NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 16 aprile 2016

Elisabetta II d’Inghilterra: la vita di una regina che diventa icona

Il suo è il regno più lungo della storia britannica, talmente lungo da aver superato quello di tutti i suoi predecessori. Che dire, Elisabetta II d’Inghilterra è senza dubbio la regina dei primati.
Oltre 5000 capelli per uno stile inconfondibile: sobrio e conservatore nella foggia ma strabiliante nei colori. Non a caso, nel 2003, è proprio alla regina che fu dedicata una mostra organizzata a Kensington Palace: i suoi accessori, borsette e cappellini diventarono protagonisti di un’esibizione che solo in parte rese omaggio all’iconico stile di Elisabetta, celebre in tutto il mondo.
Elisabetta II è, ad oggi, la sovrana più longeva d’Inghilterra: record raggiunto il 9 settembre 2015, giorno in cui la durata del suo regno ha superato il record precedentemente appartenuto alla trisavola Vittoria, che rimase sul trono 63 anni e 216 giorni.
Ma proviamo a conoscere più da vicino Elisabetta, amatissima dal suo popolo e rispettata in tutto il mondo: una figura talmente iconica da rappresentare, con la sua sola persona, l’intera monarchia britannica.
Figlia primogenita di Giorgio VI ed Elizabeth Bowes-Lyon, Elisabetta era destinata a salire sul trono fin dalla nascita. Fu alla morte del padre, avvenuta il 6 febbraio 1952, che Elisabetta divenne Regina. L’incoronazione, tuttavia, ebbe luogo solo l’anno successivo, il 2 giugno 1953.
Esempio di lealtà, onestà e correttezza, Elisabetta II ha dedicato l’intera esistenza alla monarchia. Fu celebre il discorso di Cape Town, pronunciato in occasione del suo 21esimo compleanno, durante la sua prima visita ufficiale d'oltremare: "io dichiaro davanti a voi tutti che tutta la mia vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale a cui tutti apparteniamo", disse al microfono della radio.
Elisabetta ha mantenuto la sua promessa. Pragmatica, composta, con un carattere d’acciaio: ha servito sempre il suo paese, anche prima di diventare regina. Durante la seconda guerra mondiale, per esempio, partecipò attivamente agli sforzi bellici della Corona, unendosi al Servizio Ausiliare Territoriale, per il quale fu impiegata come autista per essere poi promossa a Comandante Onorario Junior.
Non è sbagliato affermare che conosciamo molto dell’Elisabetta pubblica, ma che dire dell’Elisabetta privata, moglie, donna e madre? La regina ha raccontato molto poco di le tanto che, in 64 anni di regno, non ha mai rilasciato un’intervista. Pur vivendo nell’epoca della comunicazione massiva, in cui chiunque ha la possibilità di raccontare e raccontarsi, Elisabetta II ha compreso pienamente il valore del silenzio.
Ma proviamo a scavare un po’ nel privato di una regina che è diventata simbolo d’Inghilterra. Che dire, per esempio, dell’amore? Sposata con Filippo di Edimburgo dal 1947, l’inizio della loro relazione sembra essere nato tra le pagine di un romanzo rosa: Elisabetta aveva solo 13 anni quando vide per la prima volta Filippo. La futura regina si trovava a bordo del Royal Yacht e, stando alle cronache dell’epoca, Filippo si mise ad inseguire la futura moglie a bordo di una semplice barca a remi. Tra loro cominciò una fitta corrispondenza, che poi sfociò nel matrimonio.
Il loro è (ed è stato) un matrimonio felice? Cosa si nasconde dietro la pesante coltre delle apparenze reali? Unmatrimonio fatto di continue scappatelle, pare. Sembra che Filippo non sia stato un marito esemplare, anzi. Un principe consorte farfallone, dal quale Elisabetta non ha mai preteso fedeltà. E' questo quanto emerge da una celebre biografia della regina, pubblicata nel 1996 da Sarah Bradford.
Ma lasciamo da parte l’amore, le scappatelle e gli scandali reali per concentrarci di più su Elisabetta: cosa piace alla regina? Ama i cani di razza Corgi e, nella sua vita, ne ha avuti oltre 30, nutriti rigorosamente con carne della migliore qualità. Il suo genere letterario preferito è il giallo e, ovviamente, tra le sue autrici preferite figura Agatha Crhistie.
Che dire, invece del suo stile? Come fa ad essere sempre così impeccabile? Molto semplice: gli orli delle sue gonne sono "arricchiti " di speciali pesi da tenda che impediscono all'abito di alzarsi. Sempre parlando di stile, poi, in moltissimi avranno notato che i suoi outfit sono costantemente accompagnati da una borsetta nera(lo stesso modello da 70 anni), dalla quale la regina non si separa mai, Il motivo? Il modo in cui utilizza la borsetta è un modo per comunicare, rigorosamente in silenzio, con il suo staff. Se la borsetta passa da un braccio all'altro significa che la regina è stanca della presenza del suo interlocutore; se, invece, la borsetta finisce sul tavolo, significa che, per la regina, è tempo di congedarsi. La sopracitata borsetta ha destato così tanta curiosità che le è stato addirittura dedicato un libro intitolato "What’s in the Queen’s Handbag: And Other Royal Secrets" (Cosa c'è nella borsa della regina e altri segreti reali).
Elisabetta II d’Inghilterra è molto più di una regina. E' una regina che diventa icona. 

venerdì 15 aprile 2016

La sovranità e l'identità nazionale durante il Regno d'Italia

L'evento  si svolgerà nella mattinata di domenica 29, dalle ore 9.30 alle ore 13, avrà luogo presso l'Arciconfraternita del SS. Nome di Maria, Foro Traiano n. 89 (adiacenze di Piazza Venezia), Roma

Su "La Stampa" di oggi


Eugenio di Savoia, il segreto del guerriero

Con la divisa degli Asburgo, fu tra i generali che fermarono i turchi a Vienna nel 1683. Si dice che amasse gli uomini e fosse spietato in battaglia
Il principe Eugenio di Savoia è uno dei più sfuggenti fra i grandi generali della storia. In 72 anni di vita non scrisse nulla che potesse svelare qualcosa del suo animo agli storici futuri, né diari né memorie né lettere private: solo una fitta corrispondenza d’ufficio, in parte autografa, in francese o in italiano, in parte dettata a segretari, in tedesco. Non si sapeva nemmeno di che nazionalità fosse, perché era sì un Savoia, ma d’un ramo cadetto ed era nato a Parigi....



giovedì 14 aprile 2016

Quanto costava la Monarchia e quanto costa la repubblica


Un quotidiano di Roma pubblicava in data 19 giugno 1957 la seguente lettera:

Reale Tenuta di San Rossore

Egregio Signor Direttore,

l’articolo di Gianni Granzotto del 15 scorso: «Quanti milioni occorrono per stipendiare Re e Presidenti» contiene alcune inesattezze che credo atto di giustizia dover rettificare.

1) L'importo della Lista civile assegnato a Vittorio Emanuele III era bensì di 11 milioni e 250 mila lire, ma poiché il Sovrano restituiva al Ministero del Tesoro il milione del dovario che lo Stato doveva per legge alla Regina Margherita, Egli passava alla Madre detta somma deducendola dal suo appannaggio. L'importo della Lista Civile veniva così ridotto a 10 milioni e 250 mila lire fino al 1927.

I Principi di Casa Savoia non avevano appannaggi speciali e le Principesse rinunciarono tutte alla costituzione della dote personale alla quale avevano diritto per legge, ma vi provvide sempre il Sovrano col suo patrimonio privato.

2) Non si possono fare paralleli con le liste civili straniere poiché queste avevano obblighi insignificanti in confronto con quelli della Corona italiana la quale doveva provvedere alle spese di manutenzione ed al miglioramento - senza diritto alcuno di rimborso - di circa un centinaio fra Palazzi Reali, residenze, edifici vari, basiliche, ecc. pervenuti al Demanio dagli Stati scomparsi ed addossati alla Corona. Queste spese alle quali vanno aggiunte le pensioni al personale dei vecchi Ducati e del Reame delle due Sicilie, assorbivano circa un terzo della Lista civile, spese che scomparvero (ma non tutte) soltanto nel 1919 con il trasferimento dei Beni della Corona al Demanio ed all'Opera Combattenti alla quale il Sovrano cedette ben 8.000 ettari di terreno produttivo, con frutto pendente.

3) Dalla documentazione tratta dall'Archivio del Quirinale (documentazione che i Comitati di Liberazione non fecero a tempo a far scomparire) risulta che Vittorio Emanuele III nei 46 anni di Regno beneficiò di circa 540 milioni che, dedotti di un terzo per la manutenzione dei palazzi e delle ville reali, si ridussero a 360 milioni. Di questi erogò per beneficenza, borse di studio, istituzioni scientifiche artistiche e agrarie, circa 120 milioni. Il Sovrano prelevava dalla sua Cassa privata 5 mila lire al giorno a titolo personale che la Regina Elena e le Principesse spendevano in beneficenza anonima in soccorso alla povera gente dei tuguri e delle soffitte. Egli stesso soccorreva artisti bisognosi con l'acquisto di quadri che da un recente inventario risultano essere circa 10 mila dei quali 5 mila già da Lui donati allo Stato. Totale di tutte queste spese a titolo benefico e soccorritore, poco più di 200 milioni. Rimasero dunque a disposizione della Corona per la vita quotidiana e per il suo decoro circa 160 milioni da ripartirsi in 46 anni di Regno.

Il solo Corpus Nummorum (la raccolta delle monete) regalato da Vittorio Emanuele III al popolo italiano è stato valutato 3 miliardi. Vi è un quadro antico alla Galleria Sabauda di Torino (costituita con danaro privato di Casa Savoia) che vale circa mezzo miliardo. E di quadri ve ne sono in questa Galleria ben 700! E poi il Museo egiziano, l'Armeria Reale, la Biblioteca con la raccolta di monete antiche di Carlo Alberto. Valori di miliardi lasciati in Italia a disposizione del popolo italiano. I gioielli così detti della Corona, di indiscutibile proprietà privata, furono da Re Umberto depositati alla Banca d'Italia. Egli partì da Roma con due modeste valigie di indumenti personali. Ecco perchè il patrimonio di Casa Savoia, malgrado le angherie persecutorie dei catoni repubblicani, è risultato a conti fatti di modeste proporzioni.

4) Altra inesattezza è quella riguardante la lista civile del Presidente della Repubblica. Essa infatti non consiste soltanto, come dice il Granzotto, nei 12 milioni dell'assegno personale più i 182 milioni di dotazione alla Presidenza, ma occorre aggiungervi i 10 milioni per la manutenzione dei beni (pochini davvero) e poi ancora l'assegno di ben 730 milioni al «Segretariato Generale della Repubblica». stabilito dall’art. 4 della legge 9 agosto 1948, n. 1077. Con recente decreto venne destinata alla Presidenza della Repubblica anche la tenuta di S. Rossore che ha un reddito di 130 milioni annui. Aggiunti al precedenti abbiamo un totale di 1 miliardo e 62 milioni, costo della Presidenza della Repubblica. Le obbiezioni sulla svalutazione della moneta valgano sia per la spesa Presidenziale che per quelle della Corona, ben inteso lese, prendendo per base le annate 1946-1948.

Venne dunque assegnata alla Presidenza una dotazione sulla base di 103 volte quella della Monarchia!

Distinti saluti  

MARIO VIANA

mercoledì 13 aprile 2016

La Giordania per il Santo Sepolcro


Un editto di Abdullah II ribadisce l’attenzione della monarchia hashemita verso i Luoghi di Gesù

Il Re di Giordania Abdullah II ha deciso di finanziare il restauro della Tomba di Gesù nella Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme.  Lo ha annunciato l’agenzia di stampa giordana Petra citando un editto reale pubblicato il 10 aprile. 
Dell’iniziativa è stato informato in una lettera il Patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, S. B Kyrios Kyrios Teofilo III. Il restauro era stato annunciato due settimane fa dalle tre confessioni cristiane che condividono la giurisdizione sulla Chiesa del Santo Sepolcro: i greco-ortodossi, i francescani della Custodia di Terra Santa e gli armeni.
Il restauro si è reso necessario per via del degrado della struttura provocato dall'umidità prodotta dal respiro delle migliaia di pellegrini e dal fumo delle candele. Esiste già uno studio e un progetto di intervento elaborato dalla National Technical University di Atene sul quale c’è l’accordo di tutte le parti: i lavori dovrebbero durare otto mesi e concludersi all'inizio del 2017. 
Fino a ieri, però, si parlava di un intervento che sarebbe stato finanziato dalle tre confessioni, da contributi pubblici erogati dal Governo greco e da benefattori privati.
“L’annuncio della Corte hashemita, è stato salutato come un gesto di grande generosità dal patriarca Teofilo III. 
“Il ruolo svolto dalla Giordania nella protezione della presenza dei cristiani in Terra Santa –ha sottolineato il patriarca – è chiaro e innegabile. Re Abdallah sta guidando gli sforzi di tutti i giordani nel seminare i semi dell’amore e della fratellanza tra musulmani e cristiani in questa era in cui guerre settarie stanno bruciando intere nazioni”.

lunedì 11 aprile 2016

Il Partito Democratico Italiano, di Enzo Selvaggi - VI parte


IL C. L. N. E IL SUO GOVERNO FALLIMENTARE


Questi problemi che riguardano il futuro assetto del Paese e dalla cui soluzione dipende tutto l'avvenire, sono strettamente legati all'attuale situazione politica. Il nostro senso di responsabilità, che noi sentiamo vivissimo verso il nostro futuro, ci costringe a giudicare nel modo più negativo e più severo, l'attuale situazione politica, così come è stata determinata e fissata dall'atteggiamento e dall'iniziativa di un gruppo di uomini che si sono costituiti dei partiti e si sono trincerati in un Comitato di Liberazione Nazionale, al solo scopo di impadronirsi del potere. Ho detto un gruppo di partiti non semplicemente i partiti, perchè questa seconda formula è ovviamente inesatta e consapevolmente o inconsapevolmente tendenziosa. Oltre a gruppi e movimenti minori, vi sono fuori del CLN almeno due partiti la cui realtà, come espressione di esigenze ideali, di forze e di interessi pratici, non può essere negata so non nella più completa malafede. 
Essi sono: il Partito Repubblicano Italiano ed il nostro. Noi sentiamo viva l'esigenza di impostare, il nostro atteggiamento politico su una linea di onestà, di sincerità e di lealtà. Siamo invece costretti a constatare come non sia onesto l'argomento con cui si tenta di giustificare il blocco monopolistico dei partiti del CLN allo scopo di dimostrare che in tale Comitato sarebbero rappresentate tutte le tendenze politiche. Non è onesto, perché non si può ignorare che i partiti politici non sono delle categorie concettuali, ma sono delle forze pratiche. Sul piano puramente ideologico i partiti sono, in effetti, troppi; ma sul piano pratico tale molteplicità è relativa alle particolari condizioni in cui,da noi è avvenuta la ripresa di una spontanea ed autonoma vita politica. 
D'altra parte, lo stesso atteggiamento del C.L.N. ha portato alla formazione di gruppi che, per non sottostare al suo monopolio, si sono contrapposti, quasi dei vis à vis, ai partiti della coalizione. Per conto nostro non possiamo che augurarci altro che la molteplicità dei partiti si risolva nella unificazione dei partiti affini, ben fermo restando che non si può parlare d, democrazia se esiste un partito solo o una rigida e chiusa coalizione di essi. Poiché i partiti, oltre, che essere organizzazione di forza e strumento di lotta, sono anche vincoli e strumento di educazione civile o politica. E in democrazia devono esistere tutti, poiché è il sistema che deve pensare ad eliminare quelli che non rispondono a esigenze diffuse. La larga fronda che. esiste oggi verso i partiti è frutto in parte del ventennale martellamento della propaganda totalitaria; ma in buona parte essa è conseguenza degli errori accumulati dai partiti della coalizione, dalla loro faziosità e grettezza.

Essi vogliono monopolizzare, la posizione antifascista e dichiarano perciò fascista ogni opposizione mossa al blocco del C.L.N. L'accusa è avventata perchè facilmente ritorcibile. Non dipende certo da noi o da una nostra particolare ipersensibilità se tanto spesso siamo costretti a constatare in alcuni partitì del C.L.N., e sopratutto nello stesso C.L.N., il perdurare di una mentalità, di un costume e di atteggiamenti che stranamente ricordano la mentalità ed il costume fascista. Tutte queste pretese speculano sull'assenteismo, il disorientamento e la debolezza degli altri. Ed hanno portato ad una situazione confusa, pesante, arbitraria, e all'allontanamento da una attiva collaborazione politica e civile di forze notevoli e moralmente preziose, solo perchè non, tesserate nel C.L.N. 
Questo fatto rivela il limite morale di tale coalizione. Essa si è isolata ed estraniata dal Paese e dal popolo che dice di rappresentare, ed ha costituito una terza Italia, indifferente e fastidiosa all'opinione pubblica. Nella lotta antitedesca ed antifascista, i C.L.N. hanno un valore come le forze ad essi estranee nella lotta clandestina con le quali la collaborazione, è continua perchè vi è un solo scopo da raggiungere: quello di liberare il Paese dall'oppressore. Ed è per questo che noi riconosciamo pienamente il C.L.N. del nord; ma qui, nell'Italia liberata, essi non possono avere più nessuno scopo. Poiché essi vogliono costituire uno Stato nello Stato, un monopolio intollerabile della vita pubblica, una oligarchia, senza avere avuto mandato alcuno da parte del popolo che, del resto, buona parte dei suoi Capi, non conosce. 
Poiché molti dirigenti del C.L.N. hanno vissuto fuori del Paese, lungi dall'oppressione della dittatura, risparmiandosi il martirio della lotta contro l'oppressore e della guerra, e sono rientrati al seguito delle Armate alleate.

La nostra opposizione

Questo è il nostro giudizio; e questo è il giudizio della massa degli italiani dell'Italia liberata. E questo giustifica e chiarisce l'atteggiamento da noi assunto di fronte al Governo espressione del C.L.N., che con la frode ai danni della Nazione si è impadronito del potere e si è miseramente risolto nella frode reciproca dei partiti. Riconosciamo che la nostra funzione dì oppositori è stata facilitata dalla situazione obiettiva che il Governo si è trovato di fronte: situazione di una gravità eccezionale. La nostra opposizione è stata nella forma e nella sostanza esclusivamente una opposizione democratica e costruttiva. Il Governo del C.L.N., che aveva perduta l'occasione di affermarsi positivamente e stabilire un diritto incontestabile alla direzione politica del Paese, quando all'infausto 8 settembre si limitò a cambiare il suo nome di Comitato delle Opposizioni in quello di Liberazione. Nazionale e il suo domicilio, questo Governo si dimostrò costituzionalmente incapace di affrontare quella grave situazione. Assunto il potere in giugno, dopo la liberazione di Roma da parte delle, Forze Alleate, esso rimase un blocco di partiti e di uomini accordatisi per ripartirsi il potere, per agganciarsi, controllarsi e neutralizzarsi reciprocamente ed avere la possibilità di costituirsi delle posizioni di vantaggio in vista di sviluppi ed eventualità future.


Bilancio passivo

Ne è conseguita una completa inazione governativa, la paralisi del potere centrale e l'anarchia periferica. Ecco il prezzo dell'accordo dei partiti, della cosiddetta tregua. Infatti, il bilancio di questi sei mesi di Governo è paurosamente passivo. Se in qualche settore la situazione è lievemente migliorata, come nei rapporti con gli Alleati, ciò è dovuto a fattori esterni.

I due punti programmatici che dovevano costituire la base e la ragione stessa del Governo: guerra ed epurazione, sono fino ad oggi arenati. Per la prima, si sono invocati normalmente alibi esterni. L'impostazione del problema dell'epurazione ha aumentato ed aggravato il disagio morale del Paese, di un Paese che per un ventennio, pur nei modi e nelle condizioni più diverse, aveva continuato a vivere dentro ed a fianco del fascismo. Essa procede con lentezza e raggiungerà i cosiddetti stracci, ma non colpirà i grossi e nascosti interessi. In questo campo bisognava avere un concetto chiaro e netto di che cosa il fascismo fosse stato. Ma tale concetto manca al Governo, ideologicamente diviso nel suo interno. E di ciò approfittano i partiti di sinistra per agitare demagogicamente la bandiera dell'epurazione coi solo fine di eliminare dai centri più importanti della vita civile ed amministrativa del Paese elementi vari, senza discriminazione alcuna, per sostituirli con elementi fidati che potrebbero garantire loro, al momento opportuno, il possesso completo del potere. E gli altri partiti tengono bordone a questa manomissione della vita pubblica. Tale problema doveva, invece, seguire delle linee giuridiche ed umane e delle esigenze obiettive, poiché un'operazione di tal genere ha senso solo se compiuta, per così dire, a caldo, d'urgenza.

Certe Indulgenze demagogiche, e sopratutto la mancanza di una linea precisa e ferma, hanno portato ad una paurosa paralisi dell'autorità statale, ad una crisi allarmante dell'ordine pubblico. Sul piano economico, che si riduce al problema alimentare, vi è stata incoerenza ed impotenza; si è scoraggiata in ogni modo la iniziativa privata, si è allargata la spossante bardatura burocratica e si è protetta e favorita una sola iniziativa: quella della borsa nera!

Sul piano sociale gli angosciosi problemi delle masse dì profughi e di sinistrati di fronte all'inverno incombente sono praticamente trascurati o affrontati con scarso senso sociale ed umano.

Da un lato alcuni partiti i quali, pur condividevano solidalmente le responsabilità dei Governo, non rinunciavano ad un'azione esterna secondo la loro vecchia tradizione, dall'altro il Governo, con le sue esigenze obiettive, Così che esso si è trovato nel Paese in un isolamento morale e ha alimentato la sfiducia

Questi dati passivi del bilancio governativo di sei mesi e la profonda divisione interna della compagine ministeriale non potevano che portare al crollo di essa ed alla dimostrazione della incapacità del C.L.N. di cui essa era espressione, a guidare le sorti del Paese. Ecco il quadro negativo della situazione attuale.

La crisi

Da una settimana la crisi, che dura ormai da sette mesi, si è acutizzata. Ciò ha avuto un preludio che ha portato alla designazione da parte del Luogotenente, che si è assunto tutte le responsabilità di fronte al Paese dell'on. Bonomi per l'incarico di costituire il nuovo Governo. In questa fase i partiti del C.L.N. in una ridda di ordini del giorno hanno chiaramente manifestato per l'ennesima volta, se pur ve n'era bisogno, la sostanziale impossibilità di conciliare le loro opposte ideologie e visioni della presente situazione. Poiché evidentemente alcuni di essi non sono riusciti a subordinare, nemmeno temporaneamente, queste ideologie all'interesse del Paese.

Da tale momento viviamo un intermezzo che corrisponde alle consultazioni dell'on. Bonomi per la costituzione del Governo. E' da presumere che egli abbia davanti a sé tre soluzioni: quella di costituire un, Governo con i partiti del C.N.L.; quella di scegliere alcuni partiti del C.L.N. ed altri fuori del C.L.N.; quella dì scegliere alcuni partiti del C.L.N. ed elementi tecnici.

Non sappiamo ancora quale programma di governo l'on Bonomi presenterà, poiché per il passato egli ha governato senza programma e non sappiamo a quale di queste tre, soluzioni egli si atterrà, o meglio quali di esse gli sarà possibile. Poiché non sappiamo se la dichiarata astensione dei partiti di sinistra da un Governo Bonomi si attuerà o meno. Troppo interesse infatti questi partiti hanno a rimanere al potere.

!Nel caso l'on. Bonomi fallisse nel suo incarico, una ancor maggiore responsabilità si presenterebbe al Luogotenente, il quale dovrebbe scegliere tra le forze del C.L.N. o altre forze, ma dovrebbe, anche tener conto degli Alleati. Infatti non più tardi dell'altro ieri il ministro degli Esteri britannico signor Eden faceva chiaramente intendere che sui membri di un Governo italiano gli Alleati hanno il diritto di esprimere il loro parere.

In queste circostanze il nostro atteggiamento è molto chiaro. Si tratta di salvare l'Italia, di salvaguardare la sua dignità, di assicurare quelle condizioni indispensabili per costruire la democrazia.

Noi abbiamo quindi bisogno di un Governo e al più presto possibile. Frattanto questa attesa, rende più umiliante- la nostra posizione ma rende anche più severo il giudizio degli stranieri, e, quel che più a noi interessa, il giudizio dei nostri fratelli che soffrono nel nord. Come non ricordare, come non sentire che, questi nostri fratelli si trovano nella condizione, e quanto più triste, nella quale ci trovavamo noi, qui a Roma, durante l'infausta occupazione nazi-fascista, quando giudicavamo con amarezza e con sfiducia le diatribe del congresso di Bari e degli uomini del C.L.N. di Napoli? Sappiano i partiti uscire dall'equivoco del C.L.N. dell'Italia liberata e subordinino le loro ideologie per lavorare insieme su di un piano comune che comprenda i problemi più urgenti del momento. Vi sia un Governo italiano, espressione democratica del popolo italiano, che sappia soprattutto rivalutare nel campo internazionale i sacrifici e lo sforzo di guerra del popolo italiano.

CONCLUSIONE

Signori. il nostro programma che riguarda i problemi interni, contingenti e futuri e i rapporti internazionali, vuole aderire strettamente ai principi democratici che garantiscono anche all'Italia condizioni di dignità e di parità, principi enunciati dalla Carta Atlantica. Occorrerà per questo che noi ispiriamo agli stessi principi la nostra politica interna. Ed in definitiva il nostro programma può riassumersi in un solo principio, in un solo concetto: democrazia, intesa principalmente come il diritto ed il dovere di ciascuno di vivere e di agire secondo l'imperativo della propria coscienza, come diritti dell'individuo limitati unicamente dai diritti degli altri individui e della solidarietà umana.

Noi quindi concepiamo la lotta politica soltanto sul piano di quell'armoniosa e vitale disarmonia, in cui si risolve l'azione democratica. E vorremmo che nella lotta politica, sul concetto di fazione prevalesse quello di partito, sul concetto di nemico politico quello di leale avversario, e su tutti il concetto dell'interesse superiore del Paese. Il nemico che dobbiamo vincere è la intolleranza, dalla quale è derivata la rovina della Patria. Solo allora potremo finalmente chiamarci popolo libero, capace di conseguire la definitiva libertà,


Possa il sentimento generoso col quale i nostri fratelli ed i nostri figli combattono per il riscatto della Patria trasfondersi nell'animo di coloro che, lontani dalle linee, partecipano alla lotta politica. Possa il sangue versato dai nostri soldati avvicinare il giorno di questa duplice vittoria, di questa duplice pace.


da Wikipedia
Il Partito Democratico Italiano fondato nel 1944 vide la confluenza di vari movimenti politici:
  • Centro della Democrazia Italiana
  • Partito d'Unione
  • Partito Sociale Democratico
  • Partito d'Unione Democratica
  • Movimento di Rinnovazione Democratica
  • Partito Progressista Italiano
Tra i maggiori esponenti del partito vi erano Roberto Lucifero e Vincenzo Selvaggi che ne fu il segretario.
Nel 1946 il PDI partecipò alle elezioni per l'Assemblea Costituente del 2 giugno nell'ambito della coalizione conservatrice Blocco Nazionale della Libertà (BNL).

Nel settembre 1946 il PDI si sciolse e i suoi esponenti confluiscono nel Partito Liberale Italiano e nel Partito Nazionale Monarchico.

giovedì 7 aprile 2016

Ancora sulle Reali Tombe...

Nel numero 11 del 21 marzo di Dipiú abbiamo pubblicato una appassionata intervista di Oliviero Marchesi con Maria Gabriella di Savoia, terza figlia dell'ultimo Re d’Italia Umberto secondo e di Maria José, ultima nostra sovrana. Maria Gabriella, amareggiata e polemica, con decisione e veemenza, domandava come il governo italiano potesse tollerare ancora che i suoi nonni, il Re e la Regina Vittorio Emanuele terzo ed Elena del Montenegro, riposassero all'estero, quando, non solo meriterebbero, ma avrebbero diritto, essendo nati sovrani d'Italia, a riposare al Pantheon.
Con altrettanta veemenza lo storico Mimmo Franzinelli, sessantuno anni, nello stesso articolo, dopo avere sentito da noi il contenuto della intervista, commentava: «Maria Gabriella e i suoi fratelli possono portare le spoglie dei nonni in Italia quando vogliono, perché la Legge non glielo impedisce. Certo, le onoranze funebri e il trasporto devono avvenire a spese loro. I Savoia possono certamente permettersi questa spesa; a loro i soldi non mancano». Oliviero Marchesi faceva notare che Maria Gabiriella non voleva che i nonni tornassero in Italia per una iniziativa della famiglia ma che venissero portati nel nostro Paese con una iniziativa ufficiale. Ma Io storico Mimmo Franzinelli replicava: «Questa è una richiesta inaccettabile, perché Vittorio Emanuele terzo ha un ruolo negativo nella storia d'Italia». Ora però un altro storico, Francesco Di Bartolomei, scrive una Iettera contro la opinione di Mimmo Franzinelli e tutta a favore della richiesta di Maria Gabriella.
Poiché le due opinioni, distanti anni luce fin dalla fine della guerra nel 1945, dividono la opinione pubblica fanno discutere ancora dopo settanta anni, pubblico qui di seguito la lettera appena arrivata di Francesco Di Bartolomei.


Gentile dottor Mayer, le scrivo in relazione all'articolo recentemente comparso su Dipiù che riguardava la questione della tumulazione dei Re d'Italia al Pantheon. Il problema è stato trattato dalla intervistata principessa Maria Gabriella di Savoia per quello che è: un qualcosa da pacificare, Poiché, al di là di meriti e colpe dei Savoia, al referendum del 1946 la metà degli italiani votò Monarchia, e tra loro si contavano anche figure come Benedetto Croce e Indro Montantelli, quantomeno la memoria di tali sentimenti meriterebbe rispetto da parte di chi ma ha vissuto tale periodo storico. Faccio presente ciò in quanto alla fine di detto articolo appariva un intervento del dottor Mimmo Franzinelli che contestava la possibilità che i Reali d'Italia venissero seppelliti a Roma con tutti gli onori che spettano a chi ha ricoperto il molo di capo dello Stato. Lungi da me obiettare a tuta opinione Persnale dei Professore, ma da studioso di Storia trovo alquanto inopportuno che qualcuno, che neanche ricopre qualche alto ufficio nella Repubblica, si senta in diritto di parlate a nome degli italiani e dei loro antenati. Chi scrive è figlio di un bombardato del quartiere di San Lorenzo a Roma (Seconda guerna mondiale), nipote di due internati in campi di concentramento tedeschi, pronipote di un caduto della Grande Guerra. Non mi permetto di chiedere che cosa abbia passato la famiglia del Franzinelli in quei tristi periodi, ma usando il metro del suo intervento credo di avere diritto di parola, E dovendo esprimere un giudizio, credo sia importante tumulare al Pantheon i due Re d'Italia e le loro consorti, proprio per rispetto a tutti coloro che sono morti in nome della bandiera italiana con stemma sabaudo, credendo in ciò che facevano e che per nostra fortuna erano di più dei disertori. Quanto alle responsabilità di Vittorio Emanuele terzo nei fatidici quattro punti evocati nell’articolo vorrei solo ricordare quanto detto da storici acclarati. Primo: è vero che il Re non firmò la stato di assedio all'atto della marcia su Rema e che successivamente non bloccò la scalata al potere di Benilo Mussolini, ma in tutto questo il duce ebbe l'appoggio del Parlamento e per tutta la prima fase del suo governo di importanti uomini politici non fascisti come Alcide De Gasperi e Giovanni Gronchi, poi critici verso il sovrano. Secondo: vero è che questo firmò le leggi razziali e l'entrata in guerra dell'Italia, ma, come ricordato dalla principessa, non poteva esimere la firma. L’alternativa era quella di abdicare; cosa che avrebbe anche potuto significare la fine della monarchia e che in pratica avrebbe consegnato l'Itala interamente nelle mani di Mussolini. Tale ipotesi, è facile pensarlo, poteva anche portare l'Italia a fare, nell'ultimo conflitto, la fine della Germsnia hitleriana divisa poi per quasi cinquanta anni. Terzo: quanto all'armistizio e all'allontanamento del Re da Roma si può citare ciò che disse a riguarda il presidente Cado Azeglio Ciampi; pur nelle ombre di quel frettoloso trasferimento salvò la continuità dello Stato. Oltretutto è noto che gli Alleati dichiararono quel documento con cinque giorni di anticipo (sul pattuito con il governo italiano), proprio per creare un nuovo fronte di tensione ai tedeschi. Quanto alla difesa di Roma, si può notare come questa fosse stata dichiarata dal papa, con il saggio consenso del governo, "cittá aperta”, proprio per evitare che ci si combattesse. In caso contrario un milione e mezzo di persone potevano essere messe a rischio, e forse oggi non ammireremmo più il Colosseo o il Pantheon stesso. Infine, trovo gratuite le accuse rivolte a Re Umberto che all'epoca dei fatti era solo un militare, che l'8 settembre chiese di rimanere a Roma e oltre a ricevere un "no" ebbe la intimazione (a riguardo ci sono molti memoriali di persone presenti al tutto) di seguire il Re e il governo, pena una sua eventuale messa in stato di fermo. Nonostante tutto ciò Vittorio Emanuele terzo rimane il re che ha compiuto l'unità nazionale con la vittoria nella Prima guerra mondiale, il periodo più glorioso di tutta la nostra storia unitaria. E c'è da notare che per le sue responsabilità non ha pagato solo con la perdita del trono ma anche e soprattutto con quella di una figlia, la principessa Mafalda, deceduta in un lager nazista. Mi domando quale politico italiano (a parte Cavour o Pietro Nenni) ha pagato, specie in epoca repubblicana, un tributo così alto alla Storia di questo Paese.

Francesco Di Bartolomei

Non voglio entrare nel merito della polemica, anche perché sinceramente vi dico che non ho un parere personale. Forse dovrei averlo, perché in passato ho frequentato a lungo molte persone di Casa Savoia, da Vittorio Emanuele quarto a sua moglie Marina Doria e ora anche il figlio Emanuele Filiberto; dal Re Umberto di Savoia che ho incontrato in diverse occasioni, a sua figlia Maria Beatrice, della quale mi trovai a essere testimone di nozze, per motivi che non fanno parte adesso di questo tema, quando lei sposò il diplomatico argentino Luis Reyna in Messico, a Ciudad Juarez; già la cittadina dove di recente è stato papa Francesco. Tuttavia il mio interesse, al tempo, nei confronti di Casa Savoia era esclusivamente professionale, perché all'inizio della carriera, casualmente, mi trovai a essere un po' il biografo dei fatti di attualità che coinvolgevano la famiglia Anche se i nostri rapporti erano a volte anche affettuosi e comunque sempre amichevoli, non entrammo mai in questioni politiche. Però è vero che, allora come adesso, i Savoia erano protagonisti della vita italiana e i loro comportamenti dividevano l'opinione pubblica. Come succede adesso. Quello delle tombe di Vittorio Emanuele terzo e di sua moglie certamente è un tema che riscaldava molto gli animi ieri come oggi. Azzardo una domanda rischiosa, perché so che potrebbe sollevare molte critiche: ma dopo settanta ami, vale la pena "litigare" per questi fatti? E’ vero, sono fatti storici, ma è anche vero che adesso la storia è cambiata, e questa contrapposizione sembra un po' fuori tempo. D'accordo, ci sono molti nostalgici della Monarchia ma essi devono farsene una ragione: i Re e le Regine in Italia non torneranno. Mai dire mai, però il trono nel nostro Paese pare molto improbabile. Si seppellisca dunque l'ascia di guerra che le tombe tornino pure in Italia, se i parenti ci tengono, e che vadano anche al Pantheon. Magari i Savoia potrebbero pagare le spese, tanto non credo sarebbe una spesa troppo alta; e potrebbero rinunciare alle onoranze ufficiali. Tanto il fatto avrebbe comunque  risonanza perché dividerebbe ancora una volta e quindi l'ufficialitá ci sarebbe lo stesso. Poi pensiamo ad altro, però.


Sandro Mayer

mercoledì 6 aprile 2016

Le parole profetiche dei monarchici negli anni 50

Lauro, la C. E. D. e il Capitalismo

Giacche il nome ne è venuto fatto per un esempio non secondario di quel che è la differenza tra una politica a contenuto sociale e una politica a contenuto capitalistico demagogicamente mascherata, dedichiamo un momento l'attenzione all'armatore Lauro, ed al suo tentativo di colpire alle spalle il PNM cm la pugnalata della secessione.

Perchè? Per conto di chi? Queste domande si impongono, giacché le questioni personali, Ie suscettibilità reciproche, ed anche una eventuale  rivalità per il controllo particolare di alcune posizioni dentro il Partito, tra il Segretario Generale e l'ex presidente del Consiglio Nazionale, non appaiono giustificazione sufficiente della secession partenopea. Per risolvere querele di questo tipo sarebbe bastata, anzi sarebbe stata più atta, specialmente in fase prcongressuale, una battaglia all’interno del Partito, questa, tra l’altro, avrebbe avuto per l’insoddisfatto un costo finanziario assai minore che non la secessione, il che è argomento da non trascurare, dato il soggetto. Occorre, dunque, una spiegazione politica al tentativo dell'armatore; e non è neppur sufficiente, nella sua enunciazione generica, quella che egli abbia voluto rendere alla Democrazia Cristiana un servizio, richiestogli dagli esponenti quadripartiti di essa. Il discorso, per esser serio, va approffondito.

Quattro elementi - senza andare ad altri meno recenti, ma non meno probanti - vanno tenuti presenti per approfondirlo, tutti e quattro politicamente indicativi, e tutti e quattro appartenenti all'ultimo anno di permanenza di Achille Lauro nel PNM, cioè al periodo vero di maturazione della sua insofferenza prima, e del tentativo secessionista poi: 1) l'atteggiamento sempre rigidamente mac-carthysta, tognino, bloccardo, tenuto dalla stampa personale dell'armatore editore di fronte al problema dell'anticomunismo, attegiamento sempre fuori, e qualche volta positivamente riamente tipico di altri ambienti; 2) Il peso determinante, rispetto alla linea ufficiale del Partito e notonante del «comandante» e dei suoi soci e clienti nel decidere l'atteggiamento negativo dei nostri Parlamentari verso il Gabinetto Fanfani; 3) il peso determinante da lui avuto nel determinare la adesione del PNM al blocco reazionario nelle «amministrative» di Castellammare di Stabia, la particolare impronta da lui e dai suoi personalmente data a quella campagna, e l'improntitudine con la quale la sua stampa. esaltò come una « grande vittoria» quella che in realtà è stata l'unica bruciante batosta elettorale subita dal PNM dopo il successo delle elezioni politiche; 4) Il preciso atteggiamento dell'armatore-editore, della sua stampa, dei suoi soci e clienti, dentro e fuori il PNM, a favore della C.E.D.

E' stato questo, si può dire, l'elemento determinante della tentata secessione, la quale è avvenuta nel momento in cui la Maggioranza quadripartita aveva bisogno, per la ratifica della C.E.D. (comunità Europea di Difesa), dell'avallo morale di almeno alcuni voti in pubblica fama di « nazionali », ed ebbe a questo fine il « cornandante » a propria disposizione giacché era fallita - malgrado le molte seduzioni esterne ed i ricatti interni - nel suo scopo di avere a propria disposizione per questo fine eminentemente antinazionale le forze veramente nazionali del PNM. La posizione cedista di Lauro era conosciuta sin da prima che egli abbandonasse il PNM e tentasse la secessione; i suoi amici e soci in politica ed in affari non facevano mistero, anche dopo il comunicato anticedista del Consiglio Nazionale, che sul suo favore alla C.E.D. «Lauro non avrebbe ceduto, né era disposto a transigere».

Ebbene, che cosa era la C.E.D.? Cioè: su quale altare si voleva immolare il PNM, e con esso ogni gestione politica seria e disinteressata (anche se non priva di difetti) dalla Causa Monarchica in Italia? Per sacrificarlo a quale idolo si è cercato di pugnalarlo alle spalle, nell'ottavo genetliaco della Repubblica, con l’arma sicariesca della secessione? Sono domande, tutte queste, pertinenti ad un esame della situazione politica italiana, e sopratutto a quella del PNM, esame rilevante per le determinazioni politiche da assumere in sede congressuale, poiché è certo che le forze interne ed internazionali che sono state dietro la secessione devono essere giudicate dai monarchici italiani per quel che sono, e non per la maschera con la quale vorrebbero apparire, anche se fosse maschera di amici, o di... difensori della Civiltà.


E', dunque, da dire che la C.E.D. non era soltanto, un tentativo di sopprimere la sovranità nazionale nel settore militare, ma, ancor più, era un tentativo di sopprimerla in campo economico (finanziario, sociale, doganale), e, se ratificata, avrebbe significato la manomissione pressoché assoluta dell'economia nazionale nelle mani del Capitalismo internazionale ed internazionalistico di fonte americana. 

Nei concreti legami di interessi con questo, più che non nelle ideologie o nelle fantasie «europeistiche» (di una Europa programmaticamente limitata alla fetta di continente tra Pirenei ed Elba, che è economicamente la più pingue), si deve ricercare la fonte del cedismo democristiano, socialdemocratico, liberale, storico-repubblicano; negli stessi concreti legami, e nello stesso groviglio di interessi con il Capitalismo internazionale, la fonte della «operazione Lauro»; in quel groviglio di interessi, la fonte che ha provocata e finanziata la pugnalata della secessione.

martedì 5 aprile 2016

Novara. I Giardini Principessa Mafalda di Savoia


Grazie alla delegazione Novarese delle Guardie d'Onore alle Reali Tombe del Pantheon, nelle persone dei Cavalieri Marco Lovison e Mario Angelo Crivelli!
Novara si compiace di questo bel risultato.
Un breve resoconto fotografico dell'inaugurazione della targa e della successiva cerimonia.








"Santi, beati e venerabili di Casa Savoia".

Terruggia (Alessandria)
Verrà presentato domenica 10 alle 16.30, presso il teatro Le Muse di Terruggia, il libro del tredicenne casalese Giuseppe Costanzo "Santi, beati e venerabili di Casa Savoia".

All'evento, patrocinato dal Comune di Terruggia, prenderanno parte l'autore e Mattia Rossi, nostro giornalista e collaboratore de "Il Giornale".

Il libro del giovane Giuseppe, già presentato negli scorsi mesi sul "Monferrato", è l'unica pubblicazione aggiornata esistente sui santi di Casa Savoia.

lunedì 4 aprile 2016

La forza del tempo (e delle Monarchie)

Caro Romano, parlando del Belgio ha dimenticato l’unico collante che ha impedito la dissoluzione dello Stato: la monarchia. 
Se a Bruxelles ci fosse stato un presidente e non un Re,il Belgio unito sarebbe durato ben poco. 
In questi ultimi 70 anni, in Italia si parla poco e male delle monarchie. 
Eppure, senza Casa Savoia, mai avremmo ottenuto una Nazione unita. E non si tiri fuori la solita lagna del fascismo: se il regime non fosse piaciuto alla stragrande maggioranza degli Italiani, non sarebbe mai durato vent’anni.

Ergo: meglio le monarchie. 
Danno molta più solidità agli Stati. Se si facesse lo stesso anche in Libia ed Afghanistan, quelle nazioni ci creerebbero molti meno problemi. 
Di sicuro, le monarchie sarebbero molto più affidabili. In Iran molti rimpiangono lo Scià: hanno compreso la grande differenza. Mi piacerebbe conoscere il suo pensiero al riguardo.

Davide Jelpo , davidejelpo@yahoo.com


La grande forza delle monarchie, là dove esistono, è la loro continuità nel tempo. Restaurarle là dove non esistono ormai da parecchi decenni avrebbe probabilmente l’effetto di rendere la società ancora più divisa.

FERT nei menu di Casa Savoia

L’acronimo FERT compare per la prima volta nei menu di Casa Savoia il 15 novembre 1885, (ma compare ben prima nella storia e nella simbologia Sabauda, nota dello staff) insieme all’aquila reale con in petto lo scudo crociato, simbolo sabaudo; precedentemente si trova solo il monogramma di Umberto, decorato a foglia stilizzata, simile a quello utilizzato da Vittorio Emanuele II. Riguardo a questo acronimo, motto di Casa Savoia e dell’Ordine della S.S Annunziata, ci sono differenti interpretazioni, affrontate da Domenico Musci:

FERT (= Fortitudo Eius Rhodum Tenuit), la forza di lui tenne Rodi; riferimento alle imprese di Vittorio Amedeo V, liberatore di Rodi dai Saraceni nel 1310. Probabilmente a quest’impresa non ha partecipato nessun Savoia;

FERT (= Foedere et religione tenemur), siamo legati da un patto e dalla religione, motto che si troverebbe in un doppione d’oro coniato sotto il regno del duca Vittorio Amedeo I.
Più accreditata è l’interpretazione, analizzata dal Cognasso, posta in chiave amorosa-cavalleresca fatta risalire a Vittorio Amedeo VI, il Conte Verde. Quest’ultimo avrebbe partecipato, nell’aprile 1364, a una giostra con dei cavalieri che portavano al collo un collare d’oro siglato Fert: «a significare la dolce schiavitù verso la dama del cuore, con tre lacci d’amore a simboleggiare l’indissolubilità del legame amoroso». Per queste ragioni, FERT può esser tradotto come portare/sopportare;

FERT (=Foemina erit ruina tua), la femmina sarà la tua rovina, utilizzata da Sebastiano Valfré, confessore di Vittorio Amedeo II, per ammonirlo.

Un’altra interpretazione, analizzata dallo studioso Martinori, riconduce il motto stesso alla numismatica. FERT deriverebbe dal nome stesso della moneta divisionale – ferto o fertone – in uso sotto il regno di Amedeo VI e Amedeo VII. Martinori non riesce a capire come dalla moneta si passi alle insegne dell’Ordine della SS. Annunziata, istituito da Amedeo VIII.

Tornando al primo menu, dove compare per la prima volta la scritta Fert, datato 15 Novembre 1885, notiamo che le portate sono dieci, quattro o cinque in meno rispetto a venti anni prima. Il potàge: Creme à la Reine apre, come da tradizione, il pasto; seguono da Croustadines à la St. Flubert et rissoles à la Montglas, Noix de veau à la Duchesse, Chapons à la Ravigote, Chaud de cailles à la gelée, Haricots verts au beurre, Rôt: de lièvre Saint groseilles, Pudding de Saxe, Savarin: glace à l’Abricots e infine i Dessert.


L’interpretazione dell’acronimo FERT, avvalora l’ipotesi di Cognasso, esperto studioso dei Savoia, sull’amor cortese e sulle vicende di Amedeo VI. Infine, non si sa il perché, per mancanza di fonti, venga riportato nella carta gastronomica che accompagna il pranzo.




sabato 2 aprile 2016

Maria José, l’ultima Regina d’Italia

01/04/2016 di Cristina Ioannilli

Soprannominata la "Regina di maggio", il suo regno durò solamente dal 9 maggio al 2 giugno 1946. Maria José di Savoia fu l’ultima sovrana d’Italia. Per Vittorio Emanuele III la principessa, in quanto donna, sarebbe dovuta rimanere lontana dalla politica ma, a causa della sua personalità ribelle e di grande fascino, ella cercò di salvare l’Italia nel momento più buio del secondo conflitto mondiale.

Josè Maria
Marie José Carlotta Sofia Amelia Enrichetta Gabriella di Sassonia Coburgo-Gotha nacque a Ostenda, inBelgio, il 4 agosto 1906. Figlia di Elisabetta duchessa di Baviera e Alberto re del Belgio, Maria era la terzogenita, preceduta da Leopoldo, nato nel 1902, e Carlo nel 1904. A soli tre anni, si trasferì nel castello di Laeken, dove trascorse l’infanzia e l’adolescenza. Maria José era una bambina magra, alta, dai capelli talmente crespi ed arruffati che sarebbe potuta sembrare una donna africana, se non fosse stata bionda: “Négresse blonde” sarà il nomignolo che le verrà attribuito dalle dame romane quando farà il suo ingresso a corte. Per volontà di sua madre, si avvicinò più agli esercizi musicali che agli studi scolastici, tanto che a sette anni non sapeva ancora né leggere né scrivere.
L’estate del 1914, i reali del Belgio non andarono in vacanza: la guerra era ormai imminente. Il 17 agosto la famiglia reale lasciò la reggia di Bruxelles per trasferirsi ad Anversa; il 24 la città subì il primo bombardamento aereo della storia. Alla fine del mese re Alberto ritenne opportuno mandare la famiglia in InghilterraLord Curzon, ex viceré delle Indie, mise a loro disposizione la tenuta di Hackwood. Maria José trascorse in Inghilterra quasi tre anni, parte nella tenuta di Lord Curzon, parte in un convento delle Orsoline nella contea di Essex. Fu proprio durante l’esilio a Londra che Maria José sentì parlare per la prima volta di un suo eventuale matrimonio con Umberto di Savoia; aveva appena nove anni. In seguito, quando la situazione bellica si fece più stabile, i piccoli principi furono condotti spesso a De Panne per trascorrere qualche settimana con i genitori; qui, accanto alla madre, Maria José prestò per la prima volta la sua opera di crocerossina. Il 22 marzo 1917 fece il suo ingresso nel collegio della Santissima Annunziata a Poggio Imperiale, vicino Firenze, nel quale sarebbe rimasta fino al 1919; entrò in seguito, come educanda, in un convento nei dintorni di Bruxelles, ma fu nel salotto di sua madre che cominciò a conoscere il mondo. In quel periodo non mancarono infatti soggiorni in Italia e spesso la famiglia reale belga fu ospite dei Savoia, sia nella tenuta alpestre di Racconigi sia in quella marina diSan Rossore: fu in queste occasioni che Umberto e Maria José si incontrarono più volte.
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