3) L'ESPANSIONE COLONIALE.
Il successore di Vittorio
Emanuele Il, Umberto I, sali al trono paterno riaffermando i motivi conduttori
della politica di alleanza con gli ispiratori del risorgimento e delle libertà
statuarie. Ormai il regno d'Italia era cosa compiuta, si trattava di
rafforzarlo e soprattutto di affrontare quei gravi problemi che i tempi
ponevano a attenzione dei governi.
Il rapido svolgersi degli
avvenimenti, non aveva dato tempo a Vittorio Emanuele di maturare taluni
aspetti del processo di unificazione durante quale alla vecchia classe
dirigente subalpina si era a poco a poco sostituito un coacervo di individui e
di indirizzi i cui fini non sempre coincidevano con i dettami della politica
sabauda, e l'astensione dei cattolici dalla vita politica togliendo al trono
quello che avrebbe potuto rappresentare un valido sostegno, rafforzava la
necessità di stringersi alle correnti moderate contro coloro che nel risorgimento
avevano perseguito più un ideale rivoluzionario che una meta di potenziamento
nazionale. Insomma necessitava una revisione di atteggiamenti, che non avevano
più ragione di sussistere e che a lungo andare avrebbero potuto rivelarsi
estremamente pericolosi, per portare l'Italia fuori dell'isolamento politico in
cui si era ridotta. Questi fini furono raggiunti con la prima adesione alla
Triplice Alleanza stretta fra Austria, Italia e Germania.
Opportuna sembrava anche
un'espansione coloniale in Africa, anche per controbilanciare l'influenza
francese nel Mediterraneo e nel 1885 l'Italia occupava il suo primo territorio
africano: Massaua sul Mar Rosso; si tentò in seguito di approfittare dello
stato di confusione generatosi in Abissinia per la successione del Negus
Giovanni e il ministro Crispi riuscì ad estendere l'occupazione all'altopiano
di Keren e di Asmara e successivamente a firmare col potente Menelik il trattato
di Uccialli con cui questo accettava il protettorato italiano; altre concessioni
si ottennero da piccoli sovrani locali e nacque così la Colonia Eritrea, primo
successo della politica coloniale italiana.
La situazione interna non era
però tranquilla, i primi moti italiani a carattere socialista cominciavano a
manifestarsi dove le condizioni di vita più disagiate favorivano il malcontento
e la volontà di ribellione delle popolazioni incolte, facile preda della
demagogia e della rivoluzione; in Sicilia sorsero i fasci dei lavoratori nella
fine del 1893 ed il governo dovette ricorrere alla forza, altre manifestazione
si ebbero in Italia e fino a Carrara; il sovversivismo socialista cominciava a
fare i primi proseliti.
Intanto il subdolo Menelik
tentava in Abissinia di sottrarsi ai patti giurati, ribellandosi al
protettorato italiano; il contrasto diplomatico, alternato a scaramucce scoppiò
presto risolvendosi in una guerra Iniziata con l'occupazione del territorio
dell'infido ras Mangascià, governatore di Tigré, che provocò entro l'anno, nel
dicembre 1895 un assalto di Menelik con centomila guerrieri. Il 7 cadde la piccola
colonna di duemila uomini del Maggiore Toselli massacrata sull’Amba Alagi, poi l'orda
sommerse ii piccolo presidio del forte di Makallé comandato dal Maggiore
Galliano resistette quaranta giorni, riuscendo a salvare la situazione. Il
governatore, generale Barattieri che fino ad allora si era tenuto
sulla difensiva anche per le difficoltà
pratiche che intralciavano le
operazioni, spinto dal governo e dall'opinione pubblica italiana decise
l'avanzata per icontrare il nemico ad Adua, il i marzo 1896; la
battaglia fu un disastro per le truppe italiane sopraffatte
dagli abissini: duemila furono i prigionieri, più del doppio i morti.
In Italia
il ministero Crispi che l'impresa coloniale aveva voluta e attuata, cadeva
sotto il peso dell'indignazione pubblica.
Il marchese di Rudinì successo
al Crispi nel governo concluse la pace rinunciando al Tigre e al protettorato e
restringendo il territorio italiano all'Eritrea.
La sconfitta militare
peggiorava la situazione politica, dall'insuccesso traevano forza i partiti
sovversivi che delle libertà statuarie si servivano nei tentativi di
distruzione dello stato stesso; la rivoluzione si annidava ora nel nord e le
paurose sommosse costrinsero il parlamento ad affidare il governo al generale
Pelloux e a votare delle leggi restrittive delle libertà, ormai convertite in
licenziosi tentativi di sovvertimento politico e sociale; pure le elezioni del
190Q portavano il numero dei deputati socialisti da 16 a 33 e fra loro ve ne
erano alcuni a cui l'immunità parlamentare apriva le porte delle galere in cui
i loro delitti li avevano gettati.
Di fronte alla grave
situazione poco potettero le buone intenzioni del Re impedito dai legami
costituzionali a porre rimedio a tanti danni;
la Monarchia aveva avvinto più
forte a se gli animi dei cittadini, anche per opera della bella e affascinante
Regina Margherita, ma i sovversivi rifugiati sotto le garanzie costituzionali
potevano in pratica portare a compimento indisturbati i loro piani che
provocavano un senso di smarrimento e di disagio nel paese.
Di questo stato di cose fu
vittima Umberto I; già in passato aveva subito due attentati: uno a Napoli nei
primi mesi di regno e uno a Roma nel 1897 e sempre era sfuggito al pugnale dei
sicari. La terza volta la rivoltella dell'anarchico Gaetano Bresci gli fu
fatale, troncando la sua vita a Monza il 29 luglio 1900; come non pochi dei
suoi avi, il Re Buono fu vittima della rivoluzione. (*)
Il successore e figlio di
Umberto I, Vittorio Emanuele. III
non credette di reagire con energia all'ondata rivoluzionaria che investiva nazione;
pensò che una politica più rigida avrebbe inasprito gli animi e le
situazioni, e preferì non intralciare l'opera di inserimento delle masse che i ministri, soprattutti il piemontese
Giovanni Giolitti, andavano realizzando. Le riforme sociali proseguirono, anche
se talvolta rappresentarono più che espressioni di umana comprensione per gli
umili, dei pericolosi esperimenti politici che non raggiunsero il loro scopo di
svuotare di contenuto le istanze delle sinistre socialiste.
Le migliorate condizioni
generali della situazione interna e il prestigio estero, rafforzato dal rinnovo
della triplice alleanza, permisero però il proseguimento dell'espansione
coloniale, che la disfatta di Adua aveva tragicamente e bruscamente troncato.
La breve guerra di tredici mesi, condotta dal settembre del 1911 all'ottobre
del 1912 dall'Italia contro la Turchia si chiuse con il trattato di Losanna per
il quale la Tripolitania e la Cirenaica passarono all'Italia, che dal canto suo
promise di sgombrare le isole del Dodecanneso nel Mare Egeo che erano state
occupate durante le operazioni belliche; in realtà anche per il sopravvenire
della guerra mondiale, in cui la Turchia si trovò contro l'Italia, le isole
Egee non vennero più abbandonate.
Si chiuse così il primo
cinquantennio di vita del regno d'Italia festeggiato con solenni cerimonie e
con la grande esposizione di Torino; molti problemi sembravano risolti e molti
altri avviati a soluzione; la vittoria e la conquista libica rendevano gli
animi fiduciosi in giorni migliori, mentre tutta l'Europa stava per essere
travolta in una terribile tempesta.
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