PROLUSIONE
del
Cavaliere Falcone Lucifero Ministro della Real Casa
Sono altamente onorato di
portare a questa solenne riunione il saluto cordiale, affettuoso, memore di
Sua Maestà il Re.
Il saluto va al nostro
caro Presidente avv. Carlo d'Amelio, il quale ha saputo portare a questo
Circolo quell'attività realizzatrice che lo distingue nel campo professionale
e nella vita civile.
Egli ha così seguito l'esempio dei suoi
predecessori, ai quali pure va il saluto memore e riconoscente di Sua Maestà il
Re. Vorrei ricordare in modo particolare il caro prof. Mancuso, che non vedo
qui presente perché ammalato. A lui vada l'augurio più fervido di Sua Maestà il
Re e di tutti noi.
Il saluto va al Consiglio Direttivo del
Circolo; a tutti i suoi assidui frequentatori, che hanno così dimostrato, con
la loro presenza in questi anni, l'interesse e l'utilità dell'istituzione.
Il saluto del Re va a tutti i presenti che
hanno voluto rendere oggi più solenne e più significativa questa rievocazione
del Suo Augusto Genitore.
Un saluto alle gentili signore che nel
Parlamento, nell'Unione Monarchica Italiana, nei partiti, nella vita civile,
nell'assistenza, hanno ognora dimostrato la fedeltà al Re e la certezza nei
destini della Patria.
Il saluto va agli onorevoli componenti della
Consulta dei Senatori del Regno, qui degnamente rappresentati dal suo illustre
Presidente, il Magnifico Prof. Giuseppe Ugo Papi, dal nostro amatissimo,
illustre prof. Gioacchino Volpe e da tutti gli altri degni colleghi.
Il saluto del Re va in modo
particolare alle Medaglie d'oro, che rappresentano la continuità meravigliosa
del valore militare dell'esercito italiano in tutte le guerre; va ai mutilati
ed invalidi, qui degnamente rappresentati dal nostro Carlo Delcroix, il quale,
se ha saputo dare in guerra l'olocausto della sua vista e, quel che è ancora
più duro, l'olocausto delle sue mani, ha fatto del suo sacrificio e della sua
mutilazione un altare.
Il saluto del Re va a tutti gli eminenti uomini
politici, dal carissimo onorevole Alfredo Covelli, agli altri parlamentari del
suo e di altri partiti, i quali hanno affrontato in questi anni la dura
battaglia politica al servizio del Re e della Patria; va a tutti i dirigenti
dell'Unione Monarchica Italiana e del Partito Monarchico, i quali, anch'essi,
hanno dato sicura prova di quello che può significare nelle situazioni più
difficili la ferma determinazione e la certezza che riusciremo a vincere ogni
ostacolo e a riportare l'Italia ai suoi anni più belli.
Il saluto del Re va a tutti i monarchici
d'Italia, i quali sono qui oggi presenti o di persona o in ispirito, e va a
voi, giovani, che rappresentate l'avvenire dell'Italia, che giustamente oggi
perseguite ideali e mete forse diverse da quelle nostre, ma le basate
ugualmente sugli alti valori dello spirito, della morale, della Patria, senza
i quali nulla di duraturo si costruisce.
L'altissimo onore che Sua Maestà ha voluto
concedermi con l'Ordine della Santissima Annunziata, e che io so bene di non
meritare, vuole essere riconoscimento per tutti i monarchici che, da alte o da
modeste posizioni, in questi lunghissimi venticinque anni, si sono prodigati
nella democratica lotta al servizio della Patria e del Re.
L'amico d'Amelio mi ha invitato a dire anche io
qualche cosa sulla figura del Re Soldato, di cui ho avuto l'onore d'essere
prima Prefetto del Regno e poi Ministro dell'Agricoltura e Alto Commissario per
l'alimentazione, in tempi assai duri. Ma penso che attarderei la vostra ansia
di ascoltare l'oratore e all'oratore designato toglierei materia del suo dire.
Ho molti ricordi dei rapporti che ebbi col Re
in quelle tristissime giornate di Salerno, in cui vedere la Patria divisa in
due, vedere tante sventure che si erano su di essa addensate non ci toglieva
quell'ansia di volerla al più presto uscire da quelle ambascie e da quelle
sventure in cui immeritatamente era precipitata e di volerla ricostruire più
bella e più prospera di prima.
Il nostro Re era lì, anch'Egli affranto, anche Egli addolorato e
triste, ma sempre animatore di queste nostre energie e di questo nostro
proposito.
Ricordo che, quando ebbi l'onore di andare a
giurare come Ministro dell'Agricoltura, solo, perché giunto in ritardo dalla provincia
in cui ero Prefetto, Egli mi disse parole gentili e generose e io, sommesso,
mi permisi di ricordarGli — antico ricordo scolastico — un verso di Orazio che
Gli piacque tanto. Quel verso di Orazio, su Roma dopo Canne: «Merses profundo,
pulchrior evenit!», (« precipitata nella più dura delle disfatte, risorse più
grande e più bella di prima »), doveva essere la nostra insegna, di noi modesti
uomini politici di quel gabinetto Badoglio, che cercò di gettare allora le basi
dell'Italia del domani: una monarchia costituzionale, saldamente democratica,
al riparo da nuove insidie e pericoli.
Questa era l'ansia di ognuno di noi dopo le
tristi esperienze del fascismo e la disfatta.
E dei ricordi che nel mio animo in questo
momento rivivono di fronte all'immagine del Re Soldato, dirò solo questo.
Egli ascese al trono, dopo il regicidio, e
portò l'anelito profondo di creare un'Italia libera e evoluta, in cui le
classi più umili, che allora veramente soffrivano, potessero elevarsi con una
legislazione avanzata che consentisse a tutti il miglioramento delle
condizioni sociali ed economiche, senza far correre pericoli agli istituti
democratici.
Quale fu invece il fato di questo Re?
Egli tentò, soprattutto coi ministeri
Zanardelli e Giolitti, siffatta politica e il cammino fu avviato e conquiste
si raggiunsero. Ma costantemente il massimalismo e l'estremismo irresponsabili
scesero nelle piazze, crearono disordini, spesso seminarono morti e feriti,
ostacolarono il cammino, danneggiarono la Patria e ritardarono il progresso
stesso dei lavoratori.
Vorrei che i nostri avversari, di fronte a
quello che sta avvenendo, riconoscessero negli eventi di oggi la difesa
obiettiva e veritiera del Re Vittorio Emanuele III.
Se essi,
in buona fede, hanno il proposito di creare un regime sicuramente democratico e
socialmente avanzato, vedono quel che oggi anche a loro accade e quali ostacoli
vengono frapposti dallo stesso estremismo e massimalismo irresponsabili che
prendono
il sopravvento nelle agitazioni sindacali, o falsamente sindacali, in atto.
E non aggiungo altro,
giacché, seguendo l'esempio e l'ammonimento del nostro attuale Sovrano, non
voglio dire nulla che possa rendere più difficile il compito di quegli uomini
che si sono assunti la responsabilità di reggere il paese in un regime
contrario alle tradizioni nazionali, nato in un momento di generale
disorientamento degli animi, con la più esigua delle maggioranze — neppure
duecentocinquantamila voti — mentre alcuni milioni di italiani non poterono
partecipare al referendum istituzionale.
Ora, amici, vi leggerò il
messaggio di S.M. il Re Umberto II, non senza dire alto e forte, che avrei il
diritto di leggerlo a quella Rai e a quella Televisione che ci sono
antidemocraticamente precluse, perché i dirigenti considerano questo ente di
Stato, pagato da tutti i cittadini, come organo del regime in atto, e perché
non amano ricordare quel che or ora dicevo e cioè che la Repubblica è stata
creata dalla più esigua delle maggioranze, anche se si accettano, — noi mai li
abbiamo accettati, né mai li accetteremo, — i dati del ministro dell'Interno
dell'epoca, Giuseppe Romita.
Ed ora vi leggo, amici, il
messaggio del Re, che ho già letto il 4 novembre a Torino, nella magnifica
manifestazione ivi organizzata, al teatro Carignano, dal Fronte Monarchico
Giovanile dell'Unione Monarchica Italiana. E vi farà piacere di apprendere che,
subito dopo, abbiamo attraversato in corteo alcune delle vie principali della
città, con centinaia di bandiere tricolori e sabaude, tra il delirante
entusiasmo dei partecipanti e il più largo consenso della cittadinanza.
Le benemerite Forze
dell'Ordine e le Forze Armate, di cui si faceva sfoggio, ed alle quali va
sempre il nostro saluto, possono essere utilmente utilizzate altrove, giacché
nulla vi è da temere da noi monarchici; anzi su di noi si può sempre contare
per la difesa della Patria e della libertà.
Ecco dunque il messaggio del Re:
ITALIANI!
Siete oggi riuniti a
Torino, così legata alla storia della mia Casa e vostra, per rinnovare il
giuramento di fedeltà alla Patria, nel ricordo del la più splendida delle
nostre vittorie, che segnò, sotto la guida del mio Augusto Genitore, la
conclusione del nostro risorgimento.
E siete anche riuniti per celebrare il
centenario della nascita di quel Re che combattenti e popolo chiamarono il Re
Soldato.
Divenuto Re all'inizio del secolo che vedeva i
lavoratori aprirsi faticosamente la strada per la conquista di maggiori
diritti, Egli seppe essere l'interprete ansioso di tali aneliti, sì che il
nuovo regno portò grandi progressi sociali ed economici.
Nella presente crisi dello Stato, deplorevoli
violenze da parte di elementi che rifiutano il sistema democratico mettono in
pericolo anche giuste rivendicazioni, consentite dall'incremento del reddito
nazionale e della produttività, e paralizzano l'attività economica della
Nazione con danno indistintamente per tutti.
Nella figura del Re Soldato
si ritrovi l'immagine di una Italia sana e unita e si condanni apertamente ogni
estremismo, da qualunque parte esso venga. I giovani soprattutto, ai quali
vanno ognora le nostre attese per il domani della Patria, si ispirino a quella
esperienza per vincere le presenti suggestioni e insidie.
Italiani di ogni idea e di ogni parte!
Mentre vi ripeto l'augurio
che è sempre vivo nel mio animo per ciascuno di voi, vi ripeto del pari
l'esortazione più solenne e più attenta alla difesa della libertà, che è
legittima, doverosa e irrinunciabile tanto più quando è saldamente fondata
sulla giustizia.
Ricordate quello che tante volte vi ho detto in
questi anni e che voglio ripetervi oggi a voce più alta: con la libertà tutto è
possibile, senza libertà tutto è perduto.
Cascais, 4 novembre 1969
UMBERTO
Il
discorso, frequentemente interrotto da applausi, è stato alla fine accolto da
una prolungata ovazione all'indirizzo di S.M. il Re.
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