Hanno sostituito il verde vessillo della Jamahiriya con il tricolore nero, rosso e verde dei tempi di Idris Al Senussi.
Oltre gli entusiasmi, sempre contagiosi e talvolta infantili, che hanno accompagnato le rivolte nel Nord Africa, si fa strada una certezza. Che le transizioni non saranno facili, come Tunisia ed Egitto stanno dimostrando. E che in Libia sarà ancora più arduo e pericoloso. Perché se al Cairo e a Tunisi un «dopo», magari accidentato, è ormai visibile, a Tripoli non è così. Guidare e governare il Paese, sfibrato da decenni di spietata dittatura, da odi tribali, ambiguità, vendette, sarà davvero un'impresa titanica. Però dovrebbero far riflettere due dettagli. Il primo legato alla disarmata intifada diplomatica, con decine di ambasciatori e consiglieri che abbandonano il Colonnello, si schierano con i rivoltosi, e sostituiscono il verde vessillo della Jamahiriya voluto da Gheddafi con la bandiera tricolore (nero, rosso e verde) della Libia monarchica e indipendente dei tempi di re Idris. Il secondo dettaglio è che il vessillo tricolore del regno è quello scelto dai ribelli armati: sventola a Bengasi, in gran parte del Paese, e con esso si coprono pietosamente i cadaveri dei «martiri della rivoluzione».
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