l’Intesa, non poteva riconoscere, ai sensi del
diritto internazionale, questa nuova potenza marittima ed i nostri marinai,
dopo l’armistizio poterono prendere possesso di queste navi, che il successivo 25
marzo 1919, furono passate in rivista dal Re Vittorio Emanuele.Per la storia,a
puro titolo informativo, il successivo 13 gennaio 1920 le potenze vincitrici,
ed in primo luogo l’Italia si divisero queste navi e delle corazzate rimaste,
l’Italia ebbe la “Tegetthof” ( gemella della “Santo Stefano” e della “Viribus Unitis”,
da noi affondate ) demolita nel 192 5, ed al nuovo stato jugoslavo, formalmente
costituito dal 1 dicembre 1918,fu assegnato solo qualche naviglio minore.
Questa fu l’avvisaglia di
quanto sarebbe poi avvenuto per Fiume e per la Dalmazia in sede di trattato di
pace. A questo punto è necessaria una riflessione per come oggi vengono
giudicati gli avvenimenti passati, senza la contestualizzazione degli stessi,
per cui ad esempio oggi negli USA, Cristoforo Colombo è considerato un genocida
e Washington e Jefferson degli schiavisti. Perciò parliamo del Patto di Londra,
contestualizzandolo, quando oggi viene appunto criticato, perché vi si parlava
di Dalmazia, ma non di Fiume.
Ora questo Patto discusso nei
primi mesi del 1915 e concluso ad aprile nei suoi scopi non aveva la dissoluzione
dell’impero austroungarico, ma solo il suo ridimensionamento con l’acquisizione
da parte del Regno d’Italia del suo confine geografico, le Alpi, contenenti
terre dove vivevano degli italiani e altre di antica civiltà veneta, cioè italiana,
dove era sentito e profondo il desiderio di ricongiungersi con le altre regioni
d’Italia, finalmente riunite dopo secoli di dominio straniero e di dinastie straniere-
Unità, sia pure ancora incompleta, ottenuta grazie al Risorgimento,alle sue
Guerre d’Indipendenza ed all’opera dell’unica casa regnante italiana, la Casa
Savoia. Ben diversa era invece la situazione il 4 novembre 1918: l’impero era
dissolto, l’Austria stava per divenire repubblica,i cecoslovacchi erano già pronti
a costituire il nuovo stato, l’Ungheria si era definitivamente separata ed
infine gli slavi si stavano predisponendo a creare una grande Serbia. L’Italia era
ad un bivio: richiedere l’applicazione testuale del Patto di Londra o accettare
il principio wilsoniano della nazionalità. Nel secondo caso Fiume era
indiscutibilmente italiana, e già il 30 ottobre, il suo Consiglio Nazionale aveva
proclamato, con nobili espressioni, la volontà di congiungersi all’Itala, ma cosa
dire dell’Alto Adige e del retroterra dell’Istria e Dalmazia dove la situazione
era diversa, perché l’Austria, iniziato il nostro Risorgimento, aveva favorito l’avanzata
slava, fino a farla diventare maggioritaria in molte parti, originariamente italofone.
Tra le due strade all’inizio fu battuta quella del “Patto”, e, divenuti gli
slavi un nuovo regno, con ambizioni territoriali, si trovò con loro, con il
trattato di Rapallo del 12 novembre 1920, l’accordo, positivo ai fini della sicurezza
nazionale,sul confine istriano, delle Alpi Giulie, di cui faceva parte il Monte
Nevoso, (il cui titolo di Principe, fu successivamente concesso a d’Annunzio dal
RE), e sulla enclave della città di Zara, divenuta provincia, con un territorio
di 110 chilometri quadrati, una popolazione di circa ventimila abitanti,ed un
solo altro comune,Lagosta, nonché le isole di Cherso e Lussin e altre isolette
delle Curzolane, dove ancora la maggioranza era italiana. Il nodo fiumano, dopo
la vicenda dannunziana che costrinse all’ intervento militare, “il Natale di
sangue “ del 1920, governando Giolitti, si concluse a nostro favore dopo alterne
vicende, con l’annessione definitiva del 1924, sia pure concedendo alla
Jugoslavia una parte della città e del porto, con il nome di Porto Barros. A titolo
di cronaca, per dare lavoro a Fiume fu potenziato il locale cantiere navale (
Cantiere Navale del Quarnaro) da dove uscirono numerose unità della Regia Marina
( cacciatorpediniere, torpediniere e sommergibili) e così pure per Trieste (
Cantieri Riuniti dell’Adriatico e Stabilimenti Tecnici), dove furono, tra
l’altro, costruite la grandi corazzate “Vittorio Veneto” e “Roma”.
Conclusione
Fu dunque in definitiva,
così “mutilata” la Vittoria ? Per la Dalmazia, in parte, forse, ma una striscia
costiera,quasi senza retroterra,una lunga linea di confine,che Cadorna stesso aveva
ritenuto, a suo tempo, essere difficilmente difendibile, e con una popolazione in
maggioranza non amica, ci avrebbe giovato ? E per l’ex Impero Ottomano era così
importante acquisire quella parte della Turchia prospiciente le isole dell’Egeo,
il Dodecanneso, che invece ci furono definitivamente assegnate,quando poi per
la stessa ci saremmo trovati di fronte Kemal Pascià, cioè Ataturk, che costrinse
alla ritirata l’esercito greco addentratosi verso Smirne e reintegrò la Turchia
in quelli che sono ancora oggi i suoi confini ? E per le colonie ? non
dimentichiamo che la nostra non era e non doveva essere una guerra “imperialista”
e l’Impero Austroungarico era l’unico paese europeo che non avesse alcuna colonia
sulla quale poter esercitare qualche diritto. Chi lanciò il termine della
“vittoria mutilata”, arrecò da una parte un forte argomento ai neutralisti che
potevano dire come il nostro sforzo, costato centinaia di migliaia di morti e
mutilati, non avesse prodotto il risultato sperato e vantato, e dall’altra provocò
risentimenti e malcontenti, in parte ingiustificati, che portarono ai torbidi anni
immediatamente successivi alla conclusione della guerra, grazie alla quale,invece,
si era ricongiunto al Regno d’Italia il Trentino e l’Alto Adige, (denominati
Venezia Tridentina), con il confine al Brennero, e l’Istria ( denominata Venezia
Giulia) e le città di Trento, Bolzano, Gorizia, Trieste, nonché Pola, Fiume,
Zara (quest’ultime tre purtroppo successivamente perdute). Vittoria, quindi non
mutilata, che dobbiamo ancora oggi ricordare, commemorare, celebrare, essendo la
grande vittoria dell’Italia, e della sua raggiunta Unità, e che ci inserì nel ristretto
gruppo delle maggiori potenze europee, e consacrare la giornata del 4 novembre,
quale vera, unica Festa Nazionale.
Domenico Giglio
******************
APPENDICE – Numero 1 ) -Bollettino
del 4 novembre 1918 – ore 12 dal Comando Supremo del Regio Esercito
“La guerra contro l’Austria-Ungheria
che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano,
inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile
e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi è vinta. La gigantesca
battaglia ingaggiata il 24 dello scorso mese dello scorso ottobre ed alla quale
prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi,
una cecoslovacca ed un reggimento americano contro settantatre divisioni austroungariche,
è finita. La fulminea ed arditissima avanzata del XXIX corpo d’armata su Trento,
sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad
occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV,
ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al
Torre l’irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle
divisioni di cavalleria ricaccia sempre più indietro i nemico fuggente.
Nella pianura, S.A.R. il
Duca d’Aosta, avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata,anelante
di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva
perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite
gravissime nella accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha
perduto quantità ingentissime di materiali di ogni sorta e pressoché per intero
i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila
prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti
di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine
e senza speranze le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza.
DIAZ
APPENDICE - Numero 2 ) –
onorificenze concesse alle persone:
387 Medaglie d’Oro
38529 Medaglie d’Argento
59490 Medaglie di Bronzo
23368 Croci di Guerra al
V.M.
Totale 121.775
***************
BIBLIOGRAFIA
1) Felice de Chauroud (
generale)– “Come l’Esercito Italiano entrò in guerra” – ed. Mondadori –Milano –
1929
2) Amedeo Tosti – “come ci
vide l’Austria Imperiale –dall’ultimatum alla Serbia a Villa Giusti”
–ed.Mondadori -1930
3) Giovanni Mira – “ Autunno
1918.Come finì la Guerra Mondiale” – ed. Mondadori –Milano – 1935
4) Roberto Segre ( generale)
– “La missione militare italiana per l’Armistizio”- ed.Zanichelli- Bologna-
1928 -
5) AA.VV. (
D’Andrea,Avallone,Tur,R.Lucifero) – “La guerra 1915-18”- ed.Pagine s.r.l.-
Roma- 2017
6) Giacomo Perticone –
“L’Italia Contemporanea- 1871-1945” – ed. Mondadori – Milano -1962
7) Fritz Weber – “Tappe della
disfatta “ – ed.Mursia – 1965
8) Carlo Meregalli – “Grande
Guerra – Tappe della Vittoria “- ed.Ghedina- 1996
9) Giuseppe Romolotti –“1914:
suicidio dell’Europa”- ed. Mursia-
10) Angelo Gatti – “Uomini e
folle di guerra”- ed. Mondadori – Milano -1930
11) Achille Benedetti-
“Cronache di guerra” – ed.Mondadori – Milano 1929
12)Mario Caracciolo (
colonnello)- “Bligny, Ardenne, Chemin des Dames”- ed. Libreria del
Littorio-Roma-1928
13) Amedeo Tosti – “Storia
della Grande Guerra” –vol. II°- ed. Mondadori - Milano 1938
14) Alberto Pollio (
generale) – “Custoza – 1866” – ed. Libreria dello Stato – Roma – 1935
15) A. Polzer Hoditz –
“L’ultimo degli Absburgo” – ed.Mondadori – Milao -1930
16) A.J.Taylor - “L’Europa delle
grandi Potenze” –ed.Laterza – Bari – 1961
17) Storia in rete – “1918:l’anno
della Vittoria” – numero speciale – Roma- 2018
18) Enzo Capasso Torre – “Il
centenario del conflitto” – stampato in proprio – Roma- 2015
19) AA.VV. ( Fisichella) -
Atti Convegno “La manovra in ritirata da Caporetto al Piave” – Roma-2017
20) periodico “Nuove Sintesi”-
Milano -numero 2 – dicembre 2018 – “Profilo della Grande Guerra degli
Italiani-da Caporetto a Caporetto” –
21) Camera dei Deputati
–Documenti diplomatici presentati al Parlamento Italiano dal Ministro degli
Affari Esteri ( Sonnino)- Seduta 20 maggio 1915-“ Libro Verde”- Tipografia Editrice
Nazionale – Roma - 1915
22) Raffaele Di Lauro –
“Italia e Casa Savoia” – ed. Tosi – Roma – vol.II
23) AA.VV. – “1918: La nostra
Vittoria –Cento anni dopo “ – ed.Centro Studi Cavalletto- Padova-2018
24) Giampiero Carocci ( a
cura di ) – “Il Parlamento nella storia d’Italia” – ed.Laterza – Bari -1964
Nessun commento:
Posta un commento