NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 22 luglio 2018

Giovannino Guareschi e il Re d’Italia Umberto II


di Emilio Del Bel Belluz

Il 22 luglio 2018 si ricorderà il cinquantesimo anniversario dalla morte di uno dei più grandi scrittori che questo Paese abbia mai avuto: Giovannino Guareschi.
In questi giorni per caso mi è venuta tra le mani una sua bella citazione dedicata ai soldati caduti in guerra: “ Quando un soldato italiano muore le stellette della giubba si staccano e salgono in cielo ad aumentare di due piccole gemme il firmamento. Per questo forse il nostro cielo è il più stellato del mondo”. Queste parole sono state scritte da quel galantuomo di Guareschi che non ha mai dimenticato i suoi commilitoni morti durante la guerra e nello stesso campo di prigionia in Germania.
Alla sua morte qualcuno che non lo amava disse che non era morto uno scrittore. Ebbene di quel qualcuno non si parla mai, ma Giovannino si ricorda sempre attraverso i suoi libri che sono diffusi e tradotti in tutte le parti del mondo.
Guareschi era un uomo tenace che non si era mai arreso alle avversità della vita anche quando dovette rimettere quelle poche cose nello zaino e ritornare in un carcere. La fede alle proprie idee gli fece conoscere anche la dura esperienza del carcere.
Guareschi aveva un grande ammiratore nell’ultimo Re d’Italia che gli era grato perché nei momenti di tristezza, attingendo a quelle pagine così belle che Guareschi aveva scritto, si sentiva per un attimo lontano dalla tenaglia della nostalgia per la sua patria.
Il Re amava Giovannino perché sapeva che su di lui si poteva contare come su un soldato fedele che mai avrebbe dimenticato il giuramento fatto al Re. Umberto II, il 22 luglio 1968, si rese conto d’aver perduto un caro e fraterno amico, e che la sua solitudine non sarebbe più stata allietata da quelle pagine che il Guareschi di sicuro avrebbe continuato a scrivere fino all’ultimo giorno della sua vita.
Il Re sapeva quanto nobile d’animo fosse il suo amico. Ogni pagina della vita di Guareschi era vicina ai Savoia. Giovannino era come un faro per il suo sovrano.
Guareschi conservava una foto con dedica del suo Re, che metteva in bella mostra a quelli che andavano a trovarlo. Il Re, a suo modo, gli fu vicino nei momenti tristi della vita, come la perdita della madre dello scrittore cui era molto affezionato. In questi giorni che precedono l’anniversario mi trovo a Sequals, il paese di primo Carnera.
Se il buon Giovannino fosse stato presente al trofeo Primo Carnera avrebbe scritto un articolo per i due pugili che si sono sfidati per la conquista del titolo italiano dei pesi massimi. La sfida è avvenuta tra un pugile cattolico osservante, che ha nel cuore la fede e si potrebbe paragonare al buon Don Camillo, e l’altro al buon Peppone. A una conferenza ho voluto parlare di Guareschi, l’ho citato davanti ai due avversari: Fabio Tuiach, triestino, e Sergio Romano , napoletano. Tuiach, nei momenti di dura lotta non ha mai abbandonato la rotta che il Signore gli aveva tracciato.
Ha una famiglia con quattro figli e l’amata moglie che gli danno la voglia di vivere. Cosa rara di questi tempi in cui la crisi familiare è molto diffusa. Penso che a Guareschi sarebbe piaciuta la sua storia. Anche la tenacia con la quale ha saputo diventare per la terza volta campione italiano dei pesi massimi. Guareschi avrebbe anche scritto che quando Tuiach combatteva sul ring, la moglie Cristina che, ironia della sorte, si chiama come la maestra di uno dei personaggi più amati da Guareschi, allattava l’ultimogenita, Stefania.
Una bella immagine di vita che mi ha commosso, come mi ha emozionato quando Tuiach ha alzato le braccia in segno di vittoria e le sue possenti mani trattenevano il terzogenito, Jesus.
Allo stesso tempo il buon Guareschi avrebbe scritto qualcosa dell’avversario Peppone che in realtà è un buon pugile dal cuore grande che prima di salire sul ring ha dato un bacio a sua moglie, e alla figlioletta. Anche questo è il mondo della boxe, un mondo che tra le corde si sprigiona la lotta, ma una volta finito il match i due avversari si abbracciano.
Sergio Romano ha condotto il suo combattimento meglio che poteva, come vive dando il meglio di se stesso alle persone che ama. Il buon Don Camillo, sarebbe salito sul ring ad abbracciare entrambi i contendenti. Allo stesso tempo avrebbe preso la parola per ricordare il campione Primo Carnera che è sempre stato d’esempio anche nella vita. Un pugile che aveva lottato tanto per dare ai figli la possibilità di studiare.
Il buon Guareschi avrebbe magari additato ad esempio il pugile che aveva lottato in tutte le parti del mondo e aveva sentito la nostalgia di venir a morire nella sua terra. Proprio come un albero che sa dove nasce e dove muore. Un grosso albero quello di Carnera capace di superare le tante difficoltà che la vita gli ha fatto trovare davanti.
Quel Carnera che non dimenticava mai i poveri, quelli che avevano avuto meno fortuna di lui. Un sorriso e una pacca sulla spalla non si negano a nessuno. Basti pensare che aveva pietà anche per quelli che gli avevano fatto del male.” La vita è una bestia che t’insegue e poi ti morde, come fosse un avversario sulle le corde”, cantava Goran Kusminac, per descrivere il viaggio esistenziale di Primo. In questi tempi così difficili avremmo bisogno di un Carnera e di uno scrittore come Guareschi per mitigare la tristezza che ognuno incontra nella propria vita.

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