Nell'aprile del 1957 un intervento del Capo dello Stato presso i presidenti
della Camera e del Senato relativamente alla elezione di membri dell'Alta Corte
siciliana rivelò a molti italiani, che la ignoravano, l'esistenza di codesta
Corte e la possibilità di conflitti ardui a risolversi tra essa e l'Alta Corte
Costituzionale.
A facile immaginare cosa accadrebbe qualora l'autonomismo regionale venisse
esteso a tutto il paese e avessimo, oltre a una ventina di parlamentini,
altrettante Alte Corti regionali in perpetua collisione con la Corte
Costituzionale, da cui il presidente on.le De Nicola volle in quello stesso
torno di tempo separare il proprio destino.
A dimostrare negli artefici della Costituzione l'assenza di spirito
nazionale basterebbe il progetto del regionalismo concepito dai democristiani
in funzione di un federalismo neoguelfo abbandonato dallo stesso Gioberti che
n'era stato il teorico, e favorito dai social comunisti fiduciosi di creare qua
e là nel paese piccole repubbliche sovietiche e miranti alla disintegrazione
dello Stato come preludio alla sovietizzazione totale.
Tutto era presente negli uomini della Costituente, salvo la nazione
italiana, lo Stato unitario italiano. Mancava tra essi una Destra crede del
Risorgimento e capace di difenderne l'opera. Nella preoccupazione (li
garantirsi contro la possibilità di nuove dittature, si minavano a cuor leggero
le stesse fondamenta dello Stato.
il
regionalismo è una spada di Damocle che rimane sospesa sull'Italia, un pericolo
che ci minaccia tutti ma del quale pochi fra noi si danno pensiero, perché la
nuova classe di governo è riuscita a inoculare nel gran numero la sua stessa
insensibilità per gli interessi generali e costanti del paese.
Dalla fine
della guerra la nostra piú grave infermità risiede in ciò, che gli interessi
particolari sono rumorosi e armati, gli interessi generali sono muti e inermi.
Le ragioni del tutto operano sui singoli a lunga scadenza e indirettamente, non
fruiscono di popolarità demagogiche, per riconoscerle occorrono preveggenza e
senso di patriottica abnegazione, e all'infuori della Destra raramente esse
trovano chi se ne faccia portavoce; le ragioni della parte sono stimoli
immediati e diretti, ricchi di riflessi elettorali, e trovano nella Sinistra e
nel Centro difensori a non finire.
Se è vero
che la funzione sviluppa l'organo, dovremmo attendere una larga convergenza di
opinione verso gli ideali di una Destra capace di assumere la continuità del
moto risorgimentale come superamento dei particolarismi di ogni specie nel
primato unitario della nazione.
Nel presente
la deficienza d'intima coesione, che si estende a tutto l'organismo dalla base
al vertice e rende evanescente lo Stato medesimo, deriva dalle particolari
circostanze nelle quali presso di noi la libertà politica venne ripristinata
dalle armi straniere, e dalla interpretazione che di essa, in conseguenza di
ciò, è stata comunemente data come antitesi di disciplina civile e nazionale.
Il fascismo
portava l'accento sui doveri del cittadino: nel radicale rovesciamento operato
dalla sconfitta, la democrazia è stata intesa come un sistema nel quale per il
cittadino non esistono più doveri ma soltanto diritti; e d'altronde la stessa
parola dovere suona falso sulla bocca d'uomini che a quel rovescia
mento devono
la loro ascesa al potere. Un sempre maggiore benessere (che è poi un "male
essere" perché deserto di contenuto spirituale) è la meta a cui ciascuno ambisce
di giungere in una perpetua tensione agonistica tra gruppi e attraverso il più
spregiudicato impiego di scioperi ricattatori che sono delitti di sabotaggio
contro l'economia nazionale.
Senso della
misura, concordia civile, solidarietà nel sacrificio sono divenute formule
risibili. Ognuno si sente principio e fine del divenire cosmico e pretende che
l'universo ruoti intorno al suo ombelico personale o di gruppo, classe,
partito.
Sta bene che
democratico sia lo Stato che « serve il cittadino »: ma resta a vedere se
codesto servizio debba estendersi anche agli egoismi del cittadino.
Il ministro Tambroni il 26 settembre 1957 nella sua
relazione parlamentare sul bilancio degli Interni scoperse che quello dello
Stato democratico « non è soltanto un problema di vertice ma anche un problema
di base. All'opera dello Stato - osservò il Ministro - occorre che faccia
riscontro un'educazione sociale di sempre più alto livello, perché accade che ciascuno
voglia lo Stato al servizio dei suoi particolarismi e dei suoi egoismi, si
preoccupi soltanto delle proprie esigenze anche quando non costituiscono diritti
tutelabili né interessi meritevoli di protezione.
E ciò
avviene perché lontani dallo Stato, senza fiducia in esso, il cittadino o la
categoria, invece di tendere a migliorarlo, tendono a deviarlo, sicché lo Stato,
anziché punto d'incontro, diventa per tutti il punto dove i contrastanti
interessi sembrano non trovare il necessario riconoscimento e coordinamento.
Ecco allora
che ne derivano anche contrasti tra gli uomini singoli e le categorie, in gara
tra loro, in lotta tra loro, dimentichi dell'interesse generale. Così nascono
la ricerca del privilegio e il disordine sociale ».
Parole
d'oro, anche se tardive, dalle quali discende che la nostra democrazia è, di
fatto, l'hobbesiano bellum omnium contra omnes, se pur contenuto in forme
approssimativamente civili, guerra a cui lo Stato assiste imparzialmente in
attesa che i cittadini divengano onesti temperanti giusti generosi. A dodici
anni dalla instaurazione del novus ordo si scopre che l'educazione sociale - e
potremmo anche dire civile o nazionale - è una necessità; ma ove i governanti
ne prendessero direttamente cura si cadrebbe nell'aborrito Stato etico, e al
contrario l'agnosticismo democratico impone di attendere la spontanea
conversione degli uomini alla virtù. Intanto, affinché essi fossero interamente
liberi, si sono soppresse tutte le suggestioni alla virtù sperimentate e
consacrate nel corso dei secoli, prima delle quali il patriottismo, che e
sempre stato il più efficace antidoto dell'egoismo individuale.
Abolendo la
Monarchia si è inferto un colpo mortale al patriottismo.
La nostra
maggiore necessità è di consentire in ciò che noi italiani tutti abbiamo in
comune: e in un paese di tradizioni particolaristiche e di recente formazione
in Stato solo l'Istituto Monarchico ha questo potere di armonizzare la volontà
almeno nelle'cose essenziali.
Patriottismo
significa vigile senso degli interessi generali e costanti all'interno e
all'estero e prontezza a subordinare a quelli i propri interessi personali o di
categoria. Monarchia e patriottismo sono termini convergenti, nel senso che non
si può essere monarchici senza essere patrioti e che se esistono patrioti non
monarchici la loro posizione sorge da cause transeunti.
Siamo come
il quadrante di una bussola smagnetizzata, ove ogni settore si considera il
polo in quanto l'ago praticamente non esiste. Anche durante il Risorgimento
avevamo i partiti: unitari e unionisti, federalisti neoguelfi e federalisti
neoghibellini, moderati e partito d'azione, ma la bussola italiana aveva il suo
ago calamitato che indicò a tutti la via da seguire per creare il nuovo Stato.
Il secondo
Risorgimento non è quello vantato dai faziosi e fondato sull'equivoco di una
libertà dei cittadini da conseguire a prezzo dell'indipendenza della Nazione:
il secondo Risorgimento ha ancora da compiersi e non potrà attuarsi se non nel
solco del primo.
Il principio
monarchico può recare grandi benefici anche dopo le limitazioni che ha
consentite, come l'oro d'un monile rimane oro anche nel suoi frammenti. Un
presidente non possiede il potere unificatore e moderatore proprio d'un Re; la
suprema autorità è una dimensione dello spirito che non può venire conferita da
alcun atto elettorale, e al suo esercizio non esiste titolo più sicuro, più
onesto, più convincente della eredità.
I mali di
cui soffriamo erano prevedibili sin dal funesto 2 giugno; era prevedibile che,
eliminati coli la Monarchia i sensi di italianità ch'essa racchiude, poco
sarebbe rimasto, all'infuori della Chiesa da un lato e dell'aberrazione
classista dall'altro, presso un popolo di scarsa coesione nazionale scarsamente
dotato di socialità spontanea.
Dall'alba
dei tempi le due forze a cui nulla resiste e sulle quali si fonda la carriera
storica dei popoli sono la disciplina e la continuità. Alla prima noi non siamo
ancora giunti, ci siamo dimostrati incapaci di disciplina spontanea e abbiamo
eluso la disciplina coatta. Noi giochiamo ai quattro cantoni coi diritti,
sicché il dovere resta sempre vacante, e il regime repubblicano, eldorado dei
diritti, non avrà mai il proposito e l'energia di assumere la funzione
educativa svolta in altri tempi e luoghi dalle monarchie unitarie e dalla quale
altri popoli trassero una coesione molecolare capace di resistere ai più duri
sforzi.
Posto che
anche presso di noi, eterni ritardatari, una tale coesione sia possibile, non
si vede da chi se non dal Re, personificazione della continuità storica e della
unità territoriale, essa possa tentarsi.
Non
messianismo e non miracolismo, ma un naturale argine contro le tendenze
centrifughe, una subordinazione di interessi, una suggestione di solidarietà
nazionale, una risorgente coscienza della nostra funzione in campo
internazionale.
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