Racconto pubblicato da Historica, di Francesco Giubilei
Siamo nel periodo della “Restaurazione” anche
in Italia. Gli antichi stati vengono richiamati in vita; gli antichi sovrani
risalgono sui loro troni. Ritorna, come prima, l’Austria. Più forte di prima:
ai suoi antichi dominii della Lombardia ha aggiunto una nuova conquista,
Venezia. La vecchia, gloriosa repubblica di San Marco era stata travolta dagli
sconvolgimenti del periodo rivoluzionario: ora, divenne una preda dei
vincitori. Così, l’Italia Settentrionale, dal Ticino all’Adriatico, diviene una
provincia austriaca: e con essa, Vienna tenne nelle sue mani le chiavi della
Penisola, e certamente non la si voleva così. Infatti di già nel ‘300,
l’Alighieri indicò chiaramente i confini nazionali della nostra patria,
includendovi l’Istria ed il Tirolo Meridionale (Inf. IX, 112-114: «Sì come ad
Arli, ove ‘l Rodano stagna/sì com’a Pola, presso del Carnaro/ch’Italia chiude e
suoi termini bagna.»). Ludwig, restauratore, incisore, cesellatore, altoatesino
di nascita, appena trentenne, decise “sua sponte”, al fine essenziale di
perfezionare ed ampliare il suo lavoro, di trasferirsi nello Stato Pontificio,
ed esattamente a Roma ed in una casa limitrofa al Vaticano (in quello che
attualmente è il Rione Borgo). Regnava Pio IX, il quale grazie ad una sua
iniziale visione liberale, volle ampliare la “Fabbrica di San Pietro” e, per
puro caso, l’opera di Ludwig, fu apprezzata dal segretario particolare di un
cardinale, il quale ordinò all’artigiano un bracciale per una sua nipote che si
sarebbe dovuta sposare a breve. Fu un capolavoro. Don Alessandro, questo era il
nome del Segretario del cardinale, ne parlò con lui, e Ludwig, in breve tempo,
divenne collaboratore della “Fabbrica di San Pietro” nell’ambito del restauro e
delle incisioni dei metalli preziosi. Il suo lavoro si svolgeva quindi
giornalmente negli splendidi locali del Vaticano. Ludwig (diplomatosi in
restauro a Vienna), studioso sin dalla giovane età di Roma, finalmente
concretizzò il suo sogno: ammirare Roma ed il Vaticano. Rimase immediatamente
incantato dalla maestosità del Colonnato del Bernini, quindi la facciata della
Basilica del Maderno, il suo interno, le tombe papali da San Pietro in poi, il
neoclassico cenotafio degli Stuart, la Cappella Sistina. Il luogo di lavoro di
Ludwig era allo Studio del Restauro ove prestava la suo opera con attenzione,
passione, abnegazione e piena collaborazione con i suoi colleghi. Era
altoatesino nei modi e nel lavoro. Il Direttore dello Studio del Restauro era
Salvatore, laureato in Medicina, il quale scelse, dopo aver frequentato
l’Accademia di San Luca, di rinunciare alla carriera ospedaliera, per divenire
un noto pittore di argomenti sacri dell’’800 romano, divenendo, tra l’altro,
allievo di Francesco Grandi. Salvatore apprezzò da subito l’opera, il lavoro,
la cultura artistica e storica di Ludwig e lo propose per una pubblicazione
pontificia sul restauro, che scrisse in brevissimo tempo. Il cardinale
responsabile della “Fabbrica di San Pietro” fece vedere l’opuscolo al Santo Padre,
il quale volle conoscere il giovane Autore. Le emozioni per l’altoatesino erano
ormai all’ordine del giorno. Erano ormai trascorsi quasi ventiquattro mesi
dall’arrivo e quindi del lavoro di Ludwig a Roma che Salvatore gli propose di
collaborare con la sua Accademia d’Arte. L’accademia aveva la sua sede nella
casa di Salvatore, la quale era un villino ai confini del Rione Borgo nei
pressi del lungotevere….. Un pomeriggio della tarda Primavera del 1854, Ludwig
si recò a casa di Salvatore. Questo era un villino neoclassico articolato su
tre piani con ampio giardino. Al piano terra vi era la sede dell’accademia,
mentre il secondo ed il terzo piano era l’abitazione della famiglia di
Salvatore. Ludwig fu accolto da quest’ultimo, il quale lo introdusse immediatamente
in quello che sarebbe divenuto il suo studio. Il Nostro, terminata la giornata
di lavoro, in Vaticano doveva praticamente continuarlo nell’accademia di
Salvatore che vantava di molti clienti ma esclusivamente stranieri o di altri
Stati Italiani. Infatti Salvatore, quale Direttore dello Studio del Restauro,
non poteva assolutamente avere clienti romani, i quali si rivolgevano tutti
direttamente al Vaticano. Ludwig fu ulteriormente entusiasta di questo suo
nuovo, ma ulteriore ruolo in quanto amava, oseremo dire, la sua professione. Ma
questo suo nuovo e ricercato ruolo portò all’altoatesino qualcosa di più!
Responsabile dell’accademia era Amelia, la figlia maggiore di Salvatore. Una
donna bellissima. Pianista, ricamatrice, pittrice. Ricercatissima nei salotti
romani per la sua cultura, il suo “modus vivendi” elegante e fine. Molto (anzi
troppo) moderna per i tempi. Basti pensare che Amelia in casa, nei salotti
fumava liberamente. Amelia apprezzò immediatamente anche lei l’opera ed il
lavoro di Ludwig. Praticamente trascorreva tutti i pomeriggi nello studio di
Ludwig e tra di loro sorse un sentimento profondo che poi si trasformò in
Amore. Amelia aveva nove anni più di Ludwig, ma ciò non importava in quanto, da
donna intelligente e colta, seppe far prevalere i sentimenti e questi erano più
importanti della differenza di età che, nel secolo XIX, poteva fare effetto.
Amelia e Ludwig comunicarono l’intenzione di sposarsi a Salvatore, il quale
anch’egli da uomo progressista per l’epoca dette immediatamente il suo
consenso. Le nozze furono celebrate dal cardinale responsabile della “Fabbrica
di San Pietro” nella Cappella del Coro in San Pietro nell’aprile 1855. Ma
torniamo ad Amelia e Ludwig. Salvatore fece riservare agli sposi l’intero terzo
piano del villino ove, nel gennaio 1856, nacque Carlo, il loro figlio. Amelia
fu unica anche in questa occasione. Infatti partorì, e bene, all’età di
quarantatre anni. Una vera ed autentica eccezione per l’epoca. La situazione
politica della Penisola Italiana era ormai in fermento. Nel maggio 1860,
Garibaldi con i suoi “1000” salpò da Quarto per giungere in Sicilia e liberarla
dalla monarchia borbonica. Nell’ottobre 1860, il Generale incontrò presso Teano
il Re Vittorio Emanuele II di Savoia, dicendo la celebre frase: «Saluto il Re
d’Italia». L’Italia era quasi fatta. Amelia e Ludwig benevolmente accettarono
la nuova situazione anche se lui era absburgico quindi fedele al suo imperatore
e lei di tradizioni papaline. Quindi il 17 marzo 1861, nella suggestiva aula
del Parlamento Subalpino di Torino sita in Palazzo Carignano, fu proclamato il
Regno d’Italia e la nostra Penisola divenne una ed indipendente. Ma, senza
alcuna ombra di dubbio, la suddetta data è la conclusione di un ciclo di fatti,
di movimenti politici, di movimenti culturali, di imprese belliche ed eroiche,
che cercarono di portare all’Unità, ma anche l’inizio di un ulteriore ciclo che
condurrà al 20 settembre 1870 con la proclamazione di Roma, Capitale d’Italia.
Scrisse Salvatore: «[…] La nostra penisola era, da secoli, divisa e per nulla
tenuta in considerazione. Quindi le grandi e potenti nazioni d’Europa avevano
trovato un campo aperto alle loro ambizioni. L’Italia era considerata una
semplice espressione geografica. Tutti si erano lanciati verso l’Italia, come
su una facile preda: Francia, Spagna, Austria erano venute a conquistarvi
intere provincie: le due più grandi città d’Italia, Milano e Napoli, erano
cadute in mano straniera. Ed i superstiti piccoli Stati Italiani, anche se di
nome avevano conservato la loro indipendenza, di fatto finivano con il
gravitare, come satelliti, intorno ai pianeti europei. Gli Italiani non erano
più nessuno in casa propria.». L’Italia era unificata, ma senza la capitale a
Roma l’opera non poteva, non doveva essere completa. Infatti il 25 marzo 1861,
il deputato di Bologna Rodolfo Audinot tenne alla Camera un vibrante discorso
sulla questione romana, che dette lo spunto al conte di Cavour per le sue
celebri dichiarazioni e per l’emanazione dell’ordine del giorno con il quale
Roma era proclamata capitale d’Italia (“non ci sarebbe stata l’Italia unita se
Roma non fosse stata la Capitale”). In questo spirito di mobilitazione generale
anche a Roma giunsero le idee giacobine di libertà, di eguaglianza e di
fraternità. Gruppi clandestini di patrioti si riunivano segretamente e
cospiravano contro il Papa per raggiungere anche per lo Stato Pontificio
l’unità al Regno d’Italia. Il 3 novembre 1867, circa 6000 volontari al comando
del generale Giuseppe Garibaldi, che tentavano di marciare su Roma, furono
sconfitti e fermati dalle truppe pontificie e francesi, armate di moderni
fucili a retrocarica, i “chassepots”, a Mentana. Alla vigilia del detto
episodio, ed esattamente la sera del 22 ottobre 1867, Amelia decise di andare a
prendere Ludwig che si era attardato allo Studio del Restauro in Vaticano. Per
Ludwig fu una piacevolissima sorpresa e decisero che per tornare a casa, dove
li aspettava Carlo, non sarebbero passati per il Rione Borgo, ma da piazza
Scossacavalli (la piazza è scomparsa per la costruzione della via della
Conciliazione ed era ubicata tra il borgo Nuovo ed il borgo Vecchio) per poi
prendere il lungotevere. Un enorme boato scosse la loro passeggiata. Avevano
attentato alla Caserma Serristori che ospitava i zuavi e ventitre di loro caddero
uccisi. Amelia ne rimase sconvolta anche e soprattutto per questo clima assai
teso che ormai regnava a Roma. La Polizia papale riuscì ad identificare gli
attentatori. Erano Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, i quali, interrogati con
metodi poco ortodossi, negarono ogni addebito e si rifiutarono di comunicare il
nome di eventuali complici. Il Tribunale Pontificio li condannò a morte e
furono giustiziati mediante decapitazione il 24 novembre 1868 in via dei
Cerchi. Fu l’ultima esecuzione capitale nello Stato Pontificio. Amelia e Ludwig
ne rimasero pressocchè sconvolti di come fosse, alle volte, la giustizia umana.
Carlo cresceva. A scuola riusciva abbastanza bene, ma soprattutto aveva
ereditato dall’avo materno e dai genitori l’amore per le arti figurative.
Neanche dodicenne già disegnava con una precisione che dire maniacale è
riduttivo. Amelia, oltre al ricamo, aveva ripreso lo studio della musica ed era
divenuta una ricercatissima pianista. Ludwig ormai stava subentrando a
Salvatore nella Direzione dello Studio del Restauro in quanto sempre più
apprezzato, professionale e preciso come gradivano in Vaticano. La sua opera
spaziava dal restauro, alla pittura, all’incisione, ma soprattutto era
divenuto, anche con il coltissimo aiuto di Amelia, un apprezzatissimo studioso
di Storia dell’Arte e la Casa Editrice della Santa Sede pubblicava i suoi
studi. Ma al restauro Ludwig aggiunse anche la realizzazione di argomenti sacri
in mosaico bizantino. Al riguardo la Curia Romana decise di aprire un nuovo
ramo nella “Fabbrica di San Pietro”: lo Studio del Mosaico. Molte Rettorie di
Chiese Romane spesso commissionavano a Ludwig affreschi in mosaico, come quella
di San Clemente al Colosseo in cui il Nostro realizzò la Cappella dei Santi
Cirillo e Metodio. Quindi Sant’Andrea della Valle, gli affreschi nel Palazzo
del Vicariato e quelli all’ingresso del Cimitero Monumentale del Verano. Amelia
fu sempre al fianco del coniuge. Lo incoraggiava, lo aiutava nella correzione
degli opuscoli. Le era vicino nel corso delle sue lezioni all’Accademia di San
Luca. Nel 1878 moriva il Pontefice Pio IX e gli successe Leone XIII, il quale
incentivò ed, allo stesso tempo, si servì delle Belle Arti sulle tracce del
predecessore, cercando di forgiare per sé un immagine da Papa del Rinascimento mediante
un’attività di propaganda sostenuta da artisti della Roma Pontificia. Nella
primavera del 1881, Carlo sposò un’allieva di Ludwig all’Accademia di San Luca,
Isabella. Amelia e Ludwig furono entusiasti della scelta del loro figlio, il
quale non volle seguire assolutamente le tradizioni artistiche di famiglia
anche se non le diniegava. Fu infatti un valentissimo e ricercato avvocato e
successivamente entrò in politica divenendo deputato del Regno d’Italia nel
periodo liberale. Invece Isabella aiutava Ludwig nel suo lavoro artistico che
aumentava a vista d’occhio. Ma, nell’autunno 1891, una tragedia colpì la
famiglia di Ludwig. La sua adorata Amelia fu colpita da “ictus” cerebrale
fulminante e morì. Chi più di tutti non volle accettare l’evidenza fu, senza
dubbio, Ludwig. Alla scomparsa dell’adorata consorte rimase impietrito in
quanto non poteva, non voleva accettare che una donna così se ne potesse essere
andata. Questo dolore invecchiò Ludwig di dieci anni. La sua vita non era più
la medesima. Si dimise, nello stupore generale, dal suo lavoro in Vaticano e si
ritirò nel suo studio privato. Incoraggiato dal figlio e dalla nuora, Ludwig
iniziò la collaborazione con l’”Osservatore Romano” quale studioso e critico
d’arte. Anche altre riviste scientifiche richiesero la sua unica e precisa
collaborazione. In questo suo nuovo ruolo Ludwig conobbe molte persone, tra cui
il celebre collaboratore del Cavour, il filologo e poeta Costantino Nigra, il
quale, nel 1892, fu nominato Senatore del Regno e risiedeva spesso nell’Urbe.
Lo conobbe nel luogo ove i pittori si ritrovavano, l’”Antico Caffè Greco”.
Ludwig scriveva, studiava ma il suo “fluido vitale” giornalmente si
affievoliva. Non aveva più quell’entusiasmo che caratterizzarono tutta la sua
vita. Ludwig si affacciò quindi al nuovo secolo. La vita a Roma era mutata e
lui non riusciva più ad adeguarvisi. All’inizio del 1909, in Nostro ebbe una
brutta caduta dalla quale non si riprese più. La sera del giorno 11 aprile,
Pasqua, sprofondò sulla poltrona del suo studio e si addormentò
definitivamente. Così terminò la vita terrena di un grande artista che tuttora
il Vaticano ricorda e di cui tuttora ammiriamo le sue opere. Ma chi sono i
personaggi che hanno ispirato e da cui abbiamo molto liberamente tratto questo
racconto? Gli avi. Il nostro bisavo, il pittore Salvatore Nobili (1835-1920),
sua figlia Amelia (1875-1949) ed il suo consorte, nostro avo paterno, anch’esso
pittore, Luigi (1886-1960), di origine altoatesina. E’ un omaggio alla storia
della mia famiglia che tanto ha dato all’arte, in particolare alla pittura,
allo studio ed alla realizzazione del mosaico bizantino, al paziente e
professionale lavoro in Vaticano.
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