NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 10 gennaio 2019

Dall'Alto Adige a Roma


Racconto pubblicato da Historica, di Francesco Giubilei

di Gianluigi Chiaserotti 


Siamo nel periodo della “Restaurazione” anche in Italia. Gli antichi stati vengono richiamati in vita; gli antichi sovrani risalgono sui loro troni. Ritorna, come prima, l’Austria. Più forte di prima: ai suoi antichi dominii della Lombardia ha aggiunto una nuova conquista, Venezia. La vecchia, gloriosa repubblica di San Marco era stata travolta dagli sconvolgimenti del periodo rivoluzionario: ora, divenne una preda dei vincitori. Così, l’Italia Settentrionale, dal Ticino all’Adriatico, diviene una provincia austriaca: e con essa, Vienna tenne nelle sue mani le chiavi della Penisola, e certamente non la si voleva così. Infatti di già nel ‘300, l’Alighieri indicò chiaramente i confini nazionali della nostra patria, includendovi l’Istria ed il Tirolo Meridionale (Inf. IX, 112-114: «Sì come ad Arli, ove ‘l Rodano stagna/sì com’a Pola, presso del Carnaro/ch’Italia chiude e suoi termini bagna.»). Ludwig, restauratore, incisore, cesellatore, altoatesino di nascita, appena trentenne, decise “sua sponte”, al fine essenziale di perfezionare ed ampliare il suo lavoro, di trasferirsi nello Stato Pontificio, ed esattamente a Roma ed in una casa limitrofa al Vaticano (in quello che attualmente è il Rione Borgo). Regnava Pio IX, il quale grazie ad una sua iniziale visione liberale, volle ampliare la “Fabbrica di San Pietro” e, per puro caso, l’opera di Ludwig, fu apprezzata dal segretario particolare di un cardinale, il quale ordinò all’artigiano un bracciale per una sua nipote che si sarebbe dovuta sposare a breve. Fu un capolavoro. Don Alessandro, questo era il nome del Segretario del cardinale, ne parlò con lui, e Ludwig, in breve tempo, divenne collaboratore della “Fabbrica di San Pietro” nell’ambito del restauro e delle incisioni dei metalli preziosi. Il suo lavoro si svolgeva quindi giornalmente negli splendidi locali del Vaticano. Ludwig (diplomatosi in restauro a Vienna), studioso sin dalla giovane età di Roma, finalmente concretizzò il suo sogno: ammirare Roma ed il Vaticano. Rimase immediatamente incantato dalla maestosità del Colonnato del Bernini, quindi la facciata della Basilica del Maderno, il suo interno, le tombe papali da San Pietro in poi, il neoclassico cenotafio degli Stuart, la Cappella Sistina. Il luogo di lavoro di Ludwig era allo Studio del Restauro ove prestava la suo opera con attenzione, passione, abnegazione e piena collaborazione con i suoi colleghi. Era altoatesino nei modi e nel lavoro. Il Direttore dello Studio del Restauro era Salvatore, laureato in Medicina, il quale scelse, dopo aver frequentato l’Accademia di San Luca, di rinunciare alla carriera ospedaliera, per divenire un noto pittore di argomenti sacri dell’’800 romano, divenendo, tra l’altro, allievo di Francesco Grandi. Salvatore apprezzò da subito l’opera, il lavoro, la cultura artistica e storica di Ludwig e lo propose per una pubblicazione pontificia sul restauro, che scrisse in brevissimo tempo. Il cardinale responsabile della “Fabbrica di San Pietro” fece vedere l’opuscolo al Santo Padre, il quale volle conoscere il giovane Autore. Le emozioni per l’altoatesino erano ormai all’ordine del giorno. Erano ormai trascorsi quasi ventiquattro mesi dall’arrivo e quindi del lavoro di Ludwig a Roma che Salvatore gli propose di collaborare con la sua Accademia d’Arte. L’accademia aveva la sua sede nella casa di Salvatore, la quale era un villino ai confini del Rione Borgo nei pressi del lungotevere….. Un pomeriggio della tarda Primavera del 1854, Ludwig si recò a casa di Salvatore. Questo era un villino neoclassico articolato su tre piani con ampio giardino. Al piano terra vi era la sede dell’accademia, mentre il secondo ed il terzo piano era l’abitazione della famiglia di Salvatore. Ludwig fu accolto da quest’ultimo, il quale lo introdusse immediatamente in quello che sarebbe divenuto il suo studio. Il Nostro, terminata la giornata di lavoro, in Vaticano doveva praticamente continuarlo nell’accademia di Salvatore che vantava di molti clienti ma esclusivamente stranieri o di altri Stati Italiani. Infatti Salvatore, quale Direttore dello Studio del Restauro, non poteva assolutamente avere clienti romani, i quali si rivolgevano tutti direttamente al Vaticano. Ludwig fu ulteriormente entusiasta di questo suo nuovo, ma ulteriore ruolo in quanto amava, oseremo dire, la sua professione. Ma questo suo nuovo e ricercato ruolo portò all’altoatesino qualcosa di più! Responsabile dell’accademia era Amelia, la figlia maggiore di Salvatore. Una donna bellissima. Pianista, ricamatrice, pittrice. Ricercatissima nei salotti romani per la sua cultura, il suo “modus vivendi” elegante e fine. Molto (anzi troppo) moderna per i tempi. Basti pensare che Amelia in casa, nei salotti fumava liberamente. Amelia apprezzò immediatamente anche lei l’opera ed il lavoro di Ludwig. Praticamente trascorreva tutti i pomeriggi nello studio di Ludwig e tra di loro sorse un sentimento profondo che poi si trasformò in Amore. Amelia aveva nove anni più di Ludwig, ma ciò non importava in quanto, da donna intelligente e colta, seppe far prevalere i sentimenti e questi erano più importanti della differenza di età che, nel secolo XIX, poteva fare effetto. Amelia e Ludwig comunicarono l’intenzione di sposarsi a Salvatore, il quale anch’egli da uomo progressista per l’epoca dette immediatamente il suo consenso. Le nozze furono celebrate dal cardinale responsabile della “Fabbrica di San Pietro” nella Cappella del Coro in San Pietro nell’aprile 1855. Ma torniamo ad Amelia e Ludwig. Salvatore fece riservare agli sposi l’intero terzo piano del villino ove, nel gennaio 1856, nacque Carlo, il loro figlio. Amelia fu unica anche in questa occasione. Infatti partorì, e bene, all’età di quarantatre anni. Una vera ed autentica eccezione per l’epoca. La situazione politica della Penisola Italiana era ormai in fermento. Nel maggio 1860, Garibaldi con i suoi “1000” salpò da Quarto per giungere in Sicilia e liberarla dalla monarchia borbonica. Nell’ottobre 1860, il Generale incontrò presso Teano il Re Vittorio Emanuele II di Savoia, dicendo la celebre frase: «Saluto il Re d’Italia». L’Italia era quasi fatta. Amelia e Ludwig benevolmente accettarono la nuova situazione anche se lui era absburgico quindi fedele al suo imperatore e lei di tradizioni papaline. Quindi il 17 marzo 1861, nella suggestiva aula del Parlamento Subalpino di Torino sita in Palazzo Carignano, fu proclamato il Regno d’Italia e la nostra Penisola divenne una ed indipendente. Ma, senza alcuna ombra di dubbio, la suddetta data è la conclusione di un ciclo di fatti, di movimenti politici, di movimenti culturali, di imprese belliche ed eroiche, che cercarono di portare all’Unità, ma anche l’inizio di un ulteriore ciclo che condurrà al 20 settembre 1870 con la proclamazione di Roma, Capitale d’Italia. Scrisse Salvatore: «[…] La nostra penisola era, da secoli, divisa e per nulla tenuta in considerazione. Quindi le grandi e potenti nazioni d’Europa avevano trovato un campo aperto alle loro ambizioni. L’Italia era considerata una semplice espressione geografica. Tutti si erano lanciati verso l’Italia, come su una facile preda: Francia, Spagna, Austria erano venute a conquistarvi intere provincie: le due più grandi città d’Italia, Milano e Napoli, erano cadute in mano straniera. Ed i superstiti piccoli Stati Italiani, anche se di nome avevano conservato la loro indipendenza, di fatto finivano con il gravitare, come satelliti, intorno ai pianeti europei. Gli Italiani non erano più nessuno in casa propria.». L’Italia era unificata, ma senza la capitale a Roma l’opera non poteva, non doveva essere completa. Infatti il 25 marzo 1861, il deputato di Bologna Rodolfo Audinot tenne alla Camera un vibrante discorso sulla questione romana, che dette lo spunto al conte di Cavour per le sue celebri dichiarazioni e per l’emanazione dell’ordine del giorno con il quale Roma era proclamata capitale d’Italia (“non ci sarebbe stata l’Italia unita se Roma non fosse stata la Capitale”). In questo spirito di mobilitazione generale anche a Roma giunsero le idee giacobine di libertà, di eguaglianza e di fraternità. Gruppi clandestini di patrioti si riunivano segretamente e cospiravano contro il Papa per raggiungere anche per lo Stato Pontificio l’unità al Regno d’Italia. Il 3 novembre 1867, circa 6000 volontari al comando del generale Giuseppe Garibaldi, che tentavano di marciare su Roma, furono sconfitti e fermati dalle truppe pontificie e francesi, armate di moderni fucili a retrocarica, i “chassepots”, a Mentana. Alla vigilia del detto episodio, ed esattamente la sera del 22 ottobre 1867, Amelia decise di andare a prendere Ludwig che si era attardato allo Studio del Restauro in Vaticano. Per Ludwig fu una piacevolissima sorpresa e decisero che per tornare a casa, dove li aspettava Carlo, non sarebbero passati per il Rione Borgo, ma da piazza Scossacavalli (la piazza è scomparsa per la costruzione della via della Conciliazione ed era ubicata tra il borgo Nuovo ed il borgo Vecchio) per poi prendere il lungotevere. Un enorme boato scosse la loro passeggiata. Avevano attentato alla Caserma Serristori che ospitava i zuavi e ventitre di loro caddero uccisi. Amelia ne rimase sconvolta anche e soprattutto per questo clima assai teso che ormai regnava a Roma. La Polizia papale riuscì ad identificare gli attentatori. Erano Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, i quali, interrogati con metodi poco ortodossi, negarono ogni addebito e si rifiutarono di comunicare il nome di eventuali complici. Il Tribunale Pontificio li condannò a morte e furono giustiziati mediante decapitazione il 24 novembre 1868 in via dei Cerchi. Fu l’ultima esecuzione capitale nello Stato Pontificio. Amelia e Ludwig ne rimasero pressocchè sconvolti di come fosse, alle volte, la giustizia umana. Carlo cresceva. A scuola riusciva abbastanza bene, ma soprattutto aveva ereditato dall’avo materno e dai genitori l’amore per le arti figurative. Neanche dodicenne già disegnava con una precisione che dire maniacale è riduttivo. Amelia, oltre al ricamo, aveva ripreso lo studio della musica ed era divenuta una ricercatissima pianista. Ludwig ormai stava subentrando a Salvatore nella Direzione dello Studio del Restauro in quanto sempre più apprezzato, professionale e preciso come gradivano in Vaticano. La sua opera spaziava dal restauro, alla pittura, all’incisione, ma soprattutto era divenuto, anche con il coltissimo aiuto di Amelia, un apprezzatissimo studioso di Storia dell’Arte e la Casa Editrice della Santa Sede pubblicava i suoi studi. Ma al restauro Ludwig aggiunse anche la realizzazione di argomenti sacri in mosaico bizantino. Al riguardo la Curia Romana decise di aprire un nuovo ramo nella “Fabbrica di San Pietro”: lo Studio del Mosaico. Molte Rettorie di Chiese Romane spesso commissionavano a Ludwig affreschi in mosaico, come quella di San Clemente al Colosseo in cui il Nostro realizzò la Cappella dei Santi Cirillo e Metodio. Quindi Sant’Andrea della Valle, gli affreschi nel Palazzo del Vicariato e quelli all’ingresso del Cimitero Monumentale del Verano. Amelia fu sempre al fianco del coniuge. Lo incoraggiava, lo aiutava nella correzione degli opuscoli. Le era vicino nel corso delle sue lezioni all’Accademia di San Luca. Nel 1878 moriva il Pontefice Pio IX e gli successe Leone XIII, il quale incentivò ed, allo stesso tempo, si servì delle Belle Arti sulle tracce del predecessore, cercando di forgiare per sé un immagine da Papa del Rinascimento mediante un’attività di propaganda sostenuta da artisti della Roma Pontificia. Nella primavera del 1881, Carlo sposò un’allieva di Ludwig all’Accademia di San Luca, Isabella. Amelia e Ludwig furono entusiasti della scelta del loro figlio, il quale non volle seguire assolutamente le tradizioni artistiche di famiglia anche se non le diniegava. Fu infatti un valentissimo e ricercato avvocato e successivamente entrò in politica divenendo deputato del Regno d’Italia nel periodo liberale. Invece Isabella aiutava Ludwig nel suo lavoro artistico che aumentava a vista d’occhio. Ma, nell’autunno 1891, una tragedia colpì la famiglia di Ludwig. La sua adorata Amelia fu colpita da “ictus” cerebrale fulminante e morì. Chi più di tutti non volle accettare l’evidenza fu, senza dubbio, Ludwig. Alla scomparsa dell’adorata consorte rimase impietrito in quanto non poteva, non voleva accettare che una donna così se ne potesse essere andata. Questo dolore invecchiò Ludwig di dieci anni. La sua vita non era più la medesima. Si dimise, nello stupore generale, dal suo lavoro in Vaticano e si ritirò nel suo studio privato. Incoraggiato dal figlio e dalla nuora, Ludwig iniziò la collaborazione con l’”Osservatore Romano” quale studioso e critico d’arte. Anche altre riviste scientifiche richiesero la sua unica e precisa collaborazione. In questo suo nuovo ruolo Ludwig conobbe molte persone, tra cui il celebre collaboratore del Cavour, il filologo e poeta Costantino Nigra, il quale, nel 1892, fu nominato Senatore del Regno e risiedeva spesso nell’Urbe. Lo conobbe nel luogo ove i pittori si ritrovavano, l’”Antico Caffè Greco”. Ludwig scriveva, studiava ma il suo “fluido vitale” giornalmente si affievoliva. Non aveva più quell’entusiasmo che caratterizzarono tutta la sua vita. Ludwig si affacciò quindi al nuovo secolo. La vita a Roma era mutata e lui non riusciva più ad adeguarvisi. All’inizio del 1909, in Nostro ebbe una brutta caduta dalla quale non si riprese più. La sera del giorno 11 aprile, Pasqua, sprofondò sulla poltrona del suo studio e si addormentò definitivamente. Così terminò la vita terrena di un grande artista che tuttora il Vaticano ricorda e di cui tuttora ammiriamo le sue opere. Ma chi sono i personaggi che hanno ispirato e da cui abbiamo molto liberamente tratto questo racconto? Gli avi. Il nostro bisavo, il pittore Salvatore Nobili (1835-1920), sua figlia Amelia (1875-1949) ed il suo consorte, nostro avo paterno, anch’esso pittore, Luigi (1886-1960), di origine altoatesina. E’ un omaggio alla storia della mia famiglia che tanto ha dato all’arte, in particolare alla pittura, allo studio ed alla realizzazione del mosaico bizantino, al paziente e professionale lavoro in Vaticano.

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