I RAPPORTI
INTERNAZIONALI
Noi
siamo convinti che nessuno dei grandi problemi particolari italiani, e tanto
meno il problema italiano nel suo complesso, quello cioè di un Italia intimamente
rinnovata, sia possibile prescindendo dalla situazione internazionale, quale
essa è stata determinata dalla guerra e quale si va delineando. Anche questi
problemi vanno affrontati con fedeltà alle grandi linee direttive della
concezione democratica, quali sono state espresse nelle «quattro libertà» di Roosevelt
e negli «otto punti» della Carta Atlantica
Il
nostro realismo ci impone di considerare queste direttive come precisi impegni,
reciprocamente validi sul piano del rapporti internazionali.
E'
innanzi tutto necessario veder chiaro nel dati caratteristici della guerra che
ancora continua. Essa non è spiegabile con i vecchi sistemi di forze politico-militari
e tanto meno con gli slogans della propaganda fascista delle nazioni proletarie
in lotta contro le nazioni plutocratiche. Né è spiegabile con lo schema
economico-sociale della lotta degli imperialismi quale stadio finale dei regimi
capitalistici, poiché questa, ipotesi non si concilia, tra l'altro, con la
realtà dell'intervento dell'Unione Sovietica a fianco delle Nazioni
anglo-sassoni.
Questa
guerra ha un profondo valore religioso: la religione della libertà per il cui
trionfo milioni e milioni di uomini affrontano la morte. Ed essa arde non solo
fra gli Stati ma anche nei popoli. .
Questa
guerra poi rappresenta la crisi totale del sistema politico europeo. L'Europa
occidentale è caduta ed i suoi paesi sono stati sconvolti o distrutti dal
flusso e riflusso della vicenda militare. E' probabile quindi che questa
paralisi e questo decadimento dell'Europa da soggetto ad oggetto della
direzione politica mondiale si prolunghino per un notevole periodo di tempo.
Da
tali caratteri noi riteniamo che possa derivare ,un mondo più omogeneo
spiritualmente e forse politicamente che accetti il principio della
collaborazione internazionale, in un ordine internazionale comunque
giuridicamente e tecnicamente espresso. Ma ciò importa una revisione se non un
totale superamento del concetto, e della struttura dello Stato nazionale.
Oggi,
sarebbe dannoso ripetere l'esperienza della Società delle Nazioni che fu
paralizzata dal mantenimento paradossale e contraddittorio di una sovranità
statale in un ordinamento che formalmente la limitava. Dobbiamo impegnarci nel
nuovo ordinamento coli tutte le conseguenze che esso potrà implicare. Fra
queste però non può esservi certo quella della diminuzione e dello svigorimento
dell'idea di Nazione quale realtà morale, civile, culturale, sociale e
politica. E' anzi interessante notare come, insieme all'affermarsi
dell'esigenza, di un ordinamento superstatale, questa guerra abbia dovunque
rinvigorito e vitalizzato il sentimento nazionale. Quindi se lo schematico internazionalismo
è morto, è morto, ed in ogni caso deve morire, anche l'egoismo nazionalistico,
maschera dei più chiusi e più gretti egoismi. Non è possibile negare una
revisione del concetto politico di Potenza e di grande Potenza. Per quello che
ancora tali termini esprimono essi sono riferibili essenzialmente a grandi
complessi oceanici e continentali ai quali spetterà perciò nell'ordinamento
post-bellico una responsabilità ed una solidarietà contro eventuali ritorni isolazionistici.
Quanto
alla futura organizzazone internazionale, ci si domanda se vi sarà gerarchia od
eguaglianza. Il problema cosi posto è per noi oggi accademico ed astratto. Il
carattere democratico del futuro ordinamento internazionale non potrà sboccare
in un sistema rigido e cristallizzato, ma dovrà essere invece mobile snodato.
Come sul Piano interno, così sul piano internazionale l'azione democratica
dovrà essere diretta a vitalizzare e a liberare le individualità nazionali che
i pesi del dopoguerra frappongono alla loro ripresa piena, viva e vitale. Se
non si crede a questo, è inutile parlare di ordine internazionale. Esso infatti
dovrà basarsi solidamente sulla base di concreti e determinati interessi umani,
morali e materiali. Cioè, anche sul piano internazionale non può esservi
ordinamento che di per sé regga se non è sostenuto e difeso da un'attiva e
consapevole coscienza e volontà morale e politica e se non pone tutti, grandi e
piccoli, sullo stesso piano di eguaglianza, di diritti e di doveri.
Si
tratta perciò in sostanza di creare e di attivare concreti interessi umani,
morali e materiali, cioè dei grandi fatti che i cittadini del mondo devono
percepire fin nella loro realtà personale e quotidiana. L'edificio
internazionale rimarrà vuoto come l'immenso palazzo di Ginevra se non sarà
fondato su di una concreta e sperimentata solidarietà di interessi, la quale
sola può essere base per una successiva, formulazione e definizione giuridica
La
situazione dell'Italia.
Nel
quadro di questi dati direttivi noi collochiamo e prospettiamo gli specifici e
particolari problemi italiani. Risolto definitivamente con i Trattati del
Laterano un problema che in fondo per gli italiani già da tempo più non
esisteva nella sua sostanza, e che tanto meno può esistere oggi, dopo che le
recenti circostanze hanno dimostrato la vitalità umana della Chiesa in Italia e
diciamo umana in quanto è accettata anche da coloro che non credono nella sua
natura divina noi siamo profondamente convinti che l'esperienza democratica dell'Italia
è legata alla sorte, alla capacità e alla vitalità dell'ordine internazionale
democratico. Ciò importa una precisa responsabilità nostra nel sentire e
nell'impostare sul piano internazionale i nostri problemi, ma importa
soprattutto corresponsabilità e solidarietà degli altri nei nostri confronti,
Ma questi problemi in definitiva e con carattere di urgenza si riducono ad uno
solo: la nostra partecipazione alla guerra ed alla pace. Poiché non vi può
essere partecipazione alla guerra se non vi è partecipazione alla pace che è lo
scopo che la guerra
si
prefigge. Abbiamo accettato senza beneficio di inventario la tremenda eredità
fascista. Abbiamo pagato e stiamo ma è
necessario e giusto che noi sappiamo
quanto dobbiamo pagare.
Se
la giustizia internazionale sarà veramente instaurata nel mondo e se gli
Alleati saranno coerenti a quanto più volte hanno proclamato, di fare cioè la
guerra al fascismo e non al popolo italiano, difficilmente potranno essere
imputate solo al popolo italiano le colpe del fascismo, Il popolo italiano può avere
errato ma conviene ricordare agli accusatori di oggi quali e quante forze
straniere, non antidemocratiche, appoggiarono ed incoraggiarono Mussolini ed i
suoi fascisti.
Noi
siamo convinti che il popolo italiano è capace di dare e di soffrire ancora
purché il sacrificio non appaia vano e si intraveda una speranza. Questo popolo
che vuol risorgere che ha combattuto e combatte, per risorgere, dovrà
riprendere il suo posto tra le Nazioni libere, poiché si è tormentato e rifatto
nello sforzo della liberazione. Siamo cioè convinti che la parità di diritti,
l'alleanza formale non può essere né un dono né un anticipo, ma una dura,
dolorosa conquista da parte del popolo italiano, quindi un suo preciso diritto.
Agli
Alleati, questi che semplicemente e naturalmente noi chiamiamo Alleati, noi non
chiediamo che di metterci nelle condizioni di poter intensificare questo
travaglio della nostra liberazione questa conquista della nostra libertà
internazionale. Ma l'alleanza significa il riconoscimento, della piena ed
effettuale indipendenza, poiché non è concepibile l'indipendenza di uno Stato
che non sia in condizione di esercitarla prima di tutte sul piano della
politica interna. Ma perché questo possa avvenire noi riteniamo che occorra dimostrare
agli Alleati di avere un Governo capace di assumere la piena responsabilità del
suo operato nei confronti del popolo.
E'
evidente che non possiamo concepire la vita dell'Italia senza una sua
consapevole partecipazione alla costruzione dell'ordine internazionale.
Accetteremo con assoluta serenità quelle revisioni delle gerarchie di Potenza
che la guerra ha operato se ne saremo costretti, purché esse implichino un'equa
accettazione da parte di tutti dei corrispettivi doveri. Forse non siamo più
una grande Potenza. Siamo però un popolo che, per la sua ricchezza interiore,
le sue capacità, le sue risorse morali ed intellettuali, può essere ancora un
grande popolo.
Un
popolo che ha dei problemi e delle precise condizioni che possono e devono
essere risolti in un sistema di collaborazione internazionale. E' necessario
però che di ciò siano tutti convinti dentro e fuori.
Il
nostro Paese ha, bisogno di opportunità di lavoro e di progresso individuale,
fondamenti dell'esperimento democratico. Il quale quindi è legato anche alla
misura ed alla tempestività dell'assistenza con la quale i Paesi più ricchi
aiuteranno i più poveri a conseguire la libertà dal bisogno.
Il
nostro popolo ha una sua moderna storia politica, nella quale ha conquistato la
sua indipendenza e la sua unità, e l'ha conquistata nella libertà e per la
libertà. Queste popolo vuole che questa unità nazionale, non sia comunque messa
in pericolo ed in discussione Perciò esso si attende che i suoi confini, quei
confini che, ha raggiunti in una guerra che, se fu l'ultima della sua
indipendenza, fu anche la prima della libertà europea, combattuta, dagli
italiani contro quegli stessi nemici che ci stanno era di fronte ed a fianco di
coloro insieme ai quali oggi combattiamo siano integralmente rispettati e
mantenuti
Non
possiamo perciò non veder senza allarme e diffidenza, sotto l'urgenza di
problemi tecnici, profilarsi la prospettiva di soluzioni politiche.
Tale
punto di vista vale anche per le colonie, che l'Italia prefascista aveva
conquistato, oltre che per la risoluzione di suoi problemi specifici
particolari, anche come prova della sua maturità e capacità di lavoro, di
organizzazione, di civiltà, e per contribuire, d'accordo con le altre Potenze
interessate, al mantenimento dell'equilibrio e alla diffusione della civiltà
europea. Per queste ragioni le colonie appartengono al patrimonio storico della
Nazione italiana e noi guardiamo al loro problema con delle prospettive e delle
esigenze di ordine storico, morale e politico.
Funzione
di pace
Vi
è un ultimo aspetto dei problemi internazionali che ci tocca molto da vicino.
Non ci riguarda tanto il problema tecnico-politico del modo di collaborazione
fra le Potenze, ma ci riguarda il fatto di tale collaborazione. Noi non
crediamo allo schema semplicistico sul quale ha speculato la propaganda
nazi-fascista della antitesi fra le Potenze occidentali anglosassoni e l'Unione
Sovietica. Noi riteniamo infatti che al disopra di qualsiasi motivo ipotetico
di future antitesi, vi sia oggi in particolare un profondo motivo di
solidarietà europea anti-nazista. In relazione a ciò vi sono larghi margini di
un'effettiva collaborazione nella ricostruzione mondiale post-bellica. Accanto
a zone di frizione, vi è la possibilità di avvicinamenti progressivi che se ad
un dato momento possono irrigidirsi ed aprire il conflitto, possono anche
fluire naturalmente in una sempre maggiore collaborazione.
Questo problema interessa particolarmente. noi italiani oltre che tutta
l'Europa continentale, poiché il nostro Paese è naturalmente posto ai margini
delle due grandi sfere di interessi: ai confini di un mondo slavo in cui
l'Unione Sovietica ha parte sempre più preponderante, e nel cento di un
Mediterraneo, settore di vitali interessi occidentali. Il nostro atteggiamento
di fronte a questi due mondi costituirà il grande problema della nostra
politica estera di domani. Per servire gli interessi del nostre Paese e insieme
quelli dell'Europa, noi riteniamo di dover escludere nel modo più netto di
poter costituire una barriera tra questi due, inondi, o peggio, una pedina
dell'uno contro l'altro. Dobbiamo invece costituire un punto di incontro
effettivo e necessario di collaborazione solidale.
Nessun commento:
Posta un commento