Capitolo V
Il delitto Matteotti - Una precisa visione di Amendola - La secessione
aventiniana - Il tre gennaio - Il Re attendedeva un franamento della
maggioranza fascista. Egli sollecitò Turati perché l’Aventino tornasse in
Parlamento - La discussione in Senato nella prima decade del dicembre 1924. -
La simulazione di Mussolini - La testimonianza decisiva di un antifascista. Il
Re fece il suo dovere, l’opposizione mancò al suo compito.
L’orrendo delitto Matteotti rimise tutto
in discussione: rivelò l'immaturità del fascismo e le funeste conseguenze di
avere introdotto l'elemento risolutivo della violenza nella lotta politica. Con
il delitto Matteotti la crisi della democrazia parlamentare che pareva avviata
a soluzione, nei diciotto mesi della prima esperienza fascista, si inaspriva ed
esplodeva più violenta che mai. Quell’episodio orribile che fece fremere di
sdegno infiniti cuori, mise a nudo la gravità del fenomeno che si era venuto compiendo
in Italia per effetto del suffragio universale,
della guerra e del fascismo. La ineducazione civile e politica delle folle italiane era stata messa a nudo: la superficiale crosta liberale acquistata durante il Risorgimento del nostro Stato era ormai perduta; il popolo era
tornato alle intemperanze, alla facile eccitazione, al gusto delle fazioni e del sangue degli antichi secoli. L’Italia poteva morire di questa paurosa involuzione, di questo mostruoso medioevo del suo costume politico. E questo
fenomeno era tanto più grave in quanto esso non toccava solo il fascismo, ma riappare oggi nell’antifascismo che rivela nei suoi partiti estremi la stessa intolleranza e fa lo stesso uso delle armi per imporre un programma politico. Si vide allora e si vede oggi come fosse profonda la crisi nostra e quella dell’Europa e del mondo.
della guerra e del fascismo. La ineducazione civile e politica delle folle italiane era stata messa a nudo: la superficiale crosta liberale acquistata durante il Risorgimento del nostro Stato era ormai perduta; il popolo era
tornato alle intemperanze, alla facile eccitazione, al gusto delle fazioni e del sangue degli antichi secoli. L’Italia poteva morire di questa paurosa involuzione, di questo mostruoso medioevo del suo costume politico. E questo
fenomeno era tanto più grave in quanto esso non toccava solo il fascismo, ma riappare oggi nell’antifascismo che rivela nei suoi partiti estremi la stessa intolleranza e fa lo stesso uso delle armi per imporre un programma politico. Si vide allora e si vede oggi come fosse profonda la crisi nostra e quella dell’Europa e del mondo.
Giovanni Amendola vide con estrema chiarezza
questo fenomeno nel 1924. Nel suo libro: La democrazia dopo il 6 aprile 1924.
(Corbaccio, Milano) egli scriveva a pag. 103: «Il fascismo collabora
decisamente con il comunismo, così nel campo del pensiero come in quello dell'azione
per costringere tutta la vita italiana, presente e futura, nel ferreo dilemma
delle due dittature: o quella borghese o quella proletaria».
Questa profonda e lucida visione di
Giovanni Amendola non ha potuto valere per l'educazione degli italiani. È
notevole che i comunisti di quel tempo, quando la scuola della menzogna di
Mosca non aveva fatto tanta
strada da giuocare sul significato della parola democrazia, scrivevano sull’ Ordine nuovo di Torino il 15 aprile 1924 in sostanziale accordo con l’Amendola:
strada da giuocare sul significato della parola democrazia, scrivevano sull’ Ordine nuovo di Torino il 15 aprile 1924 in sostanziale accordo con l’Amendola:
«Escono debellate dai comizi del 6 (1) le
democrazie o — possiamo dire senz’altro e meglio — la democrazia. Per quanti
non vedono i fatti politici con il nostro metodo, la democrazia avrebbe dovuto
la sua condanna al suo passato recente, alla sua condotta postbellica. In
realtà in tutti i paesi il periodo democratico ha coinciso col fiorire del
capitalismo, col massimo rafforzarsi della borghesia: il periodo apertosi con
la guerra ha aperto la successione al capitalismo il quale, perciò, ha dovuto
difendersi con mezzi eccezionali, con mezzi non più rintracciabili nei testi
dei principi immortali, ma nella organizzazione della forza armata » (2).
Constatiamo ora che dopo la vittoria delle
democrazie, le dittature in Europa non sono diminuite, ma aumentate, e nessun
governo di democrazia parlamentare è stato ancora restaurato. Perché questo è
l’argomento principale del nostro discorso. Tutti si professano devoti alla
democrazia, ma la democrazia non risorge. Anche il fascismo, anche il nazismo,
si professavano democratici. Essi hanno sempre affermato di realizzare la vera,
la sola democrazia popolare che si potesse integralmente realizzare dopo la
democrazia parlamentare che costituiva invece uno stato di privilegio borghese,
condannato con l'esaurirsi del capitalismo. In questo, fascisti e nazisti erano
perfettamente concordi con il comunismo sovietico che dichiarava
di rappresentare la più perfetta democrazia: quella del proletariato. Nessuno
dunque respinge la democrazia, ma ognuno l’attua o tenta attuarla a suo modo. E
una crisi assai lunga e vasta, che si sviluppa in una atmosfera di intolleranza
e di cui il delitto Matteotti fu un episodio e gli infiniti delitti che si
vennero compiendo più tardi, in tutti i paesi europei (Austria, Cecoslovacchia,
Polonia, Romania, Jugoslavia, Bulgaria, Grecia, Francia, Italia, Belgio,
Olanda, Norvegia) contro intere collettività di diversa fede e di diverso
pensiero sono la conseguenza e insieme la condanna. Smarrito l’equilibrio delle
democrazie parlamentari, le masse immesse nella vita degli
stati moderni, non riescono a trovare un nuovo ordine e procedono sinora, di crimine in crimine, di violenza in violenza, per una via di sicuro, quanto fatale e inarrestabile regresso della civiltà europea.
stati moderni, non riescono a trovare un nuovo ordine e procedono sinora, di crimine in crimine, di violenza in violenza, per una via di sicuro, quanto fatale e inarrestabile regresso della civiltà europea.
Avvenuto il feroce delitto Matteotti,
riuscì l’opposizione, nonostante la rivolta della coscienza popolare, commossa
per quel delitto, a scuotere la maggioranza della Camera e a far cadere il
Governo? Riuscì almeno
a far insorgere il Senato, non ancora interamente fascista? No: anzi continuarono le due Camere a votare a grandissima maggioranza per Mussolini come prima del delitto, riuscì l‘opposizione, a sollevare il paese, come il fascismo aveva fatto nel 1922, in modo da indurre la Corona a prendere posizione contro il regime?
A sollevare la magistratura in una solenne e unanime dichiarazione di protesta?
a far insorgere il Senato, non ancora interamente fascista? No: anzi continuarono le due Camere a votare a grandissima maggioranza per Mussolini come prima del delitto, riuscì l‘opposizione, a sollevare il paese, come il fascismo aveva fatto nel 1922, in modo da indurre la Corona a prendere posizione contro il regime?
A sollevare la magistratura in una solenne e unanime dichiarazione di protesta?
La inerte secessione aventiniana condusse
ad un punto morto di cui poté giovarsi il Governo rimasto padrone incontrastato
della Camera e liberato da ogni critica. Disertare l’aula era un non senso che
dava delle armi all’avversario. La campagna di stampa non poteva bastare. L’opposizione non
volle combattere e vincere in Parlamento e non seppe trascinare le piazze. Così
Mussolini, col pretesto di salvare nuovamente lo Stato, poté compiere il colpo di stato del 3 gennaio 1925 accusando gli avversari di voler
paralizzare la vita della nazione.
Re Vittorio non poté agire perché non si trovò dinanzi ad un Gabinetto dimissionario, né dinanzi ad un voto di sfiducia di una delle due Camere. Per agire avrebbe dovuto compiere una violazione delle norme costituzionali, un atto d imperio che proprio la democrazia sarebbe in dovere di rimproverargli. Insomma, né il paese, né la Camera, né il Senato soccorsero il Sovrano che avrebbe avuto tutto l’interesse e il desiderio di disfarsi del dittatore. Il solo uomo politico che dopo il delitto Matteotti si mostrò disposto ad agire fu l'on. Cocco-Ortu, ex Ministro, il quale voleva far venire dalla sua terra di Sardegna 40.000 uomini per assalire il palazzo Chigi ove allora risiedeva Mussolini. Il disegno ardito fu inattuabile.
Re Vittorio non poté agire perché non si trovò dinanzi ad un Gabinetto dimissionario, né dinanzi ad un voto di sfiducia di una delle due Camere. Per agire avrebbe dovuto compiere una violazione delle norme costituzionali, un atto d imperio che proprio la democrazia sarebbe in dovere di rimproverargli. Insomma, né il paese, né la Camera, né il Senato soccorsero il Sovrano che avrebbe avuto tutto l’interesse e il desiderio di disfarsi del dittatore. Il solo uomo politico che dopo il delitto Matteotti si mostrò disposto ad agire fu l'on. Cocco-Ortu, ex Ministro, il quale voleva far venire dalla sua terra di Sardegna 40.000 uomini per assalire il palazzo Chigi ove allora risiedeva Mussolini. Il disegno ardito fu inattuabile.
Nel suo libro: Stona di un anno
(Mondadori, Milano. 1944) Mussolini registra la naturale tensione che si creò,
per effetto di quel delitto, e soprattutto dopo il discorso del 3 gennaio 1925,
tra il Quirinale e la Presideza del Consiglio «Da vent’anni scrive Mussolini il
Re attendeva l’occasione propizia per liquidare il Fascismo».
Esattamente. Può essere
doloroso che egli abbia dovuto attendere tanto, ma non gli si può addebitare la
tenacia e la continuità nel proposito come una colpa». «I rapporti tra il Re e
Mussolini - è il "duce" che scrive usando la terza persona come
Cesare - non furono mai amichevoli». Ci fu tra i due sempre qualche cosa che
non permise di arrivare a relazioni di vera confidenza. C’è da crederlo e senza
dubbio il delitto Matteotti ebbe la sua profonda influenza nel determinare
questo particolare stato d’animo nel Sovrano.
A pag. 74 del suo libro,
Mussolini racconta: «Nel periodo dell’Aventino il Re resistette alle manovre
dell'Aventino, ma non apparve soddisfatto dell’azione del 3 gennaio e delle 48
ore successive che videro nascere lo Stato totalitario. Fu quello il primo
scontro della diarchia» (3).
In un certo senso, dopo il 3 gennaio 1925
il solo oppositore attivo del fascismo fu il Re.
Mussolini non avvertì il Re della gravità
delle dichiarazioni che egli doveva fare quel giorno. Egli aveva domandato al
Re (invano) il decreto di scioglimento della Camera con la data in bianco per
ripetere in quell’occasione la manovra già compiuta nel 1923 al momento della
votazione della legge Acerbo. Nel 1923 il Re aveva fatto al Presidente del
Consiglio la concessione richiesta perché una nuova consultazione elettorale
avrebbe potuto determinare un chiarimento della situazione e risultare favorevole
alle opposizioni quando la legge Acerbo fosse stata bocciata. Ora il Re non
volle porre la stessa arma nelle mani del Presidente del Consiglio perché egli
attendeva un qualche spostamento nella maggioranza fascista che gli desse modo
di licenziare il Capo del Governo.
(1) Le elezioni avevano avuto luogo il 6
aprile 1924
(2) Come si vede il comunismo non
presumeva, allora, di essere una democrazia, sia pure progressiva.
(3) Così chiamò Mussolini la condirezione dello
Stato tra lui e il Sovrano
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