NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 27 novembre 2020

Il libro azzurro sul referendum - XXI cap - 2

 


Il. - Critica dei metodi di indagine statistica

Nell'accingermi al mio lavoro, mi è sembrato più logico partire dai dati, certi del censimento 1936, che la stessa Legge aveva adottati, agli effetti elettorali, per stabilire la «popolazione legale», anziché riferirmi ad uno qualsiasi dei dati successivamente «calcolati» dall'Istituto Centrale di Statistica, anche i più vicini possibile al 1946, perché suscettibili, per varie cause, di più rilevanti errori; in ogni modo, se li avessi adottati per i miei calcoli, sarei partito da un dato «calcolato», e quindi incerto. Il problema che il mio modesto studio doveva affrontare era complesso, perché anzitutto si proponeva di determinare la più probabile popolazione reale alla data del 31 dicembre 1945; quindi determinare la più probabile cifra di popolazione elettorale a quella data. Ma a questo ultimo fine soccorrevano ancor meno «elementi certi a su cui operare, tanto più che, dagli «Annuari Statistici» del Regno, si rileva che per «calcolare» la distribuzione della popolazione «per sesso e per classi di età» erano stati, nel tempo adottati criteri non del tutto uniformi.

Partendo, in ogni modo, dai dati del censimento 21 aprile 1936, per calcolare la popolazione «probabile a al 31 dicembre 1945 potevano seguirsi vari metodi. Più agevole, in un certo senso, fra questi, il calcolare il numero dei sopravviventi, per classi di età, dei «nati negli anni precedenti al 1925 e censiti nel 1936», e depurarlo del numero dei morti dal 1936 in poi, usando a tale fine delle «statistiche» della mortalità per classi di età. Poiché però tali statistiche non sono pubblicate al completo, poteva farsi ricorso alle a tavole di mortalità».

Senonché l'uso delle «tavole di mortalità», che pongono in rilievo una tendenza «ottimistica» alla longevità, inducono ad errori a per eccesso», i quali si vanno sommando — con identico «segno» e quindi senza compensi né variazioni in meno — anno per anno, e fanno correre il rischio di scoprire di aver calcolato una cifra di popolazione notevolmente più elevata della reale.

Mi soccorreva un altro metodo — e l'ho preferito ritenendolo suscettibile di errori meno rilevanti — e cioè calcolare l'accrescimento probabile della popolazione dal 1936 al 1945, valendosi degli «indici di accrescimento naturale », e rettificando poi il risultato con l'applicazione degli a indici di diminuzione naturale a per il periodo bellico 1941-1945, determinata questa dalla diminuzione delle nascite, e dei matrimoni, e dall'aumento più sensibile delle morti, esclusi i morti in zona di operazioni, per cause dovute alla guerra.

Per calcolare poi la probabile «popolazione elettorale», ho ritenuto più attendibile l'applicazione dell'«indice di maggiore età», che indica la proporzione percentuale rappresentata dai cittadini di ambo i sessi che hanno compiuta «l'età elettorale» di anni 21.

Qui pure, un solo dato certo, — anzi, un solo dato, perché i successivi mancavano — fornito dal censimento 21 aprile 1936: il 60,30%. In compenso, esistono, o sono comunque facilmente calcolabili, i dati correlativi per gli anni antecedenti al 1936.

Applicare anche per questo problema le «tavole di mortalità», avrebbe fatto correre il rischio — dì fronte alla accertata tendenza della popolazione italiana alla longevità — di determinare per il 1946 un «indice» pari al 63,70%, e per il 195° al 66-67%. L'Istituto Centrale di Statistica, evidentemente tenendo conto dei risultati provvisori del censimento 4 novembre 1951, ha determinato tale «indice», per il 195o, nel 63,30%.

Teoricamente, con l'accrescimento della longevità, aumenta di pari passo «l’invecchiamento» della popolazione — fenomeno tipico dei periodi che presentano una «diminuzione proporzionale, costante a nel numero delle nascite e nel numero delle morti — e quindi diviene più alta la cifra dell'indice di maggiore età».

Nella realtà, la natura, e le guerre, provvedono a correggere la corsa degli uomini all'a invecchiamento » della popolazione, a causa del quale a un dato momento i a giovani a si ridurrebbero ad una percentuale « insufficiente alla vita dell'umanità », posto che, se le nascite diminuiscano e in pari tempo gli uomini vivano sempre più a lungo — come starebbero a indicare le «tavole di mortalità» — questa sarebbe « la morte dell'umanità».

Per calcolare dunque, l'indice di maggiore età — lungi logicamente dal presupposto di un «indice costante» — ho ritenuto metodo efficace di raffrontare fra loro, analizzandone le variazioni annuali, gli indici di maggiore età rilevabili dai dati pubblicati negli Annuari dell'Istituto Centrale di Statistica, per gli anni dal 1910 al 194o, e quindi raffrontar particolarmente fra loro le variazioni dei periodi bellici 1915-1920, e 1941-1945, determinate dalla diminuzione delle nascite e dall'aumento contemporaneo delle morti.

Tali raffronti, mentre consentivano di seguire agevolmente l'andamento dell'«invecchiamento costante» - e quindi del graduale elevarsi dell'indice di maggiore età - ponevano in rilievo l'incidenza della « diminuzione naturale della popolazione nei periodi bellici», che determina una forte flessione del fenomeno dell'« invecchiamento » inducendo ad un « ringio­vanimento » ed al contemporaneo « abbassamento dell'indice di maggiore età », riferibile al periodo bellico, fino a riportarlo al livello in cui era all'inizio del quinquennio precedente.

Cosicché, di fatto, come si verificò per il periodo bellico 1915-1920 -che riportò l'indice ad un livello ancora inferiore a quello del 1911 - così doveva avvenire, e necessariamente avvenne, che l'aumento nell'indice di maggiore età verificatosi nel quinquennio 1936-1940, si annullasse, per le stesse cause determinanti la «flessione» di cui si è accennato, nel pe­riodo bellico 1941-1945.

A tranquillizzare tuttavia chi paventi, per le vie della statistica, la fine dell'umanità, resta fermo il presupposto dell’«aumento costante della popolazione», determinato dalla «eccedenza costante delle nascite sulle morti». L'andamento delle nascite e delle morti, solo «apparentemente» può porre in evidenza «momentanee» diminuzioni annuali, se vengano conteggiati, e riferiti all'anno rispettivo, i morti in zona di operazioni. Ma poiché questi geni, normalmente, conteggiati negli elaborati statistici soltanto successivamente alla guerra, e quindi sono «riassorbiti» nel nu­mero dei morti considerati nel periodo successivo, avviene che, conside­rando «per quinquenni» il movimento della popolazione, se ne riscontra la costanza dell'aumento.

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