NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 21 novembre 2020

Re Vittorio Emanuele III, prolusione del Ministro Lucifero

 


PROLUSIONE

del Cavaliere Falcone Lucifero Ministro della Real Casa

Sono altamente onorato di portare a questa solenne riu­nione il saluto cordiale, affettuoso, memore di Sua Maestà il Re.

Il saluto va al nostro caro Presidente avv. Carlo d'Amelio, il quale ha saputo portare a questo Circolo quell'attività rea­lizzatrice che lo distingue nel campo professionale e nella vita civile.

Egli ha così seguito l'esempio dei suoi predecessori, ai quali pure va il saluto memore e riconoscente di Sua Maestà il Re. Vorrei ricordare in modo particolare il caro prof. Mancuso, che non vedo qui presente perché ammalato. A lui vada l'augurio più fervido di Sua Maestà il Re e di tutti noi.

Il saluto va al Consiglio Direttivo del Circolo; a tutti i suoi assidui frequentatori, che hanno così dimostrato, con la loro presenza in questi anni, l'interesse e l'utilità dell'istituzione.

Il saluto del Re va a tutti i presenti che hanno voluto ren­dere oggi più solenne e più significativa questa rievocazione del Suo Augusto Genitore.

Un saluto alle gentili signore che nel Parlamento, nell'Unio­ne Monarchica Italiana, nei partiti, nella vita civile, nell'assi­stenza, hanno ognora dimostrato la fedeltà al Re e la certezza nei destini della Patria.

Il saluto va agli onorevoli componenti della Consulta dei Senatori del Regno, qui degnamente rappresentati dal suo illu­stre Presidente, il Magnifico Prof. Giuseppe Ugo Papi, dal nostro amatissimo, illustre prof. Gioacchino Volpe e da tutti gli altri degni colleghi.

Il saluto del Re va in modo particolare alle Medaglie d'oro, che rappresentano la continuità meravigliosa del valore militare dell'esercito italiano in tutte le guerre; va ai mutilati ed invalidi, qui degnamente rappresentati dal nostro Carlo Delcroix, il quale, se ha saputo dare in guerra l'olocausto della sua vista e, quel che è ancora più duro, l'olocausto delle sue mani, ha fatto del suo sacrificio e della sua mutilazione un altare.

Il saluto del Re va a tutti gli eminenti uomini politici, dal carissimo onorevole Alfredo Covelli, agli altri parlamentari del suo e di altri partiti, i quali hanno affrontato in questi anni la dura battaglia politica al servizio del Re e della Patria; va a tutti i dirigenti dell'Unione Monarchica Italiana e del Partito Monarchico, i quali, anch'essi, hanno dato sicura prova di quello che può significare nelle situazioni più difficili la ferma deter­minazione e la certezza che riusciremo a vincere ogni ostacolo e a riportare l'Italia ai suoi anni più belli.

Il saluto del Re va a tutti i monarchici d'Italia, i quali sono qui oggi presenti o di persona o in ispirito, e va a voi, giovani, che rappresentate l'avvenire dell'Italia, che giustamente oggi perseguite ideali e mete forse diverse da quelle nostre, ma le basate ugualmente sugli alti valori dello spirito, della morale, del­la Patria, senza i quali nulla di duraturo si costruisce.

L'altissimo onore che Sua Maestà ha voluto concedermi con l'Ordine della Santissima Annunziata, e che io so bene di non meritare, vuole essere riconoscimento per tutti i monarchici che, da alte o da modeste posizioni, in questi lunghissimi venticinque anni, si sono prodigati nella democratica lotta al servizio della Patria e del Re.

L'amico d'Amelio mi ha invitato a dire anche io qualche cosa sulla figura del Re Soldato, di cui ho avuto l'onore d'essere prima Prefetto del Regno e poi Ministro dell'Agricoltura e Alto Commissario per l'alimentazione, in tempi assai duri. Ma penso che attarderei la vostra ansia di ascoltare l'oratore e all'oratore designato toglierei materia del suo dire.

Ho molti ricordi dei rapporti che ebbi col Re in quelle tri­stissime giornate di Salerno, in cui vedere la Patria divisa in due, vedere tante sventure che si erano su di essa addensate non ci toglieva quell'ansia di volerla al più presto uscire da quelle ambascie e da quelle sventure in cui immeritatamente era preci­pitata e di volerla ricostruire più bella e più prospera di prima.

Il nostro Re era lì, anch'Egli affranto, anche Egli addolorato e triste, ma sempre animatore di queste nostre energie e di questo nostro proposito.

Ricordo che, quando ebbi l'onore di andare a giurare come Ministro dell'Agricoltura, solo, perché giunto in ritardo dalla pro­vincia in cui ero Prefetto, Egli mi disse parole gentili e gene­rose e io, sommesso, mi permisi di ricordarGli — antico ricordo scolastico — un verso di Orazio che Gli piacque tanto. Quel verso di Orazio, su Roma dopo Canne: «Merses profundo, pulchrior evenit!», (« precipitata nella più dura delle disfatte, risorse più grande e più bella di prima »), doveva essere la nostra insegna, di noi modesti uomini politici di quel gabinetto Badoglio, che cercò di gettare allora le basi dell'Italia del domani: una mo­narchia costituzionale, saldamente democratica, al riparo da nuo­ve insidie e pericoli.

Questa era l'ansia di ognuno di noi dopo le tristi esperienze del fascismo e la disfatta.

E dei ricordi che nel mio animo in questo momento rivivono di fronte all'immagine del Re Soldato, dirò solo questo.

Egli ascese al trono, dopo il regicidio, e portò l'anelito pro­fondo di creare un'Italia libera e evoluta, in cui le classi più umili, che allora veramente soffrivano, potessero elevarsi con una legislazione avanzata che consentisse a tutti il miglioramen­to delle condizioni sociali ed economiche, senza far correre peri­coli agli istituti democratici.

Quale fu invece il fato di questo Re?

Egli tentò, soprattutto coi ministeri Zanardelli e Giolitti, sif­fatta politica e il cammino fu avviato e conquiste si raggiunsero. Ma costantemente il massimalismo e l'estremismo irresponsabili scesero nelle piazze, crearono disordini, spesso seminarono morti e feriti, ostacolarono il cammino, danneggiarono la Patria e ritar­darono il progresso stesso dei lavoratori.

Vorrei che i nostri avversari, di fronte a quello che sta avve­nendo, riconoscessero negli eventi di oggi la difesa obiettiva e veritiera del Re Vittorio Emanuele III.

Se essi, in buona fede, hanno il proposito di creare un regime sicuramente democratico e socialmente avanzato, vedono quel che oggi anche a loro accade e quali ostacoli vengono frapposti dallo stesso estremismo e massimalismo irresponsabili che prendono il sopravvento nelle agitazioni sindacali, o falsamente sin­dacali, in atto.

E non aggiungo altro, giacché, seguendo l'esempio e l'ammonimento del nostro attuale Sovrano, non voglio dire nulla che possa rendere più difficile il compito di quegli uomini che si sono assunti la responsabilità di reggere il paese in un regime contrario alle tradizioni nazionali, nato in un momento di gene­rale disorientamento degli animi, con la più esigua delle mag­gioranze — neppure duecentocinquantamila voti — mentre al­cuni milioni di italiani non poterono partecipare al referendum istituzionale.

Ora, amici, vi leggerò il messaggio di S.M. il Re Umberto II, non senza dire alto e forte, che avrei il diritto di leggerlo a quella Rai e a quella Televisione che ci sono antidemocratica­mente precluse, perché i dirigenti considerano questo ente di Stato, pagato da tutti i cittadini, come organo del regime in atto, e perché non amano ricordare quel che or ora dicevo e cioè che la Repubblica è stata creata dalla più esigua delle maggioranze, anche se si accettano, — noi mai li abbiamo accettati, né mai li accetteremo, — i dati del ministro dell'Interno dell'epoca, Giu­seppe Romita.

Ed ora vi leggo, amici, il messaggio del Re, che ho già letto il 4 novembre a Torino, nella magnifica manifestazione ivi orga­nizzata, al teatro Carignano, dal Fronte Monarchico Giovanile dell'Unione Monarchica Italiana. E vi farà piacere di apprendere che, subito dopo, abbiamo attraversato in corteo alcune delle vie principali della città, con centinaia di bandiere tricolori e sabaude, tra il delirante entusiasmo dei partecipanti e il più largo consenso della cittadinanza.

Le benemerite Forze dell'Ordine e le Forze Armate, di cui si faceva sfoggio, ed alle quali va sempre il nostro saluto, possono essere utilmente utilizzate altrove, giacché nulla vi è da temere da noi monarchici; anzi su di noi si può sempre contare per la difesa della Patria e della libertà.

Ecco dunque il messaggio del Re:

ITALIANI!

Siete oggi riuniti a Torino, così legata alla storia della mia Casa e vostra, per rinnovare il giuramento di fedeltà alla Patria, nel ricordo del la più splendida delle nostre vittorie, che segnò, sotto la guida del mio Augusto Genitore, la conclusione del nostro risorgimento.

E siete anche riuniti per celebrare il centenario della nascita di quel Re che combattenti e popolo chiamarono il Re Soldato.

Divenuto Re all'inizio del secolo che vedeva i lavoratori aprirsi faticosamente la strada per la conquista di maggiori diritti, Egli seppe essere l'interprete ansioso di tali aneliti, sì che il nuovo regno portò grandi pro­gressi sociali ed economici.

Nella presente crisi dello Stato, deplorevoli violenze da parte di ele­menti che rifiutano il sistema democratico mettono in pericolo anche giuste rivendicazioni, consentite dall'incremento del reddito nazionale e della produttività, e paralizzano l'attività economica della Nazione con danno indistintamente per tutti.

Nella figura del Re Soldato si ritrovi l'immagine di una Italia sana e unita e si condanni apertamente ogni estremismo, da qualunque parte esso venga. I giovani soprattutto, ai quali vanno ognora le nostre attese per il domani della Patria, si ispirino a quella esperienza per vincere le presenti suggestioni e insidie.

Italiani di ogni idea e di ogni parte!

Mentre vi ripeto l'augurio che è sempre vivo nel mio animo per cia­scuno di voi, vi ripeto del pari l'esortazione più solenne e più attenta alla difesa della libertà, che è legittima, doverosa e irrinunciabile tanto più quando è saldamente fondata sulla giustizia.

Ricordate quello che tante volte vi ho detto in questi anni e che voglio ripetervi oggi a voce più alta: con la libertà tutto è possibile, senza libertà tutto è perduto.

Cascais, 4 novembre 1969

UMBERTO

Il discorso, frequentemente interrotto da applausi, è stato alla fine accolto da una prolungata ovazione all'indirizzo di S.M. il Re.

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