L'operazione Nazione.,
Gli è, - per racchiudere queste obiezioni in tre espressioni
sintetiche, - che la democrazia si difende nella democrazia e solamente
nell'osservanza delle sue condizioni essenziali e di quelle che sono chiamate
le sue regole del giuoco; gli è che la Libertà non può consistere, non può vivere, non
può difendersi né affermare i propri benefici, se non nelle libertà, cioè
nell'affermazione operante di tutte le singole libertà che la compongono, e
nella loro affermazione per tutti; gli è che la Nazione è una, e chiunque
assuma - come noi assumiamo - la
Nazione come realtà prima e centrale della vita e
dell'attività della Politica, non può che concepire la unità della Comunità
nazionale quale trascendente rispetto ad ogni distinzione di ideologie di parti
politiche, di ceti o di interessi sociali tra i suoi componenti, e quindi deve
respingere ogni discriminazione tra i componenti della Comunità nazionale che
muove dal dare a codeste distinzioni un rilievo maggiore che non all'unità nazionale tale da incrinar
questa; questa altro non può essere se non la solidarietà comune, nelle proprie
e comuni libertà, di tutti i partecipanti alla Comunità nazionale, solidarietà
trascendente ogni loro legittima, libera e necessaria, distinzione di ideologia,
di parte, di classe, di interessi.
Insomma: alla «operazione Togni», corredo reazionario di una
democrazia che ha bisogno di farsi «protetta» perchè non riesce a farsi
efficace noi contrapponiamo la «operazione Nazione», cioè la efficacia operante
della solidarietà comune nelle libertà comuni e proprie ed individue al di
sopra di ogni distinzione o discriminazione la quale tenti di intaccare o
incrinare quella nel nome di queste. Cioè: secondo la tradizione monarchica
italiana - della quale noi intendiamo essere, e crediamo che il PNM abbia per
primo il dovere di essere, interpreti e continuatori - noi affermiamo che oggi
bisogna ricostruire l'unità nazionale, visibilmente spaccata da una lotta
politica interna precipitata a lotta di classe tra due opposti interessi
internazionali ed internazionalistici, e che ciò bisogna fare riprendendo lo
spirito ed il metodo unitario mercè i quali la Monarchia dei Savoia
trasformò se stessa da fatto dinastico regionale a fatto unitario nazionale e
l'Italia da espressione geografica in Nazione. Quel che Vittorio Emanuele Il
fece operando politicamente con i Cavour e con i Garibaldi, con i Crispi e con
i Manin anziché con le caste e con i principii del «Palma Verde», quel che
Vittorio Emanuele III fece passando, immediatamente che fu assunto al Trono,
dalla politica dei Di Rudinì e dei Pelloux alla politica dei Zanardelli e dei
Giolitti, oggi noi monarchici italiani dobbiamo fare nei confronti della classe
operaia italiana sul terreno sociale, e non possiamo farlo se non operando
politicamente senza faziose discriminazioni nei confronti dei partiti
dell'Estrema Sinistra, attraverso i quali - si tratta di una mera constatazione
di fatto - la classe operaia ed i ceti che le si assomigliano trovano
principalmente la loro espressione politica.
Per trarre ispirazione da un testo di quella tradizione
monarchica e nazionale che ci illumina e che dobbiamo interpretare e
continuare, si cita qui quanto affermava, in una conferenza - tenuta a Milano
il 28 settembre 1890 sul tema «Il partito progressista costituzionale e le
classi lavoratrici», il Marchese Antonino di San Giuliano, la cui figura
politica è - specie per quanto si attiene alla politica estera, ma non soltanto
per questa - tra le maggiori di quella nostra Tradizione. «Poiché - egli
testualmente diceva - bisogna pur fare sempre il contrario di ciò che
desiderano gli avversari, così ciò ch'essi vogliono confondere noi dobbiamo
dividere. Non è tutto un complesso di errori il Socialismo moderno; esso
contiene errori misti a verità, anzi è questa mescolanza di verità che rende
più pericolosi gli errori; accettiamo ed applichiamo quanto si contiene di
giusto e di vero nelle rivendicazioni moderne degli operai, ed avremo tagliata
l'erba sotto i piedi agli avversari delle istituzioni ». Questo, che il San
Giuliano affermava nel 1890, e che dieci anni dopo doveva avere un inizio di
applicazione nel rivolgimento di direzione politica operato dal giovane Re non
appena assunto al Trono, é, e deve essere, oggi il punto di vista dei monarchici
italiani di fronte al Comunismo che altro non è che la radicalizzazione
delle posizioni socialiste di un
sessantennio fa; e di quanto esso ha radicalizzato le proprie posizioni di altrettanto
noi dobbiamo, nello scegliere questa nostra strada, radicalizzare le nostre.
Sul fondamento di queste convinzioni - per ci tare ad
esempio un solo problema fra i tanti la Sinistra Sociale
Monarchica, chiede nella sua mozione congressuale, che il PNM si impegni a
finalmente tradurre dalla carta nell'azione le proprie dichiarazioni
programmatiche sulla corresponsabilità e solidarietà dei tre fattori della
produzione (Lavoro, Tecnica, Capitale) nell'impresa, e ne tragga le conseguenze
promuovendo legislativamente la riforma strutturale della grande industria sulla
base della comproprietà del prodotto, e dell'equa ripartizione del profitto
comune come conseguenza giuridica di questa comproprietà, e del Consiglio di
Gestione come sua garanzia amministrativa e come suo organo e rappresentativo
ed esecutivo. Questo sosteniamo perchè questo è giusto ma lo sosteniamo con
maggior vigore e con maggiore urgenza perchè lo sostengono anche i comunisti e
diciamo: che bisogna essere pronti a studiarne ed affrettare la risoluzione di
questo come di altri problemi anche insieme con loro perché è, oltre tutto,
pericoloso (è questo il vero e solo «pericolo comunista») che essi riescano a coprire ciò in cui hanno
torto ed in cui bisogna opporsi ad essi (come le loro posizioni teoretiche
materialistiche, antireligiose, internazionalistiche) con queste vere e proprie
bandiere di Giustizia sociale, con queste vere e proprie bandiere di solidarietà
e di interesse nazionale. Quando e dove essi hanno ragione non bisogna esitare
(come se ci terrorizzassero i pregiudizi ideologici) ad andare d'accordo con
loro. Qui, su questa riforma di studiare, essi hanno ragione; e ci fa ridere
l'armatore napoletano il quali crede o vuol far credere di essere anche egli
fautore di una «giusta politica sociale» sbandierando, da quattro anni almeno,
lo specchietto per le allodole della partecipazione dei lavoratori agli utili
dell'azienda (partecipazione, beninteso, per concessione capitalistica e sui
bilanci fatti e amministrati solo dal Capitale!), senza accorgersi che questa
poteva essere posizione di progresso sociale nel 1890 (allorchè Di San Giuliano
parlava alla Cannobiana milanese), ma oggi non è più che un ferrovecchio
difensivo della reazione capitalistica.
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