di Antonio Polito, Corriere della Sera 17 marzo 2011
Per quanto degeneri ne siano i discendenti, ormai consegnatisi alla cronaca nera o rosa che sia, c’è una grande assente nell’anniversario dell’Italia unita, e si chiama monarchia.
Ho provato a fare una ricerca sul sito www. italiaunita150, che comprende l’elenco ufficiale delle celebrazioni, e ho avuto questa risposta: «La ricerca di monarchia non ha prodotto risultati in nessun documento; nessuna delle pagine cercate contiene monarchia. Provate con parole-chiave diverse» .
Ho provato allora con Savoia, anche se non è proprio la stessa cosa, e ho ricevuto analoga risposta. Brutta storia, se si considera che la monarchia è stata la protagonista assoluta del processo di unificazione. Mentre giustamente l’Italia è inondata da libri, convegni, mostre e film che ci ricordano l’eroismo spesso febbricitante e talvolta velleitario di cospiratori, carbonari, massoni e mazziniani, e ci raccontano il Risorgimento come una concatenazione di atti rivoluzionari, meno giustamente è stata negletta l’istituzione che con lucida scelta prima dinastica e poi nazionale incarnò l’ideale, gli diede concretezza, diplomazia e truppe, accettò i necessari compromessi e strinse le giuste alleanze, combatté più di una guerra, e alla fine fece di un sogno romantico uno Stato unitario, moderno, e passabilmente liberale (soprattutto se paragonato al coevo Stato prussiano).
Mi piace perciò interpretare la visita che oggi Giorgio Napolitano renderà alla tomba di Vittorio Emanuele II, custodita al Pantheon, non solo come il dovuto atto di omaggio al primo Capo dello Stato italiano (e non certo ai suoi eredi, cui l’abolizione della norma transitoria sull’esilio consente solo di essere presenti, non riveriti); ma anche come una intelligente forma di risarcimento della Nazione verso una rimozione storica. Il grande silenzio che è sceso sulla monarchia non si può infatti solo spiegare con le tristi vicende degli ultimi Savoia.
Affonda le sue radici nella lettura che i partiti antifascisti diedero delle responsabilità del re prima nel fascismo e poi nella guerra, presentando la Resistenza come un secondo Risorgimento che completava e perfezionava il primo, perché si liberava finalmente anche della monarchia. Il mito del Risorgimento come rivoluzione tradita, in quanto ingabbiata in istituzioni parlamentari e liberali dalla Casa sabauda, si consolidò allora per estendersi, solo qualche anno dopo, anche alla Resistenza, anch’essa «tradita» dalla vittoria della democrazia di stampo occidentale. Senza mai chiedersi, nel primo caso e nel secondo, se la rivoluzione più che «tradita» non fosse semplicemente «fallita», come ha notato Domenico Fisichella nel suo bel Miracolo del Risorgimento.
Queste celebrazioni dovrebbero dunque indurci a rivalutare quella storia, rivolgendo uno sguardo più benigno e più equanime all’istituzione monarchica, separandone il giudizio da quello dei suoi epigoni nostrani. In fin dei conti, basta vedere nelle sale cinematografiche il Discorso del re per constatare come l’istituto monarchico in sé non sia affatto geneticamente più esposto ai germi dell’autoritarismo della repubblica. Anzi. E del resto durante il Risorgimento anche fieri repubblicani e incalliti rivoluzionari compresero con assoluta chiarezza come le ambizioni dinastiche di una antica casa regnante si fossero trasformate in coerente disegno politico nazionale, essenziale per la vittoria finale. Giuseppe Garibaldi trovò nel 1854 parole molto efficaci per esplicitare questa maturazione: «Sono sempre stato repubblicano, tutta la mia vita. Ma ora non si tratta della repubblica. Le masse io le conosco meglio di Mazzini: ho vissuto in mezzo a loro la loro vita. Mazzini conosce l’Italia colta, e ne domina gli spiriti, ma con essi non si mette in piedi un esercito per cacciare gli austriaci e il papa; per le masse, per il popolo italiano, c’è una sola bandiera: l’unità e la cacciata degli stranieri. E come si può arrivare a ciò se ci si tira addosso l’unica forte monarchia italiana?».
Non sarebbe male far conoscere anche questo Garibaldi così «togliattiano» agli studenti italiani bombardati da tanta retorica sul Risorgimento come guerra di popolo rivoluzionaria. Guerra fu, certo, e anche sanguinosa. La battaglia di Solferino passerà alla storia come uno dei più grandi massacri del secolo, al punto che proprio contemplando quel campo di battaglia Henry Dunant decise di fondare la Croce Rossa. Ma guerra mossa, ispirata e condotta da una leadership chiamata Savoia. Che fu spesso, a dire il vero, anche più «politica» dei politici di professione, come avvenne quando Cavour si dimise pur di respingere il compromesso del Trattato di Villafranca mentre il sovrano, più saggiamente, vide in quell’apparente sconfitta i prodromi del successo finale, e decise di firmare con la formula andreottiana ante-litteram: «Accetto per ciò che mi concerne» .
A Casalborgone in provincia di Torino Umberto II Re d'Italia non è assente per i 150°. il 18 giugno gli sarà intitolata una piazza nel centro storico
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Il sindaco
Amos Giardino
Gentilissimo Signor Sindaco,
RispondiEliminala ringrazio a nome dello Staff per il Suo post.
Come avrà potuto notare la Sua iniziativa ci è stata tutt'altro che indifferente.
Faremo in modo di essere quanti più è possibile.
Cordialissimi saluti.