In una vecchia rivista, casualmente,
ho trovato le nomine di sedici nuovi cavalieri effettuate dall’ultimo Re
d’Italia Umberto II. Dal giornale “Tribuna Politica” dell’ottobre - novembre
del 1980, trovo questo scritto: “In occasione del 150° anniversario della
creazione dell’ordine civile dei Savoia voluto da Carlo Alberto per onorare
coloro che “abbiano conseguito un nome glorioso nelle scienze, nelle lettere,
nelle arti e nella amministrazione”, Sua Maestà il Re Umberto ha nominato
cavalieri sedici alte personalità”. Tra di loro vi ho trovato il nome di uno
scrittore che mi è tanto caro.
Si tratta di Bino (Fabio)
Sanminiatelli, nato a Firenze, scrittore fra i maestri del novecento. E’ stata
una sorpresa positiva che mi ha dato una grande soddisfazione. Sono molte le
opere che ha scritto Sanminiatelli, scrittore garbato e onesto. Lo leggevo già
dai tempi in cui scriveva sul Tempo di
Roma e sul Giornale. Ho conservato questi articoli dall’usura del tempo.
Ho letto molte volte le sue opere ed in
particolare i diari che ha scritto. Nel diario – Ultimo Tempo - edito da
Rusconi, spiega sulla copertina il fascino che il diario ha avuto per lui: ”Qui
la mia persona, anche se presente, è fuori di me. Posso leggere senza arrossire
dopo essermi” liberato della verità” e aver cercato in me una nuova misura. Non
mi sono mai guardato allo specchio. E, se ho cercato di esprimermi, è stato per
me stesso, non per altri”. In questo suo ultimo libro dei diari, nel suo
percorso che va dal 1967 al 1976, ho trovato una sua testimonianza sulla Regina
Elena del Montenegro.
Scrive in data 16 gennaio 1970: “Ho
scovato in un cassetto una fotografia del Re Vittorio Emanuele III e della
Regina Elena, giovani sposi, che giocano a palla nei giardini del Quirinale.
Lui è proprio buffo, col berretto più alto delle gambe. Li vedo muoversi a
scatti ghiribizzosi come nei vecchi film di Ridolini. E mi è venuto in mente
ciò che mi raccontava mio nonno che era stato in diplomazia.
Era già a riposo quando Crispi lo
chiamò per affidargli una missione piuttosto delicata. “Vede,“ gli disse “il
nostro Principe di Napoli è…“ E alzò il dito mignolo della mano come per dire
che era mingherlino, cresciuto male, un
tappetto insomma. “Vorrei che lei andasse nel Montenegro. Mi hanno detto che le
tre figlie di padron Nicola sono ragazze sane, robuste, educate come si deve
alla corte degli Zar a Pietroburgo, che conoscono perfettamente varie lingue,
che insomma potrebbero a un tempo rinsanguare la razza ed essere delle perfette
regine. Lei vada, scelga, mi riferisca“. E mio nonno, con tutta la famiglia,
partì per Cettigne.
Ci stettero due notti: ché
nell’ultima locanda pioveva dal tetto e
si dovettero mettere per terra catinelle perché il pavimento non venisse
inzuppato. Da brava principessa – massaia Milena moglie di padron Nicola,
condusse mia nonna a casa sua, le mostrò la cucina, aprì gli armadi, per farle
vedere la biancheria che possedeva, e ne parve molto soddisfatta.
Dopo due giorni i miei si
stabilirono a Gravosa, che è la parte residenziale di Ragusa, verso il porto, e
di là comunicarono con la “ reggia di Cettigne. Tra Elena, Vera e Xenia, mio
nonno preferì Elena che gli parve la più seria, la più matura e la più alta. ( Conservo la
lettera scritta da lui a Crispi con la scelta che avrebbe fatto e la
motivazione). Dei fratelli Danilo e Mirko disse peste.
Tutto sommato mio nonno fece bene
il suo dovere e padron Nicola ( di cui mio nonno apprezzava l’intelligenza
pratica e birbona, la furbizia e un certo estro poetico) gliene fu grato. Ogni volta che venivano a Roma si vedevano e
il risultato è detto in quella innocente ottocentesca istantanea ferma sui
sovrani che giocano a palla( ma che a un tratto potrebbe mettersi
precipitosamente in movimento a suon di pianoforte)”.
La pagina poetica che scrisse
Sanminiatelli mi fa comprendere la forza d’animo che ebbe la Regina Elena. Il
loro fu un grande amore, il Re ogni mattina le portava una rosa, così trovai
scritto e così amo pensarlo. Questo amore raffigurato da Sanminiatelli fu un
amore che sopportò grandi eventi, ma rimase davvero grande. Sanminiatelli è uno
scrittore tra i più dimenticati della nostra letteratura, pur essendo uno
scrittore tra i più grandi. Se qualcuno entra in una libreria e chiede un suo
libro, spesso si sente rispondere che non ci sono pubblicazioni recenti.
Credo che lo scrittore toscano
meriterebbe d’essere pubblicato nei Meridiani, e in questo modo verrebbe
consacrato in modo ufficiale. Posseggo nella mia biblioteca quei volumi di
memorie e quasi tutti i suoi libri. Nessuno dovrebbe negargli un posto tra i
grandi della letteratura italiana. Questo scrittore che il Re ha voluto
nominare Cavaliere perché egli stesso e la sua famiglia hanno onorato il Re.
Nel cuore di Umberto II stravano
uomini come Giovannino Guareschi, _Roberto Ridolfi , Riccardo Bacchelli,
Salvator Gotta, Mario Missiroli e tanti altri. Nello studio del Re, carico di
libri come un bastimento, ci saranno stati di sicuro i libri di
Sanminatelli che parlavano del padre, trovando in essi il ricordo dei cari
genitori che non tramonta mai. Ebbene,
la grande solitudine del Re avrà sicuramente trovato sollievo leggendo
la seguente pagina di Sanminiatelli del 18 settembre 1967: “
Sono sempre più combattuto fra il
desiderio e la paura della solitudine. Non vedo attorno a me che gretti
depositari di una loro giustizia, rigidi seguaci di un credo, sia immanente che
trascendente oppure una turba di mediocri e invidiosi arrivisti a diposizione
del più forte: due razze pronte l’una alla guerra, l’altra alla vendetta,
fanatici gli uni per un freddo umanitarismo,
egoisti gli altri per stolto materialismo .. "
Alla morte del sovrano la sua biblioteca fu ceduta
ad un antiquario. Non so dove si trovino i libri del mio Re, ma quanto sarebbe
stato bello poter leggere quei libri che gli scrittori inviavano al loro sovrano in esilio. Quanto
questo arricchirebbe la conoscenza del Re. Quanto bello sarebbe stato il poter
conservare intatto la biblioteca del re e porla in visione a tutti coloro che
volessero conoscere in profondità la figura del re. Quanta poesia si trova
nell’immagine di un Re che nella sua dolorosa solitudine trovava conforto nella
lettura di quegli scrittori che non lo avevano dimenticato.
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