NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 15 novembre 2020

Capitolo V: Primo Carnera parte per la Francia.

 di Emilio Del Bel Belluz 

Primo Carnera, un giorno del 1922, andò a trovare la maestra, e le confidò che era costretto ad andare in Francia a lavorare presso uno zio materno che era falegname. Costui abbisognava di un aiutante e per questo aveva scritto al papà di Primo che se voleva, poteva mandargli il primogenito. Dalle lettere che la sorella gli aveva inviato, aveva saputo che aveva un fisico imponente e che con la sua forza sarebbe riuscito a lavorare agevolmente. Lo zio gli avrebbe offerto l’alloggio e il sostentamento, oltre a un piccolo stipendio da garzone. La maestra aveva fatto sedere Primo sulla sedia più robusta. L’allievo la osservava, e la vedeva ancora più vecchia e stanca. La maestra lo ascoltò, nella stanza c’era anche Lucia, che alla morte della mamma si era trasferita a vivere con lei. L’insegnante gli prese la mano, per lei era sempre il personaggio di Cuore, Garrone, quello che aiutava i deboli, e che non permetteva che qualcuno approfittasse di chi era più povero, e di chi era meno forte. 


La maestra gli accarezzò le mani. Anna fece un sospiro come fanno i vecchi, lo guardò e gli disse:” Caro Primo, mi dispiace che tu parta, mi ero abituata a vederti a scuola, ti ho visto crescere, hai un cuore buono, e non perdere mai questa tua dote. La vita non è facile per te a Sequals, e questo mi dispiace, come pure, di non poterti aiutare come avrei voluto. Quei pochi soldi che ho mi basteranno per il funerale, sento la vecchiaia che si sta impossessando di me, e la stanchezza si fa sentire sempre di più. Lucia mi aiuterà per quello che mi resta da vivere, credimi non è molto. La Francia è un paese lontano, sono sicura che ti troverai bene, ricordati però che sei italiano, dimostra d’esserne fiero”. La maestra volle fargli un regalo, e chiese a Lucia di prendere un pacchetto che aveva preparato da tempo. La scatola era sigillato da un cordoncino azzurro. Lucia lo consegnò alla maestra che lo passò a Primo, in questo pacchetto c’è la bandiera italiana, quella con lo stemma sabaudo. La ebbe in dono quando venne in quella scuola. La nuova maestra, le ha detto che porterà quella sua, che apparteneva a suo padre, morto in guerra. Allora l’insegnante pensò di donargli la sua che l’aveva fatto compagnia in questi anni e che Carnera spesso aveva portato in qualche ricorrenza. L’insegnante disse: “Ricordati che è la bandiera del Re d’Italia Vittorio Emanuele III, perché quando sarai in Francia non puoi dimenticarti che sei italiano e che ami la tua patria”. Disse a Primo di ricordare quello che aveva dettato, quando parlò del Pascoli: “ Quando si parla di Patria, viene in mente la Madre. Voi certo amate vostra madre, ma non sarebbe giusto per questo che voi disprezzaste le madri degli altri fanciulli, perché anch’esse lavorano e si affaticano per i loro figli. Così voi dovete amare la Patria vostra più delle altre Nazioni; ma non dovete disprezzare queste ultime… ” La maestra continuò a parlargli con parole molto commoventi, che assomigliavano a quelle di una madre che sta per salutare il figlio che parte per la guerra. La sua vita non è stata facile, ma la sua esistenza non si è mai discostata dai veri valori , quelli che ha cercato di donare ai suoi allievi. 

Quando Primo tornerà, la maestra non ci sarà più. Disse:” Sono vecchia e malandata, quel che mi resta della vita lo voglio vivere ancora tra i giovani, finché anche la mia mente perderà di lucidità”. Primo aveva gli occhi pieni di lacrime, sentiva il distacco da qualcuno che non avrebbe più ritrovato, la vita è fatta di persone che si incontrano e poi non si vedono più. Abbracciò la maestra e sentì il suo cuore che batteva più forte, la donna gli fece un’ultima carezza come quando era a scuola e poi se ne andò. La maestra l’osservò dalla finestra e gli fece un cenno con la mano, quella fu l’ultima immagine che ebbe di lei e che non dimenticò mai. Mille pensieri si impossessarono della sua mente, la maestra gli aveva sempre dato dei buoni insegnamenti. Quando giunse a casa trovò la mamma che stava preparandogli la valigia, non aveva molte cose da metterci, le consegnò la bandiera e le raccontò che era dono della maestra. Il giorno dopo partì, la mamma tratteneva le lacrime, perché non voleva farsi vedere che piangeva, suo padre gli diede la mano e gli consegnò del denaro. Un suo amico lo portò alla stazione ferroviaria di Udine e pensò che stava per fare qualcosa che avrebbe cambiato la sua vita. 

La Francia era un Paese che non aveva mai visto, possedeva solo una cartolina di Parigi che suo zio gli aveva spedito e che osservò più volte durante il viaggio. Quando si parte si viene presi dalla malinconia, ma lasciare il proprio paese era diventato inevitabile. La situazione lavorativa a Sequals non permetteva a Primo di guadagnare qualcosa per aiutare la sua famiglia. Dal finestrino del treno osservava le case, e i contadini che lavoravano sui campi. Vide anche un gregge di pecore con il pastore. Erano immagini che passavano veloci, e gli accrescevano la malinconia. Avrebbe voluto in quel momento tornare indietro, e dire a tutti che non si può resistere lontani dal proprio paese, neanche per una sola ora. Nonostante fosse il mese di giugno 1922, sentiva un grande freddo nel proprio cuore. Scorse anche una donna che stava assieme ai figli. E per un attimo pensò al suo futuro. Un domani anche lui avrebbe voluto una famiglia, una donna che lo aspettava a casa, e dei figli. La felicità, come diceva un poeta, era rappresentata da una donna con la quale condividere la vita in una casa circondata dagli alberi e il frutto del matrimonio che erano i figli. In fondo, lui era stato abituato in questo modo. 

Il viaggio fu lungo e pesante, non riuscì mai a dormire, chiudeva gli occhi e pensava a quello che avrebbe fatto in Francia. In treno aveva scambiato qualche parola con dei giovani, pure loro andavano in Francia a cercare fortuna. Le persone che aveva incontrato avevano una cosa in comune con lui, la tristezza di dover abbandonare il paese dove erano nate, e lasciare quelle persone che avevano amato. Primo Carnera si era messo a mangiare quello che la madre gli aveva preparato, e aveva offerto del cibo a un povero che non aveva nulla e che accettò di buon grado e soprattutto gli piacque il vino che gli fu offerto. Alla fine dopo aver mangiato, disse che quel cibo era stato preparato da mani sante, come quelle di una mamma. L’uomo si accese la pipa con del tabacco che ricavò dai mozziconi di alcune sigarette, l’odore che si sprigionò era acre, ma Primo spesso lo aveva sentito dai vecchi che fumavano. L’uomo disse che doveva recarsi da un parente che possedeva una stalla, e aveva bisogno di un aiutante; aggiunse che finita la guerra, che lo aveva tenuto lontano per tanti anni, sperava in tempi migliori. Invece, al paese non trovò lavoro, dovette abbandonare la sua vecchia casa per recarsi in Francia. Carnera si era scritto l’indirizzo dello zio su un foglio di carta e con difficoltà arrivò a destinazione. Quando vide i parenti si sentì per un attimo come se fosse a casa. 

Lo zio materno l’aveva già visto qualche volta in Italia. In Francia, a Le Mans, aveva fatto fortuna con una segheria. Primo arrivò con molta fame, perché durante il viaggio aveva finito pure i soldi. La zia gli aveva preparato una sostanziosa cena che finalmente riuscì a placare la sua fame. Quella prima notte in terra francese fu la più importante, dall’emozione faticò a prendere sonno, gli venivano in mente la famiglia, la vecchia maestra che lo aveva amato e Lucia che si occupava di lei. L’indomani mattina, all’alba, incominciò a lavorate nella segheria dello zio. Per lui era come il primo giorno di scuola, i suoi compagni di lavoro erano solo italiani, con i quali poteva parlare liberamente, ma per comunicare al di fuori, doveva imparare il francese. I primi giorni di lavoro furono i più duri, ma non gli mancava la forza e la determinazione: la sua meta era quella di mandare a casa qualche soldo. 

Lo zio non aveva un carattere docile, e al lavoro si dimostrava molto severo con i suoi operai. L’unico problema di Primo era la fame, alla mattina faceva una abbondante colazione, con pane e latte, e ogni tanto della marmellata, il caffè francese non gli piaceva, ma era necessario berlo. Ogni tanto con lo zio andava a fare dei lavori in qualche casa e incominciò ad esprimersi con qualche parola in francese. La zia gli preparava per mezzogiorno del cibo, ma non era sufficiente per uno come lui che era alto quasi due metri. Non era possibile che alla fine del pasto, avesse ancora fame, e questo preoccupava la zia. Alla sera stanco per il lavoro si buttava sul letto e il sonno lo raggiungeva subito. Il suo problema era quello d’imparare la lingua francese, una ragazza si era resa disponibile alla domenica d’insegnargliela. Questa giovane lavorava in una panetteria, e, spesso, Primo si era recato a comprare del pane per integrare il pranzo. La ragazza era anche piuttosto carina, e gli dimostrò una certa simpatia. Alla domenica Primo andava alla messa con lo zio, e quello era il momento più bello, per la calda l’accoglienza che il prete riservava alle persone che l’assistevano. La gente del luogo era francese, ma vi erano molti italiani che assiduamente partecipavano alla S. messa. 

Lo zio presentò a Primo un po’ di persone, e tutte lo osservavano con stupore perché sembrava essere più alto del campanile della chiesa. Alla fine della messa lo zio lo portava a bere qualcosa al bistrot vicino alla chiesa, dove la gente vi andava per fare due chiacchiere e bere del vino: erano contadini, muratori, e falegnami. Quando entrò nel locale con Primo, lo zio si accorse subito che lo osservavano per la grande stazza. Un pescatore gli rivolse della parole, ma non comprendendo la lingua dovette intervenire lo zio. Questo pescatore voleva sfidare il giovane a braccio di ferro, e disse che ci avrebbe scommesso una bottiglia del buon vino della Borgogna. Primo, dal canto suo, non aveva denari, e non poteva scommettere. L’uomo abituato alla vita dura del fiume gli disse che non avrebbe voluto niente, in caso di vincita. La sfida quindi si poteva fare subito e l’oste lasciò fare. La gente, che pochi minuti prima aveva assistito alla santa messa, ora non aveva di meglio per svagarsi che scommettere su chi avrebbe vinto. Lo zio di Primo non aveva nessuna voglia di scommettere, non approvava alcun gioco. Primo si sedette, il pescatore pure e davanti a una trentina di persone iniziò la sfida. Un silenzio religioso si fece nel locale, credo che anche le mosche si fossero fermate per assistere alla sfida. Primo era tranquillo, l’unica cosa che fece fu quella di togliersi la camicia, evidenziando dei possenti muscoli. 

Molti avevano scommesso sulla vittoria del pescatore e pochi su quella dell’italiano. In quella mattina, con un freddo che avrebbe imbalsamato un albero, in quel locale fumoso Primo Carnera batté a braccio di ferro il pescatore per ben tre volte. Costui umiliato disse che con quella forza avrebbe potuto fare del pugilato. L’uomo sconfitto, per la prima volta, riconobbe il valore dell’avversario, e prontamente volle pagare la bottiglia di vino che era stata messa in palio. In paese la figura di Carnera era piaciuta a molti, e ne avevano parlato di quello che era accaduto. Lo zio si sentiva orgoglioso del nipote, cui gli voleva bene. Quella domenica Primo uscì con la ragazza della bottega del pane. Passeggiarono lungo il fiume, e lei si era portata un quaderno delle elementari e un abbecedario, con una matita rossa. La gente che li incontrava era incuriosita dall’altezza di Primo che era davvero un gigante e la giovinetta gli arrivava poco sopra la cintura. Si chiamava Rosalba, aveva vent’anni e amava la natura, aveva un carattere mite, in bottega con il padre non si arrabbiava mai, in lei vi era una cortesia contagiosa. 

Rosalba era felice di stare con Primo, il loro linguaggio erano i gesti e il sorriso. Camminando lungo il fiume, giunsero vicino ad una piccola chiesetta abbandonata, il tetto era sfondato, e si sedettero vicino ad una quercia. Faceva freddo e Primo diede a Rosalba la sua sciarpa: un gesto d’affetto. Il sole di gennaio non scaldava molto, ma non c’era altro posto dove andare. Rosalba tirò fuori il piccolo abbecedario e incominciò a pronunciare le parole che erano contrassegnate da un disegno. Per Primo era come ritornare a scuola. Passarono un’oretta a ripetere quelle parole, usando anche la penna, la mano di Primo la copriva interamente. Rosalba lo guardava ammirata, si sentiva una maestra. Alla fine si alzarono e presero la via di casa. La giornata domenicale aveva spinto alcuni uomini ad usare la barca, per calare le reti. Per lo più erano pescatori della domenica, lungo l’argine qualcuno passeggiava, un uomo osservava il fiume, ammirando il colore delle acque. Rosalba, in modo istintivo, prese la mano di Primo per scaldarsi, che la strinse con dolcezza. Primo sentì una tenerezza a cui non era abituato. Inutile negare a se stesso, quella ragazza a cui non aveva detto neanche una parola, gli piaceva molto. 

Quando giunsero vicino a casa, Rosalba gli prese ancora la mano, si sarebbero rivisti la domenica successiva a Messa, e poi la giovane gli avrebbe impartito una nuova lezione. Prima di salutarsi gli aveva lasciato il piccolo abbecedario, affinché lo potesse studiare. A passo veloce Primo arrivò dagli zii, la tavola era imbandita e aveva una fame indescrivibile, e, per fortuna, alla domenica di solito il cibo era più abbondante. La zia si complimentò con lui per la sfida che aveva vinto. Era un modo per far capire che gli italiani erano un popolo molto forte e particolarmente fiero. I francesi non trattavano molto bene gli italiani. A Primo lo zio aveva insegnato d’essere rispettoso delle tradizioni del popolo che lo ospitava. La domenica fu allietata dalla compagnia di Rosalba, il cibo fu ottimo, finalmente aveva mangiato come si deve, la zia aveva fatto pure un dolce che non ne rimase sul piatto. Il giorno dopo lo aspettava un duro lavoro, lontano dalla falegnameria. Primo metteva tutta la sua forza e la sua buona volontà nel lavoro e ciò soddisfaceva lo zio. In quella settimana lavorarono vicino al fiume, in una cascina dove c’era da sistemate un pavimento in legno. Quando suonava mezzogiorno, lo zio lo portava in una trattoria frequentata da pescatori e da quelli che lavoravano con i barconi. Il locale era molto semplice, e lo zio lo conosceva bene. Primo che non disdegnava mai il cibo si mise a mangiare un cestino di pane. Una cameriera venne a portare del vino, era una donna attempata, che doveva essere sempre vissuta in quel locale. Il cibo era ottimo, la donna aveva portato un piatto in più di pesce che era la specialità del posto e altri due cestini di pane che avrebbero aggravato il conto. 

Lo zio sorrise, battendo la spalla di Primo, gli disse che era proprio un Carnera, una razza forte e massiccia . Queste piccole attenzioni avevano messo di buon umore il nipote, usciti da quel locale lavorarono fino a sera, senza mai parlarsi, e la fatica aveva conquistato il loro corpo. I giorni che seguirono furono uguali, gli piaceva leggere il libro che Rosalba gli aveva dato e ripeteva qualche parola in francese, chiedendo allo zio come si pronunciava. La domenica successiva andarono alla messa e questa volta venne anche la zia che voleva conoscere Rosalba. La chiesa era affollata e il prete vestiva dei paramenti nuovi, una festa nella festa. Primo andava a messa anche a Sequals e una volta la sua maestra gli aveva detto che in qualsiasi posto dove si trovasse, se entrava in una chiesa e vedeva un crocefisso, avrebbe sentito Dio vicino e non avrebbe avuto più paura. La vita per quanto difficile riserva sempre una speranza, nessuna tristezza rimane tale se hai Dio nel cuore. Alla fine della messa si ritrovarono al bistrot, il pescatore chiese a Carnera se era disposto ad affrontare, nella sfida a braccio di ferro, un giovane che era giunto da Parigi perché voleva conoscere quell’italiano che aveva battuto il suo amico vigoroso. Sembrava che tutti attendessero quel momento. La sfida si fece e venne messo in palio una forma di formaggio e un salame. In quel momento al bistrot era entrata Rosalba e quando vide Primo gli fece cenno con la mano. La sfida iniziò e l’uomo che aveva davanti non sarebbe stato facile da battere, ma nella vita ci vuole anche un pizzico di fortuna. Carnera aveva davanti a sé Rosalba e si sentiva fiero che lo osservasse. La gente aveva scommesso contro di lui, a tutti era bastata la fama che proveniva da Parigi. 

Quello che accadde, lo ricorderanno per anni. All’inizio l’italiano fece una smorfia di dolore, aveva avuto un crampo alla mano. In quel momento fissò il volto di Rosalba, e con uno sforzo durissimo riuscì a piegare l’avversario, e istintivamente alzò le braccia al cielo in segno di giubilo. Rosalba gli si avvicinò e gli toccò le muscolose braccia. Il bottino di quella domenica era davvero importante. La zia fu felice di arricchire la sua dispensa che, da quando era arrivato in Francia il nipote, era spesso vuota. Quel giorno lo zio aveva dato qualche soldo al nipote, che assieme a Rosalba andarono a mangiare in un posto vicino a quella chiesetta diroccata. Durante il ritorno Rosalba aveva preso la mano di Primo e non l’aveva più lasciata. Faceva freddo quel giorno, non c’era il sole, una nebbiolina si alzava dal fiume, una grossa chiatta si era attraccata alla riva; due marinai stavano discutendo in modo animato. Davano l’impressione che ci fosse stata una lite per denaro, ma non era nulla di grave, perché poco dopo entrarono pure loro a mangiare nel locale affollato di clienti, tra cui delle famiglie con figli. Uomini con il berretto da marinaio stavano giocando a carte. Quella domenica fu una delle più belle, passeggiarono per il centro del paese, ma anche se faceva freddo il cuore di Primo era riscaldato dalla tenerezza di Rosalba. 

Quando si lasciarono era giunta la sera, la nebbia era diventata più fitta. Carnera, percorrendo l’ultimo tratto di strada che lo conduceva a casa degli zii, fu colto dalla nostalgia della sua famiglia, a cui non aveva scritto neanche una cartolina per informarla sulle sue condizioni di salute. Qualche volta aveva pensato di ritornare in paese, era anche andato alla stazione dei treni, ma poi aveva deciso che era meglio non partire: era lì per lavorare ed inviare del denaro a casa. I mesi passavano e il suo corpo s’ingigantiva sempre di più, anche grazie alla fatica ed al duro lavoro. Qualche volta con Rosalba, la domenica, andava al cinematografo. Dei film che vedeva capiva poco o nulla, ma gli piaceva osservare i personaggi e in qualche modo cercare di imparare la pronuncia. Rosalba era una cara ragazza, gli dava delle ripetizioni di francese, e in qualche modo contribuiva a mitigare la solitudine e la nostalgia della sua terra. Una domenica di marzo arrivò un circo al paese. I manifesti pubblicitari facevano presagire che si trattasse di un circo di modesta entità. 

A Sequals ricordava d’aver visto solo un piccolo circo, con pochi animali che non riscosse molto successo, ma a lui era piaciuto comunque. Anzi, aveva conosciuto alcuni circensi e li aveva aiutati in piccoli lavori, guadagnandosi, così, un biglietto per lo spettacolo. Primo chiese a Rosalba di andare con lui alla rappresentazione della domenica.

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